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Valditara su ddl consenso informato obbligatorio nelle scuole: “La violenza non si ferma con fluidità di genere”

La Camera approva il ddl Valditara, che inserisce l’educazione sessuo-affettiva solo dalle medie e la subordina al consenso familiare, senza fissare criteri o contenuti. Valditara difende la riforma sostenendo che “non serve parlare di fluidità di genere, ma insegnare il rispetto e i confini altrui”.
A cura di Francesca Moriero
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Con 151 voti a favore, 113 contrari e un astenuto, la Camera ha approvato in prima lettura il disegno di legge Valditara sul cosiddetto "consenso informato" in ambito scolastico. Il provvedimento ora passa al Senato, ma le sue implicazioni hanno già acceso una delle discussioni politiche e culturali più divisive degli ultimi anni: quale spazio deve avere l'educazione sessuale e affettiva nella scuola italiana? E chi deve decidere contenuti, limiti e modalità di questi percorsi?

Che cosa prevede il disegno di legge

Il testo introduce un doppio paletto:

Divieto di percorsi di educazione sessuo-affettiva nella scuola dell'infanzia e nella primaria.
Nessuna attività che riguardi, anche solo indirettamente, corpo, sessualità o identità di genere potrà essere proposta ai bambini e alle bambine dai 3 agli 11 anni.

Alle scuole medie e superiori, ogni attività sarà consentita solo con il consenso scritto delle famiglie.
Senza la firma, cioè, gli studenti saranno esclusi e dovranno essere inseriti in attività alternative organizzate "con le risorse disponibili": cioè senza fondi aggiuntivi, senza personale dedicato, senza alcun supporto per la gestione pratica.

A conti fatti, il ddl non introduce alcun percorso obbligatorio, non definisce standard minimi né criteri scientifici per i contenuti. Stabilisce solo chi può partecipare e chi no, e soprattutto rimanda all'iniziativa, o alla rinuncia, dei singoli istituti.

Un quadro politico teso

Proprio per denunciare questa impostazione, Pd, M5S, Avs, +Europa e Azione hanno organizzato un flash-mob davanti a Montecitorio subito dopo la votazione. Le opposizioni parlano di un "passo indietro storico" in un momento in cui il Paese discute di violenza di genere, alfabetizzazione emotiva e cultura del consenso; senza obbligatorietà, senza risorse e con il vincolo perenne del consenso familiare, avvertono, "l'educazione sessuale rischia di diventare impraticabile".

"Non serve parlare di fluidità di genere"

Il ministro Giuseppe Valditara ha respinto tutte le critiche al ddl accusando la sinistra di diffondere "bugie grossolane". Nella sua lettura, le nuove Linee guida di educazione civica sarebbero già sufficienti a garantire percorsi su rispetto, empatia e prevenzione della violenza. Il punto centrale per lui è un altro: secondo Valditara non è parlando di fluidità di genere che si combattono abusi e femminicidi, ma insegnando ai ragazzi il senso del limite e dei confini personali.

È una posizione che lui stesso sintetizza così: "Dobbiamo ridare significato ai ‘no’, ai confini che delimitano la sfera altrui, al consenso, alla valorizzazione di ogni persona. Non è certo trattando le teorie sulla fluidità di genere che si combatte la violenza sulle donne, ma con l'educazione al rispetto".  Da questa impostazione anche la decisione di escludere infanzia e primaria: per il ministro temi come identità, corpo e orientamento sarebbero "troppo complessi" per bambini così piccoli e rischierebbero di generare confusione.

Ma questa lettura si inserisce in un quadro politico ben più ampio. Da anni, infatti, una parte consistente della destra italiana, in linea con le destre europee e globali, interpreta qualsiasi percorso di educazione sessuo-affettiva come una potenziale minaccia ideologica. L'idea ricorrente è che dietro questi progetti si nasconda un tentativo di "indottrinamento", spesso etichettato con il termine ombrello di "ideologia gender". È un frame politico che ricorre in Aula e nelle dichiarazioni pubbliche: si parla di scuole "infiltrate", di contenuti "inappropriati", di attivisti che "entrano a fare propaganda". E ogni volta che si parla di introdurre corsi di educazione nelle scuole viene usato per ribadire la necessità di un controllo più rigido su tutto ciò che riguarda appunto sessualità, identità e relazioni. L'ultimo caso è quello del deputato della Lega Rossano Sasso, proprio durante le dichiarazioni di voto sul ddl Valditara.

Il vuoto italiano: un Paese senza educazione sessuale

Nel frattempo l'Italia resta sola con un buco strutturale: è infatti uno degli ultimi Paesi europei a non avere un percorso obbligatorio e strutturato di educazione sessuale e affettiva. Il ddl non affronta questo vuoto: non indica un curriculum, non stabilisce, almeno per ora, obiettivi formativi, non definisce le competenze necessarie per chi terrà i corsi e non prevede monitoraggi o controlli. L'unica garanzia evocata dal ministro, "No ad associazioni improvvisate o politicamente schierate", resta ancora priva di strumenti concreti nel testo. E lo dimostra anche il voto in Aula: la maggioranza ha respinto gli emendamenti di Gilda Sportiello (M5S) che chiedevano proprio di ancorare i contenuti alle linee guida dell'OMS e di escludere enti che diffondono posizioni contrarie ai diritti sessuali e riproduttivi.

Sportiello in un'intervista a Fanpage ha ricordato come, senza paletti, rischino di entrare in classe associazioni che definiscono l'aborto un omicidio, che demonizzano la contraccezione o propongono la castità come unica soluzione. Una preoccupazione non astratta: nel 2023, il progetto ministeriale "Educare alle relazioni" coinvolse proprio associazioni vicine all'area pro-vita, senza criteri di controllo scientifico stringenti.

Il nodo del consenso: famiglie arbitro di tutto

Il governo rivendica la centralità della famiglia. Ma proprio il meccanismo del consenso vincolante rischia di trasformare la scuola in un'istituzione che deve "chiedere il permesso" per svolgere attività educative. Molti docenti lo percepiscono come un indebolimento della loro autonomia professionale. Non solo, gestire attività alternative per chi non partecipa richiede tempo, spazi e personale: risorse che le scuole spesso non hanno. Il risultato prevedibile è che molti istituti eviteranno del tutto di proporre percorsi, pur potendolo fare.

E qui emerge la criticità più forte: le diseguaglianze. Dove le famiglie firmano, l'educazione sessuale si farà. Dove non firmano, per diffidenza, per tabù religiosi, o peggio, per dinamiche familiari violente, ragazzi e ragazze resteranno senza quei riferimenti che, proprio in quei contesti, avrebbero più valore.

Una certezza: un'intera fascia di età resterà esclusa

Mentre il Ministero parla insomma linee guida in grado di sciogliere tutti questi nodi, il presente appare evidente. Infanzia e primaria resteranno completamente prive di un'educazione sessuo-affettiva per legge. E alle medie e superiori, basterà una firma mancante a impedirne l'accesso.

In un Paese già privo di un percorso organico, la nuova norma rischia quindi di rendere ancora più profondo il divario educativo: scuole che offriranno strumenti e parole, e scuole in cui il tema non verrà mai affrontato. Studenti accompagnati nella crescita e studenti lasciati a internet, pornografia, miti tossici di virilità, silenzio e stigma.

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