Si ferisce dopo l’ora di ginnastica, ma la scuola non paga: per la Cassazione a 17 anni si è “quasi adulti”

Era una giornata qualunque di scuola, e l'ora di educazione fisica si era appena conclusa. Nel trambusto degli spogliatoi maschili un casco da moto scivola dalle mani di uno studente e colpisce al volto un ragazzo di 17 anni. Un colpo violento, due denti rotti, e una storia che, da un semplice incidente tra coetanei, finisce sui tavoli della Corte di Cassazione. Perché proprio dietro a quel gesto involontario, apparentemente banale, si è aperta una domanda di fondo: fino a che punto la scuola è responsabile per ciò che accade dentro le sue mura?
Dal primo risarcimento al ribaltamento in appello
In un primo momento il tribunale aveva dato ragione al ragazzo, riconoscendo un risarcimento per il danno subito. Così la scuola, e di conseguenza il Ministero dell'Istruzione, venivano considerati responsabili in base al principio secondo cui l'istituto ha l'obbligo di garantire la sicurezza e l'incolumità degli studenti per tutto il tempo in cui si trovano a scuola.
Ma la Corte d'Appello ribaltò poi la decisione: i giudici di secondo grado ritennero infatti che l'incidente fosse avvenuto in circostanze imprevedibili e in un luogo, lo spogliatoio maschile, dove la docente, donna, non poteva essere presente. Non solo, sia il ferito che il compagno coinvolto avevano 17 anni, quindi prossimi alla maggiore età: ragazzi ormai "formati", in grado di comprendere le proprie azioni e di comportarsi con prudenza.
Secondo i giudici, in queste condizioni sostanzialmente non si poteva parlare di "culpa in vigilando", cioè di mancanza di sorveglianza da parte della scuola o degli insegnanti.
Il ricorso in Cassazione e il ragionamento dei giudici
Il ragazzo non si è però arreso e ha portato il caso davanti alla Corte di Cassazione, chiedendo che fosse riconosciuta la responsabilità dell'istituto. Ma anche lì i giudici supremi hanno confermato la decisione d'appello, escludendo qualunque obbligo di risarcimento.
Nella loro motivazione hanno richiamato un principio ormai consolidato e cioè il dovere di vigilanza degli insegnanti non è uguale per tutte le età. Più gli studenti sono piccoli, più la scuola deve esercitare una vigilanza stretta; ma quando i ragazzi si avvicinano alla maggiore età, e quindi a un pieno discernimento, non si può pretendere un controllo continuo e costante. La Cassazione ha anche sottolineato che l'evento era imprevedibile e non derivava da un'omissione della scuola: il casco che ha provocato il danno, spiegano i giudici, "è da considerarsi un capo di abbigliamento sportivo", non un oggetto pericoloso introdotto in modo improprio nello spogliatoio. Di conseguenza, non si può parlare di negligenza nell'organizzazione o nella sorveglianza degli spazi.
Il principio stabilito: la scuola risponde solo se c'è una colpa concreta
Nella sentenza, la Corte ribadisce che con l'iscrizione di un alunno nasce un rapporto contrattuale tra scuola e studente, che comporta l'obbligo dell'istituto di vigilare sulla sua sicurezza durante tutte le attività scolastiche; tuttavia, aggiungono i giudici, la scuola può liberarsi da responsabilità se dimostra che l'evento dannoso è stato determinato da una causa non imputabile né all'istituto né ai docenti.
E in questo caso, come ha osservato la Cassazione, la prova c'era: l'incidente era accaduto in un contesto privo di negligenza, provocato da un coetaneo che aveva ormai "completa capacità di discernimento". Insomma, una bravata tra ragazzi grandi, non un errore di vigilanza.