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Un’altra parte del Jobs Act di Renzi è incostituzionale, cosa cambia dopo la sentenza della Consulta

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una parte del Jobs Act, in particolare sul reintegro dei lavoratori dopo i licenziamenti che vengono annullati da un tribunale perché ingiusti. Da ora, chi si trova in questa situazione potrà sempre riavere il suo posto di lavoro.
A cura di Luca Pons
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È arrivata una nuova sentenza della Corte costituzionale che cambia il Jobs Act, la riforma del lavoro promossa dal governo Renzi nel 20214 e poi dettagliata nell'anno successivo con vari decreti legislativi. Questa volta, l'intervento riguarda il reintegro dopo i licenziamenti dichiarati nulli. Finora, il Jobs Act stabiliva che il reintegro potesse avvenire solo se il licenziamento era nullo per una serie motivi specifici, previsti "espressamente" dalla legge. Con la sentenza 22 del 2024, la Consulta ha cancellato la parola "espressamente".

Il motivo per cui la Corte costituzionale è intervenuta – come ha fatto sapere con un comunicato – è che c'è stato un "eccesso di delega". Cioè, quando il Parlamento aveva approvato il Jobs Act non aveva previsto questo limite, mentre poi quando il governo ha messo in pratica la legge con un decreto lo ha aggiunto di sua iniziativa, in modo illegittimo. Sostanzialmente, da adesso se un lavoratore viene licenziato ingiustamente potrà sempre essere reintegrato, anche se era stato assunto con il Jobs Act e la legge non prevedeva espressamente il reintegro.

Il caso dell'autista che ha portato alla sentenza

Il caso da cui è nata questa sentenza è quello di un autista toscano licenziato nel 2018 senza seguire le dovute procedure, quindi in modo ingiusto. La Corte d'Appello di Firenze aveva dichiarato nullo il licenziamento, ma gli aveva riconosciuto solo un risarcimento in denaro (sei mesi di stipendio e il Tfr), e non il reintegro nella sua vecchia posizione. Proprio perché, con il Jobs Act entrato in vigore nel 2015, il reintegro era previsto solo in specifici casi, definiti "espressamente" dalla legge.

Dopo un ulteriore ricorso, la Cassazione ha notato che qualcosa non tornava, e ad aprile dell'anno scorso ha chiesto l'intervento della Corte costituzionale. Ora che è arrivata la sentenza della Consulta, l'uomo potrà essere reintegrato. E lo stesso meccanismo si applicherà anche a tutti coloro che vengono licenziati in modo ingiusto, anche se il loro caso non era previsto nel Jobs Act.

Non è la prima volta che la Consulta interviene sul Jobs Act

Si tratta di un'altra sentenza della Corte costituzionale che smonta un segmento del cosiddetto Jobs Act. Più volte, la Consulta è intervenuta e ha cancellato alcune parti della norma. In passato si è trattato anche di sezioni sostanziali della legge. Nel 2018 una sentenza eliminò le tutele crescenti, che erano uno degli aspetti più distintivi della riforma. Nel 2020 toccò al modo in cui si calcolava l'indennità per il licenziamento, mentre nel 2022 i giudici della Corte chiesero che fosse il Parlamento a intervenire su diverse questioni per fare ordine in materia di licenziamenti.

Appena un mese fa, poi, la Consulta era nuovamente intervenuta sulla disciplina dei licenziamenti collettivi. La sentenza arrivata adesso cancella una sola parola, ma ancora una volta chiarisce che servirebbe una misura più complessiva, da parte della politica, per fare chiarezza sulle tutele dei lavoratori.

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