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Pisapia: “Fine vita, ora serve una legge sulla dolce morte”

Non punire il medico che pratica l’eutanasia, se sussistono determinate circostanze. Ecco la proposta che si ispira alla legge francese dell’eurodeputato Pd, che da anni si occupa del tema. Nel giorno della sentenza su Dj Fabo, la politica deve riscoprire la sua funzione legislativa, senza farsi scavalcare dalle sentenze della magistratura.
A cura di Redazione
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Riceviamo e pubblichiamo un contributo a firma dell’Europarlamentare ed ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia (Pd)

Ci sono momenti in cui si ha modo di comprendere l’onore e l’onere dell’essere legislatore. In questi casi si percepisce l’importanza di essere chiamati a trovare una soluzione legislativa contemperando, spesso, posizioni e visioni differenti oltre che diritti diversi. A volte poi si è chiamati a trovare una soluzione (definitiva o parziale) a temi che ci sovrastano: come ad esempio la vita e la morte, la sofferenza e la dignità, il fine vita e la coscienza. Ogni giorno  la cronaca ci presenta casi che ci interpellano e che invitano a una riflessione.

Chi può rimanere inerte di fronte alla testimonianza di una mamma con due figli partoriti in due momenti diversi della vita ed entrambi colpiti da sclerosi laterale amiotrofica? Una madre pronta ad accettare e rispettare, quando sarà, la volontà finale di chi è sangue del suo sangue. Persone amate, accudite, fatte crescere al meglio e rispettate, anche e soprattutto nella loro volontà finale perché la vita e il corpo sono diventati una prigione.

Alleanza medico-paziente: è il richiamo che ci viene spesso dal mondo medico. Un monito sacrosanto e allo stesso tempo un invito a rispettare quella sfera. Proprio per il rispetto che si deve al malato e al medico il legislatore non può più permettersi di ignorare il problema. La questione del fine vita deve essere affrontata, rispettando le volontà che il paziente ha espresso in coscienza. Le disposizioni anticipate di trattamento sono state sì un passo importante, ma non risolutivo.

Solo tre anni fa davanti a un caso che sconvolse le nostre coscienze ricordai come fosse “giusto parlare, oltre che di vita dignitosa, anche di morte dignitosa per chi si trova in condizioni disperate e senza speranza di un futuro.”. Sono passati tre anni, abbiamo vissuto la vicenda di DJ Fabo, abbiamo seguito il processo a Marco Cappato e ancora oggi il Parlamento non ha affrontato la questione. Non mancano proposte di legge sulla “morte dignitosa” ma sinora sono mancati un confronto e un dibattito alto e rispettoso di tutte le posizioni perché il tema di una “giusta morte” dilania le coscienze, fa vacillare la fede personale, provoca domande sul senso della vita che difficilmente trovano una risposta certa e definitiva.

Nel corso della riflessione condotta tre anni fa indicavo alcune proposte che qui ripropongo: “Si potrebbe prevedere la non punibilità del medico che pratica l'eutanasia se rispetta precise condizioni e procedure. Mi limito ad accennarne alcune. Il paziente deve essere capace di intendere e volere al momento della richiesta di eutanasia (se non in grado di decidere autonomamente, a causa della malattia, possono farla i familiari); la richiesta deve essere volontaria, ponderata e ripetuta e non deve esserci stata alcuna pressione esterna; chi chiede la "dolce morte" deve essere affetto da una malattia con prognosi infausta e in fase terminale, senza alcuna prospettiva di sopravvivenza; le sue sofferenze fisiche o psichiche devono essere costanti e insopportabili tanto da non poter essere eliminate con trattamenti farmacologici. Il medico deve dare, previo consulto con altro medico e con l'équipe sanitaria,  piena informazione al paziente sulle prospettive di vita e su eventuali efficaci trattamenti palliativi. Una Commissione nazionale, di cui facciano parte medici, psicologi, professori universitari e anche esperti di materie giuridiche, dovrà verificare, qualora vi siano dei dubbi, se siano state rispettate le condizioni e le procedure previste dalla legge.” Ripresento qui queste idee nella speranza che possano essere d’aiuto al cammino che il legislatore deve intraprendere. Abbiamo un esempio che possiamo seguire? A mio parere sì e ci viene da un Paese a noi vicino: la Francia. Dopo la prima legge Leonetti sul “fin de vie” nel 2015 l’Assemblea Nazionale transalpina ha adottato una norma che propone una "sedazione profonda e continua" per i pazienti in fase terminale. Siamo di fronte a un passaggio in più rispetto alla legge che vietava l’accanimento terapeutico. Questo dispositivo non prevede l’eutanasia tout court come ad esempio succede in Olanda, Svizzera e Belgio, ma si arriva a una fase definita: dormire prima di morire per non soffrire. Penso che questa “soluzione” potrebbe raccogliere un consenso ampio e bipartisan come avvenuto in Francia (il dispositivo venne  presentato da un deputato socialista e uno neogollista) e potrebbe essere un valido punto di partenza e di confronto con quanti considerano la vita. Mai come in questo caso si devono evitare battaglie ideologiche e scontri faziosi. Sono temi troppo alti che meritano l’ascolto attento, il silenzio, la meditazione, la ponderazione, il discernimento e poi la decisione.

La Corte Costituzionale con la sua sentenza di mercoledì 25 settembre ha stabilito che non è punibile “chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un
paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Sono ben nove le proposte di legge depositate in Parlamento dalle varie forze politiche ma tutto è fermo. Nel frattempo troppi cittadini di ogni età, ormai senza più nessuna aspettativa di vita, giacciono in condizioni di estrema, inutile sofferenza in attesa della morte e questo, semplicemente, non è più accettabile. È ora che a livello parlamentare si arrivi al più presto a un provvedimento atteso da molti e non più rimandabile, anche . Lo si deve al popolo italiano, lo si deve prima di tutto alla coscienza del legislatore.

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