Sulla manovra piomba la ‘bomba’ della stretta sulle pensioni: “Un pasticcio, ci mancava la manina del Mef”

"Meloni ha parlato di tutto, tranne che di pensioni. Vorrà dire che glielo ricorderemo noi". Sono da poco passate le 15 di mercoledì 17 dicembre e i senatori dell'opposizione gongolano davanti agli schermi, ascoltando le parole della premier nell'altro ramo del parlamento. Tra poco Meloni arriverà anche qui in Senato, per le comunicazioni all'aula in vista del Consiglio europeo. Ma l'attenzione a palazzo Madama è tutta concentrata su quanto sta avvenendo in un'altra ala di palazzo Madama, in Commissione Bilancio.
La sera precedente infatti è piombato sulla legge di bilancio il maxi emendamento del governo che riscrive una buona parte della manovra e in particolare le regole sulle pensioni, introducendo una decisa stretta sui criteri per il riscatto della laurea e sulle finestre per il pensionamento anticipato. Il tema è radioattivo e i senatori della maggioranza non fanno niente per nasconderlo: "Ci mancava questa dal ministero dell'Economia, proprio adesso che sembrava avessimo risolto tutto il resto", si lascia andare sconsolato alla buvette uno degli esponenti dei partiti di governo, che segue più da vicino l'accidentato percorso della manovra in commissione.
Le misure contestate
Dalle parti della maggioranza, però, pochi si sbilanciano in dichiarazioni ufficiali perché ancora non ci sono indicazioni precise, su come reagire a quella che viene raccontata con un classico topos delle leggi di bilancio: la manina dei tecnici del ministero di via XX Settembre, che inserisce all'ultimo minuto nei testi norme impopolari, all'insaputa (?) dei vertici politici. Sono due in particolare le misure contestate. La prima è quella che dal 2031 riduce gradualmente il numero di mesi riscattabili dal percorso di laurea, per accedere alla pensione anticipata. Fino ad arrivare a un aumento di 30 mesi dell'età per ottenere il beneficio, nel 2035.
"Ho il telefono già pieno di messaggi di persone disperate perché hanno già pagato migliaia di euro per riscattare gli anni della laurea e adesso rischiano di non poterli usare per andare in pensione prima", dice il capogruppo Pd in Senato Francesco Boccia. L'altra stretta riguarda invece l'allungamento progressivo, dal 2032 in poi, delle cosiddette finestre pensionistiche: si tratta del tempo che deve trascorrere tra quando si maturano i requisiti per la pensione anticipata a quando si può effettivamente lasciare il lavoro.
Lo stop della Lega
Sulle barricate contro questi provvedimenti è già salita la Lega, da sempre particolarmente sensibile quando si parla di pensioni, anche se più a parole che nei fatti, almeno negli ultimi anni. Il relatore in quota Carroccio della manovra Claudio Borghi annuncia che il partito presenterà dei subemendamenti alle proposte del governo, per cancellare le norme sgradite. "È stato fatto un pasticcio – dice Borghi parlando con i giornalisti -. È passata l'idea che dietro queste misure ci sia un intento politico, quando si tratta solo di clausola di salvaguardia".
La stretta sulle pensioni infatti serve per finanziare i contributi di chi otterrà i requisiti per andare in pensione anticipata, grazie alle nuove misure che promuovono la previdenza complementare, sempre contenute nel maxi-emendamento del governo. "Ma dato che non si sa minimamente quante persone coglieranno in futuro effettivamente questa opportunità, questi costi oggi sono solo eventuali – protesta Borghi -. E la copertura attualmente è solo una posta contabile, ma questo andava detto chiaramente". L'obiettivo della Lega allora sarebbe quello di sostituire all'inasprimento sulla previdenza, clausole di salvaguardia meno socialmente sensibili, come ad esempio un altro cavallo di battaglia leghista: un'ulteriore aumento dell'Irap per le banche.
Ma quante possibilità ci sono che la modifica passi? "Io credo ampie – risponde Borghi -, altrimenti venga il Mef in Commissione a spiegare perché dice No". Peccato che il titolare dell'Economia all'ultimo rilevamento sia un altro leghista Giancarlo Giorgetti. Secondo il senatore salviniano però la responsabilità del cortocircuito non sarebbe politica, ma degli uffici legislativi del ministero, che non avrebbero saputo (o voluto?) valutare adeguatamente il peso politico dell'operazione.
Senatori di altri partiti della maggioranza sono invece meno ottimisti sulla possibilità di cambiare i testi: "Quello arrivato dal Mef è un pacchetto chiuso, difficile metterci le mani", dicono a taccuini chiusi. D'altra parte, riaprire i giochi e le trattative significherebbe allungare ulteriormente i tempi già strettissimi per l'esame del testo. Con il risultato che qualcuno nei corridoi del parlamento già ipotizza: votare la legge di bilancio al Senato solo alla vigilia di Natale e arrivare poi al via libero definitivo alla Camera solo l'ultimo giorno dell'anno.