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Opinioni

Perché la risposta con cui Draghi ha salvato la poltrona di Durigon è una presa in giro

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha rotto il suo silenzio sul caso Durigon, “salvando” la poltrona del sottosegretario all’Economia con un intervento inconcludente e senza mai scendere nel merito della questione. Pur di conservare quel che resta dell’unità della sua compagine, Draghi dimentica che etica pubblica e trasparenza valgono più degli equilibri interni di qualunque governo.
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Con una laconica risposta all’interrogazione presentata dal deputato Colletti e dal gruppo “L’alternativa c’è”, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha confermato che non ci saranno scossoni all’interno del Governo in seguito all’inchiesta di Fanpage.it sul sottosegretario all’Economia Claudio Durigon. La poltrona dell’esponente leghista, insomma, è salva, malgrado la richiesta del Movimento 5 Stelle, le interrogazioni parlamentari presentate da diversi gruppi politici e nonostante una serie di risultanze giornalistiche abbiano fatto emergere aspetti molto controversi della sua ascesa politica.

Dopo settimane di silenzio totale, è piuttosto singolare il modo in cui Draghi ha scelto di “salvare” il suo sottosegretario, nel primo approdo parlamentare di una questione che in realtà da settimane impegna il dibattito politico italiano. In sostanza, Durigon può tranquillamente restare al suo posto non perché sia stata appurata la sua estraneità ai fatti emersi dall’inchiesta di Fanpage.it o perché sia stata provata l’inconsistenza degli elementi che lo legano a figure discutibili oggetto di indagini della magistratura (figure che hanno contribuito in modo sensibile alla sua elezione alla Camera). No, Durigon può restare al suo posto perché, citiamo Draghi, “i Reparti della Guardia di finanza che hanno svolto le suddette attività investigative sono comandati da ufficiali con il grado di Colonnello, nessun ufficiale Generale ha svolto ruoli direttivi nelle investigazioni oggetto dell’interrogazione”; in ogni caso “la stessa procura di Milano, in data 29 aprile, ha confermato piena fiducia ai militari della Guardia di finanza evidenziandone la professionalità, il rigore e la tempestività negli accertamenti loro delegati”. Argomenti distorsivi, che peraltro né Fanpage.it né altri hanno mai sollevato, e che esulano dal merito della questione e non chiariscono quale sia la posizione del governo in merito agli altri elementi dell'inchiesta oggetto dell'interrogazione parlamentare.

Il Presidente del Consiglio non ritiene di fornire alcun chiarimento né ci fa sapere se ritiene che quelle di Durigon siano semplici millanterie, eventualità che peraltro andrebbe esclusa proprio considerando che il deputato leghista non ha mai fornito una spiegazione né ha mai ridimensionato il peso delle sue parole. Insomma, di fronte agli elementi di un'inchiesta, alla richiesta di chiarimenti di esponenti politici di ogni schieramento, alla mozione di una forza di maggioranza e alle interrogazioni di altre forze parlamentari, l’unica risposta che abbiamo è talmente goffa, lacunosa e omertosa da farci dubitare che possa provenire da un uomo con il carisma e l’autorevolezza del nostro Presidente del Consiglio.

Se dovessimo basarci su quanto ascoltato oggi in Aula, dovremmo concludere che per Draghi non esistono né questioni di opportunità politica, né di moralità dell’etica pubblica. Va benissimo che un esponente delle istituzioni dica di poter controllare un generale della Finanza e non ha importanza il fatto che si tratti di un esponente di primo piano di quel partito che ha contribuito a determinare la nomina dello stesso generale. Va benissimo che un membro del governo possa tranquillizzare un suo uomo sull’esito di un’inchiesta che coinvolge il partito, proprio in ragione della vicinanza con una figura apicale della Guardia di Finanza. Va benissimo che un sottosegretario prometta nomine, consulenze o posti di lavoro agli amici e agli amici degli amici, spingendosi fino al punto di dire “chi vuole, da me può prendere”.

Va benissimo che un uomo di spicco del ministero dell’Economia non abbia mai voluto chiarire pubblicamente i suoi rapporti con Simone Di Marcantonio che, secondo la Dda, attraverso la società Ride Srl, sarebbe uno dei prestanome di Sergio Gangemi, personaggio noto alle cronache giudiziarie perché già condannato a 9 anni in primo grado dalla procura di Velletri per estorsione con metodo mafioso; oppure con l’imprenditore Luciano Iannotta, arrestato nel settembre del 2020 e accusato a vario titolo di corruzione, estorsione e detenzione di armi (addirittura nelle carte dell’ordinanza si fa riferimento a un sequestro di persona ai danni di un funzionario pubblico).

In tanti hanno scritto come, in un altro paese europeo, Durigon sarebbe già stato estromesso dal governo o quantomeno indotto a dimettersi. In questa circostanza, il nostro ruolo di giornalisti, la nostra responsabilità, non è “far dimettere” un politico, ma sollecitare doverose ed esaustive risposte da chi rappresenta le istituzioni. Draghi non lo ha fatto, non ha chiarito nulla e tutto sommato non è stato in grado neanche di difendere il suo sottosegretario. Un atteggiamento inaccettabile, che mortifica tanto il ruolo dei giornalisti che le aspettative di chiarezza e trasparenza dei cittadini. Oggi Draghi è andato oltre il "non vedo, non sento, non parlo", che probabilmente sarebbe stata la sua prima opzione, in assenza di sollecitazioni parlamentari. Oggi Draghi ha utilizzato un tecnicismo (peraltro inconsistente, come avremo modo di chiarirvi) per evitare di fare una scelta chiara e provare a salvaguardare un simulacro di unità all'interno della compagine di governo. Dimenticandosi che etica pubblica e trasparenza valgono più degli equilibri interni di qualunque governo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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