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“Siamo abbandonati qui. Non possiamo tornare indietro e nessuno ci vuole”: i racconti dalla Libia

I centri di detenzione in Libia sono una “catastrofe sanitaria”, denuncia Medici Senza Frontiere. In questi luoghi, dove sono recluse arbitrariamente centinaia di persone, i servizi igienici si contano su una mano, non c’è accesso ad acqua potabile e regnano le epidemie: “Questo brutale sistema di detenzione, deliberatamente alimentato dall’Europa, sta mettendo in pericolo la vita dei rifugiati”.
A cura di Annalisa Girardi
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Medici Senza Frontiere (Msf) torna a denunciare la "catastrofe sanitaria" che è la realtà attuale dei centri di detenzione in Libia. Da settembre dello scorso anno, riporta la Ong, almeno 22 persone sono morte per malattia nei campi di detenzione di Zintan e Gharyan, situati nella regione a sud di Tripoli e spesso destinazione di molti migranti che vengono intercettati dalle autorità libiche e rinchiusi arbitrariamente in questi centri. Qui i medici dell'organizzazione hanno confermato un bilancio allarmante, per cui centinaia di individui bisognosi di protezioni internazionale e riconosciuti dall'Unhcr come rifugiati o richiedenti asilo, sono stati lasciati a sé stessi senza alcun tipo di assistenza. Negli ultimi 9 mesi, dichiara Msf, sono morte in media 2-3 persone al mese.

La Ong si è recata per la prima volta a Zintan lo scorso maggio, dopo aver ottenuto l'accesso da parte del Dipartimento per il contrasto all'immigrazione illegale libico, trovando uno scenario disumano. Circa 900 persone si trovavano in quel momento nel centro, di cui 700 recluse in un capannone con appena quattro servizi igienici, nessuna doccia e nessun accesso all'acqua potabile. "Probabilmente da mesi era in corso un’epidemia di tubercolosi. La situazione era così critica che durante le nostre prime visite abbiamo dovuto provvedere a diversi trasferimenti di emergenza verso alcuni ospedali", ha raccontato Julien Raickman, il capomissione dell'organizzazione in Libia. Ma il trasferimento spesso non rappresenta una soluzione. Infatti, precedentemente, alcune persone che presentavano condizioni di salute particolarmente a rischio, erano state spostate presso il centro di Gharyan: tuttavia il sito si trova sull'attuale linea del fronte nella guerra tra il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, e l'esercito del generale Khalifa Haftar. Per coloro che sono rimasti intrappolati in questa zona, circondati dai combattimenti, la situazione è pericolosa e imprevedibile, dal momento che la circolazione delle ambulanze e dei soccorritori può venire ostacolata in qualsiasi momento a causa del conflitto. Ciò significa che spesso, anche in situazioni per cui è questione di vita o di morte, arrivare a un ospedale o a una struttura sanitaria adeguata è semplicemente impossibile. Oltre che nella risposta medica alla crisi, l'Ong è anche impegnata nella distribuzione di cibo, latte in polvere, vestiti e articoli per l'igiene. Ma non solo: gli attivisti della Ong stano anche lavorando per la riparazione del sistema di approvvigionamento idrico.

I respingimenti europei supportano violenza e detenzione

In una nota, Msf segnale che la maggior parte delle persone rinchiuse nei centri di Zintan e Gharyan vengono da Eritrea e Somalia e hanno raggiunto la Libia dopo un calvario di sofferenza, violenza e maltrattamenti. "Nonostante esistano i meccanismi per traferire questi rifugiati e richiedenti asilo in paesi in cui le loro richieste di protezione possano essere esaminate, sono drammaticamente sottoutilizzati:da novembre 2017, solo 3.743 persone sono state evacuate dalla Libia dall’Unhcr, principalmente in Niger, dove devono aspettare che un paese conceda loro asilo", afferma l'Organizzazione. Lo scorso giugno l'Agenzia delle Nazioni Unite è riuscita a trasferire a Tripoli 96 rifugiati, che ora aspettano di essere evacuati al Paese. "Ma che cosa accadrà alle centinaia di persone rimaste nei centri?", si chiede Raickman, sottolineando che invece di ricevere la protezione a cui hanno diritto, questi migranti sono condannati ad un ciclo di violenze e detenzioni. Nonostante questo sia stato ormai ampiamente documentato, i Paesi europei continuano a respingere queste persone, in vere e proprie violazioni del diritto internazionale.

"Siamo abbandonati qui. Non possiamo tornare indietro e nessuno ci vuole da qualche altra parte. Davvero non so dove sia il mio posto in questo mondo", ha raccontato un giovane rifugiato eritreo. Sono molti quelli a Zintam che raccontano esperienze simili, denunciando i rapimenti che i trafficanti di umani utilizzano per chiedere soldi alle loro famiglie. Sono anche numerosi coloro che raccontano di aver cercato una via di fuga attraverso il Mediterraneo, ma di aver trovato solo lo stop della Guardia costiera libica, spalleggiata dalle politiche europee, che li ha riportati nei centri di detenzione. Altri ancora, dicono di essere rimasti intrappolati nei combattimenti tra milizie rivali per poi finire nei campi vicino Tripoli. Msf vede una sola soluzione, ossia l'evacuazione dalla Libia: "Questo è possibile solo se i paesi sicuri in Europa o altrove rispettano i loro obblighi in materia di asilo e se gli stati europei interrompono la loro orribile e illegale politica di respingimento forzato in Libia. Zintan non è un’eccezione: è un brutale esempio di come questo sistema di detenzione, deliberatamente alimentato dall’Europa, stia mettendo in pericolo la vita dei rifugiati", conclude Raickman.

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