Perché l’Inno di Mameli è cambiato e non si dovrà più gridare “Sì” alla fine

"Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò". Senza "sì!" finale. Così l'inno di Mameli dovrà essere eseguito nelle cerimonie ufficiali. Lo ha stabilito un decreto del presidente della Repubblica approvato dal governo Meloni a marzo, pubblicato in Gazzetta ufficiale a maggio, e ora ribadito da una comunicazione interna delle forze armate.
Il decreto in questione, risalente al 14 marzo di quest'anno, era passato sostanzialmente sotto traccia. Al suo interno si stabiliscono le "modalità di esecuzione dell'Inno nazionale", che è ufficiale solamente dal 2017. Per la maggior parte si tratta di indicazioni note. Ad esempio: "Durante l'esecuzione i presenti sono in piedi, in posizione composta, in silenzio oppure partecipando col canto".
Ma poi si specifica che "nelle cerimonie alla presenza di una bandiera di guerra o d'istituto", oppure quando c'è il presidente della Repubblica, o "in occasione delle festività nazionali, in Italia e all'estero", l'inno deve essere eseguito "ripetendo due volte di seguito le prime due quartine e due volte di seguito il ritornello del testo di Goffredo Mameli, come previsto dallo spartito originale di Michele Novaro". E qui, implicitamente, c'è la novità.
È facile risalire ai documenti, originali, perché sono pubblicati sui siti istituzionali. Qui, ad esempio, c'è una copia autografa del testo scritto da Mameli e dello spartito originale di Novaro. E si nota che, nel testo, il "sì!" finale non c'è. Lo stesso vale se si va a cercare sul sito ufficiale del Quirinale, che riporta il testo senza esclamazione alla fine. Anche la registrazione usata sul sito della presidenza della Repubblica per rappresentare l'inno – che risale al 1961 – finisce semplicemente con "l'Italia chiamò".
Peraltro, il decreto specifica anche che "occasione di eventi sportivi di rilevanza nazionale o internazionale, in Italia o all'estero, negli eventi o nelle sedi di Istituzioni pubbliche, o in occasione di manifestazioni pubbliche", l'inno si può fare con qualche variazione (con strumenti diversi, con "tonalità o voci" differenti), ma non fa riferimento a una versione diversa del testo. Si può immaginare, quindi, che anche per l'inno cantato alle partite di calcio – in teoria – la legge preveda di non cantare il "sì".
A confermare il cambiamento è stato un documento dello Stato maggiore di Difesa, riportato dal Fatto quotidiano, in cui si legge appunto: "In occasione di eventi e cerimonie militari di rilevanza istituzionale, ogniqualvolta venga eseguito ‘Il Canto degli italiani’ nella versione cantata non dovrà essere pronunciato il ‘sì!’ finale". Una regola a cui bisogna dare "scrupolosa osservanza".
La scelta sembra quindi una precisazione da ‘puristi', per attenersi del tutto al testo originale scritto da Mameli. Va detto, comunque, che il "sì!" non è un'aggiunta recente, o nata durante le partite della nazionale di calcio: già lo spartito originale scritto da Michele Novaro, all'ultima pagina, riporta un "Sì!" scritto sotto l'ultima nota. Il compositore l'avrebbe spiegato con la volontà di aggiungere "un grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra". Ma il Quirinale ha scelto di cancellarlo, almeno nelle occasioni ufficiali.