video suggerito
video suggerito
Opinioni

Via il divieto di pubblicità sessiste, il vero scopo di Fdi è diffondere i manifesti Pro vita e anti-aborto

Cosa c’è dietro la battaglia ossessiva di Fratelli d’Italia contro il divieto di affissione per strada di cartelloni pubblicitari sessisti o violenti? Il senatore Malan, firmatario dell’emendamento che vuole rimuovere il divieto, ha ammesso candidamente in Aula qual è l’obiettivo: cancellare le limitazioni che impediscono di fare le campagne anti-aborto nei Comuni attraverso i manifesti per strada.
A cura di Annalisa Cangemi
1 CONDIVISIONI
Immagine

Cosa c'è dietro al possibile ritorno di manifesti pubblicitari con slogan o messaggi sessisti o violenti sulle strade, voluto da Fratelli d'Italia? Riavvolgiamo un attimo il nastro.

Nel 2021 sono stati introdotti nel Codice della Strada alcuni divieti, che in pratica impediscono sulle strade e sui veicoli, come le fiancate di tram e bus, "qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell'appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all'orientamento sessuale, all'identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche". Ora grazie a un emendamento al ddl Concorrenza a firma Salvo Pogliese e Lucio Malan, presentato in Commissione Commercio e Industria dove il provvedimento è in esame, questi divieti potrebbero essere cancellati. Parliamo dell'eliminazione di tre commi dell'articolo 23, del decreto legislativo numero 285, del 30 aprile 1992.

Come si vede dal comma 4-bis, il primo che Fdi vuole abrogare, nel mirino non ci sono solo i messaggi sessisti, ma il divieto si allarga anche ad altri ambiti, includendo appunto le "libertà individuali", i "diritti civili e politici", il "credo religioso" e altri contenuti. Sottolineare questo aspetto è importante, perché svela anche qual è il vero intento di quest'operazione.

Ricordiamo che quando la norma era stata inserita dalla precedente legislatura, grazie a Pd e Italia viva, era stato proprio Fratelli d'Italia a bollarla come lesiva della libertà di espressione, e addirittura lo stesso senatore Malan tuonava così: "Potrà essere rimossa la pubblicità o vietata la circolazione di chi non si conforma all’ideologia di Stato introdotta di soppiatto", cioè quella che la destra continua a chiamare "ideologia gender". Malan, che a quel tempo era all'opposizione, non si dava pace: "Un cartellone pubblicitario con la foto di una bella donna sarà considerato ‘sessista’? Una donna che stira o un uomo che nella pubblicità di un film salva una fanciulla saranno considerati ‘stereotipi di genere’? Un adesivo su un’auto con scritto che Gesù è figlio di Dio o che Cristo è Re sarà considerato lesivo dei non cristiani? Una pubblicità che raffiguri solo coppie uomo/donna sarà lesivo delle persone LGBT? La pubblicità di reggiseni sarà considerata lesiva dell’identità di genere se dice di rivolgersi alle donne?".

Fratelli d'Italia scopre le carte in Senato

Il divieto di pubblicità sessiste e offensive insomma era fumo negli occhi per Fdi, che infatti quando ha potuto, ha cercato di subito di rimuoverlo. Ma perché quest'insistenza?

Ancora una volta a venirci in aiuto è il senatore Malan, che prendendo la parola in Aula ha spiegato qualche giorno fa che quest'emendamento "non è per apporre immagini oscene", "né per istigare a discriminazioni", ma "ci preoccupa che sulla base di questa legge sono state vietate, non solo dal Comune di Roma, ma anche da altri Comuni, delle affissioni pubblicitarie", che riportavano messaggi come "‘I bambini non si comprano, no all'utero in affitto'", un divieto, quest'ultimo, che l'anno scorso è stato introdotto per legge da questo governo, con il ddl Varchi che ha reso la Gpa reato universale.

Avete capito bene. Malan in pratica ha ammesso che quel divieto introdotto dal governo Draghi dà fastidio perché limita la possibilità di diffondere messaggi anti-abortisti e anti-gender. Il senatore poco dopo è ancora più esplicito: "Così come quando l'aborto era reato si poteva propagandare l'idea di legalizzarlo, io credo sia legittimo dire che una legge è una buona legge".

"Stiamo studiando un testo che dica più chiaramente queste cose", promette, perché il punto è che le definizioni di quell'articolo, così vaghe secondo il parlamentare, come la parola "sessista", finiscono con l'impedire alla destra di veicolare messaggi Pro vita. "Le immagini che io trovo scandalose sono le donne blindate sotto il burqa per imposizione dei loro uomini. Questo trovo scandaloso e lesivo della dignità femminile". E ancora, come se non fosse già chiaro l'obiettivo: "Quello che trovo ancora più scandaloso è che sia stata vietata sulla base di quella legge l'affissione, per altro non a fini pubblicitari" di manifesti "contro l'indottrinamento gender nelle scuole, affissioni in cui c'era scritto ‘i bambini sono maschi, le bambine sono femmine' sono state vietate". Per poi finire con la denuncia di "censura", "con la scusa di difendere la dignità delle donne". Insomma, quello che prima poteva essere un sospetto, è stato candidamente ammesso in Aula: la destra vuole mani libere per fare propaganda. E il risultato sarà quello di fare un passo indietro nella lotta contro il patriarcato.

Le associazioni chiedono di fermare l'emendamento

Il senatore di Fratelli d'Italia stava rispondendo a Palazzo Madama alla collega del Pd Simona Malpezzi, che nel suo intervento aveva letto poco prima alcuni passaggi di una lettera aperta, sottoscritta da una quarantina di associazioni, promossa da Elena Rosa (presidente di LOFFICINA) e Laura Onofri (Presidente di SeNonOraQuando? Torino), e inviata ai componenti IX commissione del Senato, per chiedere loro di non votare la proposta e ritirare l'emendamento.

La lettera esordisce così: "Sembra incredibile che più di cinquant’anni di lotte e di conquiste possano essere messi in discussione, anzi cancellati con tanta leggerezza".

"Siete consapevoli che in Italia la violenza di genere è in aumento? A cosa servono le dichiarazioni che, dopo ogni femminicidio, i politici fanno per condannare questo fenomeno, proporre un’educazione al rispetto e all’affettività, scevra da stereotipi sessisti?", si domandano più sotto le associazioni.

"Tutto il lavoro di gruppi e associazioni in difesa dei diritti delle donne che mira a scardinare luoghi comuni e stereotipi sul ruolo delle donne, nel mondo del lavoro come in politica e nelle relazioni intime, che limitano la loro libertà e alimentano la violenza di genere che ha profonde radici culturali, viene vanificato con un emendamento che ci fa arretrare culturalmente, frutto di una mentalità a dir poco inquietante".

"Vogliamo davvero che la pubblicità trasmetta stereotipi femminili sessisti che rispecchiano la diffusa mentalità paternalista e patriarcale, un luogo comune radicato, un pensiero diseducativo che ha plasmato le menti e i comportamenti di milioni di uomini?". 

E a che serve aver introdotto un reato di femminicidio, aggiungiamo noi? A che serve che il ministero dell'Istruzione si vanti di aver proposto nel novembre 2023 un progetto per le scuole secondarie di secondo grado dal titolo ‘Educazione alle relazioni' – in cui tra l'altro sono stati coinvolti i Pro vita – se oggi quelle attività sono offerte a macchia di leopardo, lasciate all'iniziativa di dirigenti scolastici e insegnanti volenterosi e particolarmente sensibili? È un controsenso, tra l'altro il governo contraddice se stesso: con una mano propone percorsi e incontri sulla parità di genere e l'affettività, con l'altra impone nelle stesse scuole secondarie di secondo grado il consenso informato obbligatorio dei genitori per attività legate alla sessualità.

Non sappiamo se le associazioni saranno convocate per un confronto, o se l'emendamento verrà bloccato, ma intanto ci limitiamo a condividere pienamente le preoccupazioni sollevate.

1 CONDIVISIONI
Immagine
Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views