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Violenza di genere digitale, la proposta per rimuovere le foto intime non consensuali e bloccare i deepfake

La proposta di legge n. 2612 a firma M5S introduce un sistema coordinato e rapido per contrastare la violenza digitale di genere, imponendo rimozioni immediate dei contenuti illeciti, strumenti di prevenzione e nuove tutele per le vittime. Punta su interventi tecnici, penali ed educativi per colmare il vuoto normativo e fermare la diffusione di immagini intime non consensuali e deepfake pornografici.
A cura di Francesca Moriero
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Da tempo la rete non è più soltanto uno spazio di comunicazione e condivisione, ma è diventata anche luogo in cui la violenza può moltiplicarsi, assumere forme nuove, insinuarsi nella vita delle persone con una velocità, e una persistenza, che supera ogni confine fisico. A farne le spese, in misura schiacciante, sono, anche questa volta, soprattutto, le donne.

È proprio qui, infatti, che si consuma una delle declinazioni più subdole della violenza di genere: quella digitale. Revenge porn, molestia coordinata, campagne di odio, fino alla produzione e diffusione di immagini intime manipolate grazie a strumenti di intelligenza artificiale: negli ultimi anni questi fenomeni sono cresciuti in modo esponenziale, in Italia come nel resto del mondo. E mentre la tecnologia corre, il diritto fatica a starle dietro, lasciando le vittime spesso sole, costrette a inseguire contenuti che rimbalzano di piattaforma in piattaforma, nonostante denunce e segnalazioni. È proprio in questo contesto che nasce la proposta di legge n. 2612, presentata alla Camera il 22 settembre 2025 da un gruppo di deputati del Movimento 5 Stelle. Un testo ambizioso, che mira a ridisegnare la risposta dello Stato di fronte alla violenza digitale di genere, intervenendo su tre fronti: rapidità d'azione, prevenzione strutturale e rafforzamento delle tutele per le vittime.

Un coordinamento unico per procure, Polizia Postale, Garante e Pari Opportunità

Il perno della proposta è l'istituzione, presso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di un punto di contatto unico: un centro operativo capace cioè di coordinare procure, Polizia Postale, Garante Privacy e Dipartimento per le Pari Opportunità. Non una nuova burocrazia, ma un luogo in cui informazioni, competenze e segnalazioni confluiscano in tempo reale, evitando i ritardi e i rimpalli che oggi spesso paralizzano gli interventi. A questo organismo viene attribuito anche un compito cruciale: riconoscere i "segnalatori attendibili", ovvero tutti i soggetti qualificati, come centri antiviolenza, ONG e istituti di ricerca, che potranno far attivare procedure accelerate di rimozione sui contenuti illeciti, sul modello europeo dei trusted flaggers previsti dal Digital Services Act.

Togliere i contenuti illeciti subito e impedirne il ritorno

Il testo introduce poi un obbligo molto rigido: le piattaforme dovranno rimuovere o disabilitare l'accesso a immagini intime non consensuali o deepfake pornografici entro trenta minuti dalla segnalazione proveniente dalle autorità o dai segnalatori attendibili. Un tempo brevissimo, che traduce in norma la consapevolezza che, online, anche un'ora può segnare la differenza tra contenuto bloccato e contenuto diventato virale. La legge prevede anche l'obbligo di misure tecniche di stay down, vale a dire strumenti che impediscano che lo stesso materiale, una volta rimosso, ricompaia sotto forma di copie, screenshot, rilanci. È un passaggio essenziale: la vittima non deve essere costretta a combattere la stessa battaglia ogni giorno.

Un registro nazionale per identificare e bloccare i contenuti

Tra le innovazioni più significative c'è poi anche la creazione di un registro nazionale delle immagini non consensuali, una banca dati tecnologicamente avanzata, basata sulla classificazione dei contenuti tramite hash. Una sorta di impronta digitale delle immagini intime diffuse senza consenso, che permetterà ai fornitori di connettività e alle piattaforme di riconoscere automaticamente ciò che non deve più circolare. Il registro sarà interoperabile con analoghi strumenti europei, allineando l'Italia ai modelli internazionali più evoluti.

Ordini di rimozione rapidi e conservazione delle prove

Polizia Postale e procure, secondo il testo, potranno poi emettere ordini di rimozione urgenti da eseguire entro 48 ore. Al tempo stesso, le piattaforme dovranno conservare per 90 giorni i dati necessari alle indagini, in modo sicuro e nel rispetto delle norme privacy: un equilibrio ovviamente tutt'altro che semplice, ma indispensabile per non disperdere elementi probatori cruciali.

Tutele rafforzate per chi subisce violenza digitale

La proposta non si limita solo all'aspetto repressivo, ma prevede anche: un patrocinio a spese dello Stato senza limiti di reddito per tutte le persone offese; ordini immediati di inibizione e de-indicizzazione da parte del giudice civile, anche inaudita altera parte; un accesso diretto ai servizi psicologici e alle misure di protezione previste per la violenza di genere. Un impianto, insomma, che riconosce un dato fondamentale, e cioè che la violenza digitale non è un episodio virtuale, ma un trauma reale, che incide sulla vita, sul lavoro, sulle relazioni.

Deepfake pornografici 

Il codice penale verrebbe integrato poi con due nuove fattispecie. La prima, 612-quater, punisce la diffusione di contenuti sessualmente espliciti generati o manipolati con AI senza consenso. La seconda, 612-quinquies, colpisce invece chi organizza o gestisce spazi online dedicati alla circolazione di contenuti illeciti o alla promozione della violenza digitale di genere. Anche questo potrebbe essere un passaggio simbolicamente e concretamente forte: riconoscere che la creazione e la circolazione dei deepfake a sfondo sessuale è una forma autonoma e gravissima di violenza.

Educare, prevenire, innovare: un fondo da 10 milioni di euro

La proposta istituisce anche un Fondo nazionale da 10 milioni di euro l'anno, destinato a programmi di educazione al consenso e alfabetizzazione digitale in scuole e università, alla  formazione obbligatoria di forze dell'ordine e magistrati e alla ricerca su sistemi predittivi di rilevazione delle immagini e su filigrane elettroniche per l’identificazione dei contenuti generati con intelligenza artificiale. Un investimento, insomma, che guarda al futuro e che prova a intervenire là dove la tecnologia può diventare anche strumento di protezione.

Una proposta di legge che, insomma, almeno sulla carta, vuole essere un tentativo di costruire un'infrastruttura stabile, coerente con il quadro europeo, capace di affrontare la violenza digitale con la stessa serietà con cui il legislatore ha imparato ad affrontare, negli anni, la violenza offline: dando alle vittime strumenti rapidi, efficaci e non episodici; responsabilizzando le piattaforme; aggiornando il diritto penale alle sfide dell'intelligenza artificiale; affermando, anche online, il principio non negoziabile della dignità. Se, e in che misura, questo impianto legislativo verrà approvato, lo dirà il percorso parlamentare. Ma una cosa è certa: il vuoto normativo non è più sostenibile, e la tecnologia, certo, non aspetta.

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