Sgombero Askatasuna, Morassut (Pd): “Governo ipocrita, con Casapound si gira dall’altra parte”

A Torino, il centro sociale Askatasuna ha subito uno sgombero della sede che occupava dal 1996 – quasi trent'anni in cui la realtà si era radicata nel territorio, arrivando anche negli ultimi anni a stilare un ‘patto' con il Comune per l'utilizzo dell'immobile in questione. L'intervento della polizia all'alba di giovedì 18 dicembre, con il ritrovamento anche di sei attivisti nei piani dell'edificio che erano stati dichiarati inagibili, ha fatto crollare l'intesa.
Roberto Morassut, deputato del Partito democratico, ha risposto alle domande di Fanpage.it sulla vicenda. Ha sottolineato che la perquisizione e il relativo sgombero sono avvenuti a seguito di un'inchiesta che riguarda diversi episodi registrati nel corso di manifestazioni: la temporanea occupazione dei binari della stazione di Porta Nuova e Porta Susa a fine novembre, gli attacchi subiti dalle sedi di Officine grandi riparazioni e Leonardo a inizio ottobre, e soprattutto l'assalto alla Stampa avvenuto il 28 novembre.
È giusto, ha detto Morassut, che le istituzioni intervengano di fronte a "qualunque azione di sopraffazione". Allo stesso tempo, però, è "ipocrita" la posizione del governo e del centrodestra, che da anni ignora l'occupazione della sede romana di Casapound. Secondo il deputato serve un "protocollo" che regoli l'uso degli spazi pubblici da parte delle associazioni giovanili: per favorirle, ma a patto che non si "professino ideologie di sopraffazione.
Onorevole, cosa ne pensa dello sgombero del centro sociale Askatasuna?
Qualunque azione violenta, qualunque azione di sopraffazione, va condannata e va stroncata con tutte le forme legali possibili. Quello che è successo a Torino non poteva che trovare una risposta altrettanto efficace da parte delle istituzioni.
Parla dell'assalto alla Stampa avvenuto a fine novembre? Proprio dall'inchiesta su quell'episodio, e altri simili nelle settimane precedenti, è arrivata la perquisizione dell'edificio.
Certo, questo è il collegamento. Io penso che in tutte le città sia giusto, e anzi che sia necessario, favorire l'associazionismo giovanile garantendo spazi pubblici – dietro pagamento di affitti calcolati sulla base di adeguate convenzioni. Queste associazioni possono essere di ogni colore politico, di ogni ispirazione culturale. Non importa. Ma devono esserci dei criteri molto chiari, e molto rigidi, sul rispetto di alcune regole di fondo.
Quali?
Non si devono professare ideologie di sopraffazione: antisemite, naziste, fasciste, omofobe, sessiste. E, conseguentemente, questi luoghi pubblici non devono diventare dei centri di organizzazione di azioni violente. Questo vale per ogni tipo di associazione e ogni tipo di luogo.
Mi pare, però, che questo governo non applichi questa obiettività, nel giudizio e nelle azioni, e scelga invece di girarsi dall'altra parte in alcuni casi.
Si riferisce all'immobile occupato da Casapound a Roma, in cui il movimento neofascista ha sede dal dicembre 2003?
Si, certo.
Quest'estate, su pressione delle opposizioni, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi (che ieri ha celebrato l'operazione all'Askatasuna) aveva detto che anche la sede di Casapound sarà sgomberata, ma non ha dato indicazione sulle tempistiche, e finora dal governo non è arrivata nessuna pressione su questo. È qui la contraddizione?
Basta ricordare che Casapound ha fatto parte della rissa che ha scatenato l'azione di aggressione della Cgil. È un'immagine che ricorda cose di cent'anni fa. Chiunque si unisca, partecipi, favorisca, organizzi azioni di questo tipo, deve essere represso sul piano dell'ordine pubblico e se ha una sede pubblica gli va tolta. Questo è del tutto evidente, e su questo il governo e ampi settori dei partiti della maggioranza hanno una posizione ipocrita.
In un'intervista al Corriere della sera, il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha detto: "Io su Casapound la penso come su Askatasuna, quel palazzo va sgomberato". È evidente, però, che la linea dell'esecutivo negli ultimi anni sia stata ben diversa.
Certo. Quello di Casapound resta un equivoco che si è consolidato nel tempo.
Quando partì l'occupazione della sede, lei era assessore all'urbanistica a Roma. C'era un progetto diverso, inizialmente?
Nei primi anni Duemila a Roma, sotto l'amministrazione Veltroni, c'era l'idea di fare in modo che certe antiche contrapposizioni, certe violenze che venivano dagli anni Settanta e Ottanta, potessero essere superate. Ricordo tante iniziative in questo senso. Una su tutte: l'incontro tra i genitori di Valerio Verbano e i genitori dei fratelli Mattei di Primavalle. Si cercava di favorire un'altra epoca, e in un certo senso anche Casapound rientrava in quell'ottica.
Questa linea, però, è stata tradita negli anni successivi. È chiaro, ormai, che bisogna rivederla.
L'episodio dell'Askatasuna dà anche l'occasione per tornare a chiedere al governo di dedicare la stessa attenzione a Casapound? Pensa che le vostre richieste resteranno ancora senza riscontro?
È una richiesta che va fatta, non so se il governo darà riscontri. Quello che sicuramente bisogna fare è costituire un protocollo che sia la base di fondo per operazioni di questo tipo.
Un ‘patto' tra le istituzioni e le associazioni?
Un protocollo che stabilisca chiaramente: si utilizza il patrimonio pubblico e si sostiene l'associazionismo giovanile solo a patto di rispettare certe regole di fondo. Queste regole vanno codificate in atti che poi valgano anche per gli enti locali. Per una società che deve essere aperta e tollerante, ma in modo non violento.