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Tridico: “Il nuovo assegno di inclusione è discriminatorio, contro povertà sarà inutile”

Il presidente uscente dell’Inps fa un bilancio con Fanpage.it dei suoi quattro anni alla guida dell’Istituto, dai risultati raggiunti al commissariamento improvviso da parte del governo Meloni. Sul nuovo assegno di inclusione dice che “non sarà efficace nel contrastare la povertà, ed è discriminatorio”. Il futuro delle pensioni è strettamente legato all’immigrazione, necessaria come “in tutti i Paesi ricchi”. E sulla possibile discesa in campo in politica con il Movimento 5 Stelle glissa: “Con Conte e Grillo abbiamo parlato solo del mio libro”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Pasquale Tridico tornerà a fare il professore universitario, dice, ma per qualche giorno – o forse mese, chissà – resta in carica come presidente dell'Inps, nonostante il commissariamento repentino da parte del governo Meloni, che ancora non ha trovato un sostituto. Intervistato da Fanpage.it, Tridico fa il punto sui quattro anni trascorsi alla guida dell'Istituto, sui risultati raggiunti e sulle grandi misure che hanno caratterizzato la scorsa legislatura: una su tutte il reddito di cittadinanza. Poi lancia l'allarme su una nuova ondata di precarizzazione del mercato del lavoro e avvisa il governo: sulle pensioni gli immigrati sono fondamentali per sostenere il sistema.

Presidente Tridico, tiriamo le somme: che bilancio fa di questi quattro anni alla guida dell’Inps?

Sono molto soddisfatto, abbiamo trasformato l'Istituto di previdenza. Complice la pandemia, siamo andati verso la trasformazione del nostro welfare in senso più universale. Abbiamo assunto 12mila persone, proprio in questi giorni sono entrati in servizio trecento ragazze e ragazzi in tutta Italia. L'Inps si è espanso in questi anni, abbiamo aumentato la produttività del 15%, ridotto i tempi di liquidazione di quindici giorni sulle prestazioni più importanti dell'Istituto. E durante la pandemia abbiamo sostenuto circa 16 milioni di cittadini in più. Il 23 maggio abbiamo chiuso uno dei bilanci migliori della storia recente dell'Inps, con 7 miliardi di esercizio in attivo e con 23 miliardi di capitale netto accumulato.

Quindi non si aspettava certo di essere commissariato improvvisamente dal governo. Come l’ha presa? E cosa pensa del fatto che oggi non si conosca ancora il nome del suo successore?

Non ho contestato la sostituzione, che ancora non è avvenuta formalmente. Ho contestato il commissariamento funzionale all'anticipo di una scadenza, per me immotivato. Non c'era nessuna ragione di urgenza e necessità. Infatti del nuovo commissario, che doveva essere nominato entro il 30 maggio, ancora non si sa niente. È paradossale che sono in prorogatio rispetto a un commissariamento, sono urgentemente in prorogatio. Giuridicamente non ha senso. Sono sorpreso per la decisione del governo, sì, perché stride con i risultati raggiunti.

Nel frattempo lei lunedì ha incontrato Conte e Grillo, cosa vi siete detti? Tra un anno ci sono le elezioni europee insomma…

Ho scritto questo libro, insieme a Enrico Marro: "Il lavoro di oggi la pensione di domani" – lo mostra, ndr -. È un libro che sto presentando in diversi situazioni, sia nelle scuole che in ambienti più informali, come è successo all'Hotel Forum. Perciò abbiamo essenzialmente discusso dei temi del mio libro.

Però il 17 giugno c’è una grande manifestazione del Movimento 5 Stelle contro il precariato. Lei in un suo intervento ha scritto che il vero problema dell’Italia è questo, non i sussidi, cosa intende?

Se continuiamo a flessibilizzare e precarizzare il mercato del lavoro, i sussidi saranno la conseguenza. Così creiamo lavoro povero, a cui poi dobbiamo dare una risposta in termini di sicurezza e assistenza sociale. Al contrario, dobbiamo investire quanto più possibile in innovazione, ricerca e sviluppo. Sappiamo che investire in segmenti produttivi come la ristorazione non porta una crescita dei salari. Servono politiche industriali che spingano sulla crescita delle competenze e del capitale umano, ma questo non succede in tempi brevi. Altrimenti creiamo una società liquida che ha un impatto anche nelle relazioni umane, in cui tutto è instabile e sfuggente. Negli ultimi trent'anni, con questa flessibilità e precariato, si è esagerato. Tranne che nel 2018 con il decreto Dignità, che ha portato un'inversione di tendenza. Oggi si va di nuovo nella direzione di aumentare le forme di lavoro temporaneo, dai voucher ai tempi determinati senza causale. È un principio da sconfiggere, per rendere il lavoro stabile e qualificato la forma prioritaria.

La misura più importante di questi quattro anni è stata senz’altro il reddito di cittadinanza, cosa pensa dell’abolizione da parte dell’attuale governo e del nuovo assegno di inclusione?

Il reddito di cittadinanza è stato introdotto nel nostro sistema da ultimo in Europa, ed è riuscito a raggiungere nel picco della pandemia di Covid quasi 4 milioni di persone. Il nuovo Assegno di inclusione discrimina i soggetti che, pur avendo lo stesso reddito, non appartengono a categorie specifiche, come i disabili o i minori e gli anziani. È uno strumento che si dirige solo verso queste tre categorie, ma la povertà non è solo una questione categoriale. È multidimensionale. Ci sono molti lavoratori poveri. È uno strumento che non sarà efficace nel contrastare la povertà, ed è discriminatorio.

Sulle pensioni c’è l’ennesima riforma in cantiere, di cui nuovamente non si parla più. Qual è secondo lei la ricetta vincente per il futuro?

Facciamo un ragionamento, partendo dal presupposto che, nel nostro sistema, le pensioni sono sostenute dai contributi dei lavoratori. Oggi, nel 2023, mandiamo in pensione chi è nato intorno al 1960. All'epoca nascevano un milione di persone all'anno. E chi entra oggi sul mercato del lavoro è nato circa 25 anni fa, tra la fine degli anni novanta e l'inizio degli anni duemila. In questo periodo nascevano 500mila bambini l'anno, la metà di quelli del 1960. È evidente che questo sistema non è sostenibile e la popolazione invecchia sempre di più. Lasciamo posti vacanti, perché siamo un'economia avanzata. Lasciamo vuoti alcuni settori che non vengono ricoperti se non attraverso l'immigrazione, come avviene in molti altri Paesi.

Perciò ha parlato di immigrazione necessaria, venendo attaccato duramente dalla destra?

Tutti i Paesi ricchi hanno immigrati. Non possiamo prescindere da questo, se vogliamo essere un Paese ricco. È necessario avere flussi di migrazione regolari, anche per sostenere le nostre pensioni. Gli immigrati partecipano al sistema pensionistico per 11 miliardi di euro e prendono, in termini di prestazioni e pensioni, circa 4,5 miliardi l'anno. Abbiamo un avanzo di oltre 6 miliardi e mezzo. La maggior parte di loro, inoltre, lascia le pensioni in Italia, perché non raggiunge i requisiti minimi. Tornando alla riforma: il sistema contributivo è un pilastro del nostro sistema, ma si basa sull'aspettativa di vita, che è diversa da lavoratore a lavoratore. Tra un operaio e un dirigente ci sono quattro anni di differenza in aspettativa di vita a cinquant'anni. Non tutti i pensionati sono uguali e soprattutto i ricchi muoiono dopo i poveri, che spesso fanno lavori gravosi. Perciò dovremmo pensare per i poveri, e soltanto per loro, a canali di anticipazione pensionistica.

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