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Un Comune sardo offre 8500 euro alle famiglie rom per abbandonare il campo e cercare casa

L’amministrazione comunale di Selargius stanzia un contributo per favorire l’acquisto di una casa da parte di sedici famiglie rom che vivono nel campo di Pitz’e Pranu. Ma tra cifre simboliche, vincoli stretti e molte incognite, resta il dubbio: si sta costruendo inclusione o si sta solo liberando un’area scomoda?
A cura di Francesca Moriero
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A Selargius, comune di quasi trentamila abitanti nella città metropolitana di Cagliari, l'amministrazione comunale ha annunciato con toni positivi un contributo straordinario di 8.500 euro per ogni famiglia rom che voglia acquistare casa. Un aiuto pensato per accompagnare la chiusura definitiva del campo sosta di Pitz'e Pranu, dove attualmente vivono sedici nuclei familiari, molti con bambini. Il Comune, sotto la guida di Pier Luigi Concu, in quota centodestra, lo presenta come un passo avanti verso l'inclusione sociale e abitativa, parte di un percorso cominciato nel 2018 con un finanziamento regionale da 293mila euro. Allora, l'obiettivo era facilitare l'accesso al mercato degli affitti: dodici famiglie riuscirono effettivamente a trovare una sistemazione, ma poi qualcosa si è inceppato. L'offerta di case in affitto è infatti venuta meno, e il campo è rimasto aperto, ancora abitato. Ora l'amministrazione cambia approccio: non più affitti, ma incentivi per l'acquisto. Un segnale di fiducia, almeno sulla carta. Viene però da chiedersi: con 8.500 euro cosa si compra, davvero?

Ottomila euro e poco più: quanto vale una casa in Sardegna

Il contributo comunale viene erogato in un'unica soluzione e dovrebbe servire a coprire le spese iniziali: una caparra, un trasloco, forse qualche onere notarile. Non si tratterebbe di acquistare un immobile completo e pronto all'uso, ma di dare una spinta iniziale, in un contesto in cui alcune famiglie avrebbero espresso interesse per piccoli appezzamenti di terreno con edifici annessi, magari in zone periferiche o agricole. Ma se la soluzione abitativa proposta coincide, ancora una volta, con l'allontanamento fisico dal centro, dal tessuto urbano, dai servizi e dalla cittadinanza, viene da chiedersi: dov'è l'inclusione di cui si parla? E poi, anche in questo modo, la cifra potrebbe restare davvero simbolica rispetto ai costi reali dell'accesso alla casa, soprattutto se si considerano gli ostacoli aggiuntivi che molte famiglie rom devono affrontare: redditi irregolari, assenza di garanzie, discriminazione da parte dei proprietari degli eventuali alloggi, difficoltà nell'ottenere mutui o prestiti. Insomma, sorge spontaneo chiedersi: chi venderà una casa a famiglie che da anni vivono in un campo sosta e che si presentano con un contributo pubblico una tantum? Quali immobili sono stati individuati? Ce ne sono di disponibili? E in quali condizioni?

Una misura per "favorire l'acquisto" o per "liberare l'area"?

Tra i dettagli contenuti nella delibera comunale ci sarebbe poi un vincolo chiaro: le famiglie che accettano il contributo dovranno abbandonare il campo entro 15 giorni, lasciandolo "sgombro da effetti personali". Non si tratterebbe quindi di una misura a scadenza aperta o modulabile. O accetti il contributo e te ne vai, oppure resti fuori dal progetto, e anche dal campo. Questa condizione introduce un elemento di urgenza che sembra meno ispirato dalla volontà di inclusione e più da quella di chiusura amministrativa. Il campo sosta, ormai ridotto a una struttura residuale, deve sparire. E in fretta.

Diventa così legittimo pensare allora che il vero obiettivo, più che garantire un tetto sicuro alle famiglie, sia quello di liberare un'area percepita come problematica, cancellare un simbolo di marginalità visibile e chiudere un dossier scomodo. Un'operazione che, senza garanzie reali sull'effettiva inclusione delle persone coinvolte, rischia insomma di diventare una forma di sgombero con piccolo incentivo.

E dopo, cosa succede?

L'amministrazione ha previsto che le famiglie, in particolare quelle con minori, aderiscano a un progetto educativo seguito dai servizi sociali, che include l'obbligo di frequenza scolastica dei figli. Ma oltre questa condizionalità, assolutamente fondamentale e giusta, non è però chiaro quale percorso venga costruito per garantire stabilità abitativa e sociale nel medio e lungo termine. Il Comune fa sapere che le risorse, 136.000 euro complessivi, sarebbero già stanziate nel bilancio triennale 2025-2027, nel capitolo destinato cioè all'emergenza abitativa delle famiglie rom; e che questa misura si affiancherebbe a un progetto ben più consistente: 1,5 milioni di euro di fondi ministeriali ottenuti grazie al programma Plus 21, finalizzati all'inclusione scolastica dei minori rom nei Comuni del distretto. Tutto molto promettente, ma senza un sistema che accompagni le famiglie nella ricerca, valutazione, contrattazione e gestione di una casa, il rischio è che il contributo diventi una cifra insufficiente che scarica responsabilità complesse su persone già in difficoltà. E senza interventi strutturali sull'offerta di alloggi, magari pubblici, il mercato immobiliare da solo non assorbe certo il bisogno abitativo.

Cosa significa inclusione abitativa

Il progetto di Selargius tocca un nodo cruciale: come si superano davvero i campi sosta? E cosa significa, oggi, inclusione abitativa? Una casa assegnata basta? È sufficiente un bonifico da 8.500 euro per far partire un nuovo capitolo? Chi affitterà o venderà un immobile a chi ha vissuto per anni in un campo considerato zona grigia? E se il campo viene chiuso ma le famiglie restano senza casa, chi se ne fa carico?

Le intenzioni, e la narrazione che ne consegue, sembrano orientate a un'uscita positiva, a un cambio di paradigma: chi riceve quei soldi però potrebbe semplicemente uscire dal campo per entrare nell'invisibilità. E il Comune, chiudendo Pitz'e Pranu, potrebbe essersi limitato solamente a spostare il problema qualche chilometro più in là.

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