292 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Perché l’Italia ha detto no alla ratifica del nuovo Mes e qual è il vero obiettivo di Giorgia Meloni

Lo stop alla riforma del Mes, più che una ripicca, è stata una mossa della disperazione per riaprire la partita negoziale. E anche, già che ci siamo, una mossa pre-elettorale, per evitare a Salvini il presidio dell’anti-europeismo – dopo che Meloni aveva per anni tuonato contro le eurocrazie, i fondi salva Stati e quelli salva banche – e per trovare un nuovo nemico esterno da dare in pasto all’opinione pubblica, dopo i rave, i migranti, il gender e Roberto Saviano.
292 CONDIVISIONI
Immagine

Che il Meccanismo Europeo di Stabilità, per gli amici Mes, sia da sempre uno spauracchio agitato dagli euroscettici e dai nazionalisti come prova regina dell’esistenza di un’eurocrazia che ci togli sovranità per regalarla a Bruxelles, con la tacita complicità delle élite europeiste, non è una novità. Che per la prima volta questa canea, col voto contrario alla ratifica delle modifiche del Mes, diventi linea ufficiale del governo italiano, e di buona parte della maggioranza che lo sostiene, invece sì, lo è eccome.

Bisogna partire da qui, per capire cosa sta succedendo in queste ore. Per poi scendere uno scalino alla volta e farsi qualche domanda su perché sia successo e su cosa succederà d’ora in poi.

Perché è successo, innanzitutto. All’atto pratico, per due ordini di ragione distinti, uno tattico e l’altro strategico. Partiamo dalla tattica: il governo stava negoziando con Bruxelles su tre distinte partite, in queste ultime settimane del 2023. La più importante delle tre riguarda le nuove regole del Patto di Stabilità e Crescita, quell’insieme di parametri che la Commissione Europea utilizza per promuovere o bocciare la legge di bilancio di uno Stato membro. La seconda, in ordine d’importanza è quella relativa al prossimo bilancio dell’Unione Europea, dal quale l’Italia si aspettava soldi per gestire i flussi migratori e per le imprese in difficoltà.La terza era, per l’appunto, la ratifica del trattato di modifica del Meccanismo Europeo di Stabilità e sembrava più una formalità che altro, per diversi ordini di ragioni.

Il primo: perché di fatto l’Italia già aveva già negoziato e approvato nel merito le modifiche al trattato, coi ministri Tria e Gualtieri durante i governi Conte I e II. Il secondo: perché di fatto, quelle modifiche non cambiano nulla o quasi relativamente ai meccanismi di funzionamento del Mes, salvo farlo rientrare a pieno titolo nell’alveo del diritto comunitario – fino ad ora è una società di diritto privato che ha degli Stati come sottoscrittori – e dargli più soldi e potere nella gestione delle crisi delle banche, oltre a quelle degli Stati. Il terzo: perché da quando il Mes esiste nessun Paese ha mai chiesto di attivare le linee di finanziamento per rispondere a un attacco speculativo contro il proprio debito sovrano.

Quest’ultimo punto, che molti oppositori del Mes, additano a suprema prova dell’inutilità di questo “fondo Salva Stati”, è in realtà un ottimo argomento a favore della sua sopravvivenza. Un prestatore di ultima istanza che garantisce una linea di credito aperta a un debitore insolvente – quale può essere uno Stato con un debito pubblico abnorme e lo spread alle stelle – è infatti il miglior deterrente possibile affinché i mercati scommettano sul suo default. Detto in altre parole: il Mes non è un ombrello da aprire quando piove, ma uno strumento per evitare che piova.

Questo valeva fino a ieri, quando la Banca Centrale Europea rastrellava titoli di debito attraverso il Quantitative Easing e i tassi d’interesse erano sotto zero. E vale ancora di più oggi, coi tassi d’interesse che sono tornati a crescere e con la Bce che sta rallentando i suoi acquisiti di debito pubblico, cosa che nemmeno rientra nei suoi obiettivi statutari, peraltro. Modificare il Mes aveva questo preciso obiettivo, del resto: far rientrare nell’alveo delle istituzioni europee un ente di diritto privato che lo era de facto. E far tornare la Bce a fare quel che dovrebbe fare.

Torniamo alle ragioni tattiche, quindi. In estrema sintesi, l’Italia – che in questi anni di pandemia e guerra – ha approfittato di tutte le deroghe possibili alle regole del “vecchio” patto di stabilità – aveva bisogno di un po’ di ossigeno per rientrare nei parametri. Nei fatti, di un ulteriore biennio di deroghe rispetto a nuovi parametri che sì, avrebbero previsto più deroghe e discrezionalità in capo alla Commissione, ma anche paletti più rigidi per gli Stati sovra indebitati. In questa battaglia, Meloni aveva trovato nel presidente francese Macron – anche lui con un deficit molto importante da dove gestire – un insolito alleato. L’accordo franco-tedesco dei giorni scorsi, nei fatti, ha lasciato l’Italia a mani vuote e col cerino in mano.

Lo stop alla riforma del Mes, più che una ripicca, è stata una mossa della disperazione per riaprire la partita negoziale. E anche, già che ci siamo, una mossa pre-elettorale, per evitare a Salvini il presidio dell’anti-europeismo – dopo che Meloni aveva per anni tuonato contro le eurocrazie, i fondi salva Stati e quelli salva banche – e per trovare un nuovo nemico esterno da dare in pasto all’opinione pubblica, dopo i rave, i migranti, il gender e Roberto Saviano.

Cambierà qualcosa per l’Italia? Probabilmente no. Il Mes esiste anche senza modifiche ai trattati e continuerà a svolgere la sua funzione di deterrente anche senza la ratifica dell’Italia. Quel che cambia, semmai, è altro, ed è la ragione strategica dietro al No di Giorgia Meloni e del suo governo: la volontà di promuovere un’Europa delle Nazioni in cui le ingerenze di Bruxelles siano ridotte al minimo indispensabile, che per la destra italiana vuol dire presidio dei confini e soldi agli agricoltori.

Il Mes, anche solo in ragione della sua esistenza nei trattati comunitari, è fumo negli occhi per chi, come Meloni e Salvini, vuole avere le mani libere per spendere quel che vuole quando vuole e come vuole.
Il problema, semmai, è quella solita fastidiosissima cosa chiamata realtà. Perché il nostro debito rimane enorme e la nostra vulnerabilità finanziaria pure, con o senza riforma del Mes. Così come, del resto, rimane fragile buona parte del nostro sistema bancario, che di certo non beneficia di un’economia in salute e in crescita. Con il nostro No abbiamo semplicemente reso ancora più debole e delegittimata la nostra presenza in Europa. E contestualmente, abbiamo impedito scientemente all’integrazione delle istituzioni europee di fare un piccolo passo avanti. Dal 9 giugno capiremo quanto peserà questo disegno strategico negli equilibri europei. E forse questo è il cuore di tutta la vicenda.

292 CONDIVISIONI
Immagine
Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views