Piantedosi dice che il vero problema del caso Paragon è che le vittime sono state avvisate

Il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, ha commentato il caso Paragon. Ma non per promettere che il governo si muoverà per individuare chi abbia spiato in Italia i giornalisti di Fanpage e altri ancora (come Roberto D'Agostino, fondatore di Dagospia, nome emerso ieri dagli atti della Procura di Roma). No, il titolare del Viminale, parlando al Taormina International Book Festival, ha invece rivolto l'attenzione a quello che secondo lui è stato il vero problema: cioè che le persone spiate siano state avvertite.
La cosa importante per Piantedosi non è chi ha spiato illegalmente dei giornalisti
Come è noto, i giornalisti vittime di Graphite – lo spyware realizzato dall'azienda Paragon – hanno ricevuto un avviso in alcuni casi da Meta (Whatsapp), in altri da Apple, che il loro dispositivo era stato sottoposto a spionaggio. Per Piantedosi il punto non è tanto chi abbia spiato queste persone, illegalmente, in un Paese democratico che dovrebbe tutelare la libertà d'informazione, ma che "anche qualche terrorista o qualche mafioso" avrebbe potuto essere avvertito.
Il ministro ha iniziato il discorso sottolineando che Paragon aveva venduto il proprio spyware "come fortemente performante per intercettare mafiosi, terroristi", mantenendo "un paradigma assoluto della riservatezza e della segretezza di queste cose". E poi si è chiesto: "Così come si è saputo, se è vero, che sono state intercettate queste persone – e se illegalmente me ne dolgo assolutamente e spero sia perseguito chi l'ha fatto", e "se era così rintracciabile l'intercettazione, siamo sicuri che qualche terrorista o qualche mafioso non sia stato avvisato?".
Quello che il ministro non dice sul caso Paragon
Piantedosi, insomma, ha saltato a piedi pari tutte le questioni estremamente controverse, sul piano politico e legale, che stanno alla base del caso Paragon. Innanzitutto, non c'è bisogno di specificare "se è vero che sono state intercettate": la conferma è già arrivata da accertamenti tecnici che anche il Parlamento italiano, tramite il Copasir, considera affidabili.
Il ministro ha anche aggiunto "se illegalmente me ne dolgo assolutamente". Anche in questo caso, non c'è alcun "se": lo spionaggio è stato illegale. Lo dimostra se non altro il fatto che finora nessuno dei soggetti che avevano la possibilità di effettuarlo (ovvero i servizi segreti) se ne è preso la responsabilità. Senza contare che spiare giornalisti professionisti è espressamente vietato dalla legge, ed è proprio ciò che è successo. Se poi non fosse stato illegale, in qualche modo, significherebbe che è stato autorizzato dal governo: a quel punto il ministro avrebbe certamente qualcosa di cui "dolersi", perché sarebbe un atto politico gravissimo.
Per quanto riguarda il "spero sia perseguito chi l'ha fatto", il ministro potrebbe fare molto più che sperare. Vero, le Procure di Roma e di Napoli sono al lavoro sulla vicenda. Ma Paragon vende il proprio spyware solo ai governi, incluso quello italiano. Se c'è da scoprire come e da chi è stato usato, quindi, dovrebbe essere proprio l'esecutivo in primis a mobilitarsi.
La preoccupazione del ministro: "Lo spyware di Paragon era troppo debole"
Non sono queste, però, le questioni che preoccupano Piantedosi, come detto. "Questa società avrebbe dovuto fornire un prodotto assolutamente insondabile, blindato, dal punto di vista delle persone attinte – legalmente, si presume – da questa attività d'intercettazione".
Il problema perciò è che il prodotto di Paragon non fosse abbastanza segreto: "Ora la stessa società ci rivela che era un sistema debolissimo e quindi intercettabile da terzi soggetti. Questo, dico, è la prima cosa su cui non si sono posti molti interrogativi".
Certo, c'è il rischio che alcune persone siano a venute sapere che erano sottoposte a spionaggio – come è avvenuto agli attivisti della Ong Mediterranea. E la questione era già stata posta anche dal Copasir nella sua relazione finale. Ma sembra evidente che, quando viene fuori che qualcuno ha spiato illegalmente dei giornalisti in Italia, il ministro dell'Interno dovrebbe avere ben altre questioni di cui preoccuparsi.
Renzi: "È il Watergate italiano, silenzio scandaloso di giornali e politica"
Sulla vicenda Paragon è tornato a insistere anche Matteo Renzi, leader di Italia viva, che sui social ha definito con un hashtag il caso il "Watergate italiano". "È sconvolgente il silenzio di tanti giornalisti e politici sullo spionaggio legato a Paragon, anche dopo l’attacco a una testata irriverente e critica come Dagospia", ha scritto Renzi.
L'ex premier ha detto che "il governo Meloni è responsabile di uno dei più clamorosi scandali della storia repubblicana. Eppure in tanti, troppi, hanno paura a esporsi. Io continuo a metterci la faccia, a viso aperto. Sono stato il primo e spero di non essere l’ultimo". Renzi ha detto che è intenzionato ad andare "fino in fondo", non "per simpatia con singoli giornalisti o attivisti", ma per "difendere la credibilità delle istituzioni democratiche".