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News su migranti e sbarchi in Italia

Sono arrivati in Italia i cinque migranti che nel 2009 erano stati respinti in Libia

Sono atterrati ieri a Fiumicino cinque migranti eritrei che nel 2009, ben 11 anni fa, erano stati intercettati nel Mediterraneo dalla Marina militare italiana e respinti in Libia. Con quella che viene definita da Amnesty International una sentenza “di portata storica”, l’anno scorso il Tribunale civile di Roma aveva ordinato di rilasciare un visto di ingresso per i migranti, rintracciati dall’associazione, e aveva anche imposto al governo di risarcire i danni materiali causati con quel respingimento.
A cura di Annalisa Girardi
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Ieri sono tornati in Italia cinque migranti che nel 2009, oltre dieci anni fa, erano stati respinti in mare proprio dalle autorità del nostro Paese. Con quella che viene definita da Amnesty International una sentenza "di portata storica", l'anno scorso il Tribunale civile di Roma aveva ordinato di rilasciare un visto di ingresso a 14 cittadini eritrei che nel 2009 erano stati intercettati dalla Marina militare italiana mentre tentavano la traversata del Mediterraneo ed erano stati riportati in Libia. Il Tribunale romano aveva anche imposto al governo di risarcire i danni materiali causati con quel respingimento. Ieri, con un volo da Tel Aviv diretto a Fiumicino, sono finalmente arrivati in Italia. Ma facciamo un passo indietro.

La storia dei migranti intercettati

Il 29 giugno del 2009, quando al governo c'era Silvio Berlusconi e Roberto Maroni era ministro dell'Interno, 89 persone partono dalla Libia e prendono il largo con un gommone, cercando di arrivare in Europa. Presto le cose si fanno difficili: il motore va in avaria dopo alcuni giorni e le condizioni a bordo sono pessime. I migranti chiedono aiuto e il 1° luglio arrivano i soccorsi. Tra cui una nave della Marina militare italiana: che però, invece di portare i naufraghi in un porto sicuro in Italia, come stabiliscono i trattati internazionali, fanno di nuovo rotta verso la Libia.

Il respingimento

I migranti vengono quindi respinti verso il Paese nordafricano. Ammanettati, sono riconsegnati alle autorità libiche. Questo principio, quello del non-refoulement, viene sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. Secondo il documento, nessun rifugiato può essere respinto in un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate. In Libia alcune persone, anche a causa della violenza subita, devono essere ricoverate in ospedale. I migranti hanno anche raccontato di aver iniziato a protestare, una volta capito quello che stava succedendo, ma di essere stati picchiati in risposta dai militari italiani. Tutte le altre sono ricondotte nei campi di detenzione libici, in cui spesso organizzazioni e giornalisti hanno denunciato gli episodi di tortura e le violazioni dei diritti umani.

Le violenze e l'arrivo in Israele

Amnesty International racconta:

Senza che ad alcuno fosse stato consegnato un provvedimento di respingimento né fosse stato consentito di lasciare traccia della propria volontà di richiedere asilo in Italia, le 89 persone furono riconsegnate, anche mediante l’uso della forza, alle autorità libiche che, dopo averle ammanettate, li riportavano a Tripoli. A bordo delle motovedette libiche anche personale della guardia di finanza italiana

Queste persone rimangono arbitrariamente tenute come prigioniere in questi centri, spesso controllati dagli stessi trafficanti di esseri umani, per diversi mesi. Dopodiché, alcuni tentano nuovamente la traversata in mare. "Altre persero la vita in naufragi negli anni successivi. Altre ancora riuscirono a raggiungere le coste italiane e ad arrivare in altri paesi, come la Germania e la Svizzera, dove hanno ottenuto la protezione internazionale", aggiunge ancora Amnesty. Troppo rischioso, secondo altri, che provano a raggiungere l'Europa via terra. Sono sedici cittadini eritrei, che attraversano l'Egitto e arrivano in Israele, dove rimangono bloccati e viene loro negato il diritto di richiedere l'asilo. Dopo alcuni anni vengono rintracciati dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) e Amnesty International. Le due associazioni decidono quindi di intraprendere un'azione legale contro la presidenza del Consiglio e dei ministeri degli Affari esteri, della Difesa e dell'Interno.

La sentenza del Tribunale civile di Roma

Lo scorso 29 novembre 2019 il giudice ha rilasciato un visto di ingresso e le prime cinque persone del gruppo sono atterrate ieri all'aeroporto di Fiumicino. Con la sentenza 22917, la prima sezione del Tribunale civile di Roma ha dato ragione ai ricorrenti e oltre ad ordinare il rilascio di un visto di ingresso per poter procedere alla richiesta di asilo, ha condannato il governo al risarcimento dei danni materiali. "Per la prima volta viene rilasciato un visto di ingresso al fine di permettere a qualcuno di accedere alla procedura di protezione in ragione dell’affermazione di un diritto della persona e non in ragione di una mera concessione umanitaria da parte dello Stato", aggiunge Amnesty.

Altre tre persone rimangono bloccate in Israele: queste, che in questi dieci anni hanno costruito una famiglia, hanno infatti chiesto di poter entrare nel nostro Paese con le loro mogli e i loro figli. Gli altri cittadini eritrei che si trovavano in Israele, dopo lunghi periodi di detenzione, sono stati rimpatriati e le associazioni hanno perso le loro tracce.

Prospettive future

La sentenza, che ieri è stata finalmente attuata, è oggi più attuale che mai. Amnesty, in conclusione, spiega il perché:

La decisione è più che mai attuale nel contesto attuale che implementa forme di respingimento sempre più celeri e numericamente rilevanti sia alle frontiere terrestri che marittime, svuotando illegittimamente il diritto di asilo con prassi illegittime come quelle che accrescono la difficoltà nell’accesso a una informazione adeguata sulla possibilità di manifestare la volontà di richiedere asilo e impediscono di fatto a rifugiati e richiedenti asilo di vedere registrata la propria volontà di richiedere protezione e quindi subire una riammissione nel proprio paese di origine a rischio di subire trattamenti disumani e degradanti e persecuzioni di vario genere.

È evidente, infine, che ove fosse accertata una responsabilità delle autorità italiane nell’attuazione dell’insieme di misure che hanno trasformato i respingimenti in una progressiva delega alla Libia per il blocco dei migranti, con i medesimi risultati in termini di mancato accesso alla protezione, migliaia di persone potrebbero essere interessate dai principi contenuti nella sentenza

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