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Covid 19

Perché in questi giorni ci sembra di essere circondati dai casi Covid

Le festività natalizie hanno visto un’impennata dei casi Covid in Italia o è solo una nostra percezione individuale? Proviamo a capire cosa sta succedendo e se dobbiamo (tornare a) preoccuparci.
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Le festività natalizie sono quasi per definizione un’occasione di incontro e condivisione: le famiglie si riuniscono, gli amici passano del tempo insieme, si rivedono vecchie conoscenze e se ne fanno di nuove. Come certamente ricorderete, la gestione delle festività è stata un enorme problema negli anni peggiori della pandemia da coronavirus. Abbiamo convissuto con la paura e con il timore di contagiare i nostri cari, soprattutto se anziani o fragili. E ci siamo rassegnati a rispettare prescrizioni e indicazioni delle autorità, anche quando ci sembravano cervellotiche o controintuitive. Le condizioni sono lentamente migliorate e quei giorni sembrano un ricordo lontanissimo di un problema ormai superato.

In realtà, le cose non stanno esattamente così e questi giorni in qualche modo sembrano volercelo ricordare. Sarà probabilmente capitato a molti di voi di imbattersi in questi giorni in parenti o amici raffreddati o influenzati. Le defezioni a cene o appuntamenti sono state all’ordine del giorno, a volte accompagnate dalla diagnosi nefasta, “ha il Covid”, o dalla frase che non sentivamo da tempo, “sono andato a farmi il tampone”. La sensazione è quella che gli italiani abbiano in qualche modo riscoperto l’esistenza della Covid-19 e che la "convivenza con il coronavirus", opzione drammatica sul piano sanitario, sia diventata lo sfondo di una nuova normalità.

C’è un’esplosione di casi Covid-19 in Italia?

Non è semplicissimo rispondere a questa domanda, che solo apparentemente è banale. Il problema principale è che non abbiamo più a disposizione il volume di dati del passato e che soprattutto non abbiamo più gli stessi strumenti di monitoraggio. Detto in modo brutale: i numeri che circolano sulla diffusione del virus valgono poco o nulla (qui lo spiegava Andrea Crisanti, in modo piuttosto diretto).

I dati su cui ci sono da tempo forti perplessità sono ovviamente quelli della diffusione complessiva. Nei fatti, non esiste un sistema di monitoraggio realmente efficace, vista l’impossibilità di tracciare con buona approssimazione il numero di tamponi che vengono effettuati (le persone ricorrono con grande frequenza ai tamponi cosiddetti casalinghi, i cui risultati non sono registrati da alcuna banca dati). Allo stesso modo, non c’è modo di conoscere il numero di persone contagiate che non si sottopone neanche a tampone, sia perché non lo ritiene necessario, sia perché non riesce a distinguere i sintomi della Covid-19 da quelli di una normale influenza. Detto in maniera semplice: non sappiamo chi si è ammalato e chi no, chi è al lavoro con sintomi, chi si premura di farsi un tampone in presenza di febbre o problematiche respiratorie, chi ha cosa e per quanto tempo.

È però possibile avere comunque dei riferimenti, attingendo a fonti ospedaliere e sanitarie.

Gli ultimi dati ufficiali dell’ISS, relativi al periodo pre-festività, segnalavano un’incidenza pari a 94 casi per 100mila abitanti, con un Rt basato sui casi con ricovero ospedaliero pari a 0,8: parliamo di riscontri sotto la soglia epidemica e in diminuzione rispetto alla settimana precedente. Va detto che le rilevazioni presentano delle fortissime anomalie in quanto a distribuzione territoriale (in Sicilia l’incidenza è di 2 su 100.000, in Abruzzo 222), oltre che i soliti problemi sulla qualità delle trasmissioni degli uffici competenti. Un trend di crescita è invece rilevabile per quanto riguarda le occupazioni dei posti letto in area medica dei casi Covid (11,9% del totale, comunque sotto la soglia del 15%) e in terapia intensiva (2,7%, abbondantemente sotto la soglia del 10%). Sono questi i dati da tenere sempre sotto controllo, perché consentono di capire quale sia il livello di sollecitazione delle strutture ospedaliere e rappresentano un indicatore fondamentale della capacità di cura del sistema sanitario nel suo complesso.

Covid-19, influenza o raffreddore?

Ci sono alcuni indicatori che possiamo considerare per avere un'idea di cosa sta accadendo.

L’ultimo rapporto RespiVirNet, lo strumento dell’Istituto Superiore di Sanità per la sorveglianza integrata dei virus respiratori, è piuttosto utile. Nella settimana che ha preceduto le festività natalizie, infatti, si è registrato un sensibile aumento del numero di casi di sindromi simil-influenzali (ILI) in Italia. È un monitoraggio particolarmente interessante perché i dati arrivano dai medici di base (ci sono oltre mille “medici sentinella”), che registrano le condizioni dei loro assistiti e prendono in considerazione diversi virus respiratori, non solo quelli legati all’influenza o alla Covid-19. La sorveglianza epidemiologica registra un’incidenza in aumento in tutte le fasce di età per le sindromi simil-influenzali, ora pari a 15 casi per mille assistiti. L’incidenza maggiore si registra per i bambini al di sotto dei cinque anni (38 casi per mille assistiti) e tutte le Regioni risultano sopra la soglia basale, con picchi di problematicità in Campania (soglia “molto alta”), Toscana, Emilia Romagna, Marche, Liguria, Piemonte e Lombardia (ricordiamo anche che Calabria e Valle d’Aosta non comunicano i dati, mentre la Basilicata è sotto soglia). Vale però la pena di sottolineare come la scorsa stagione l’incidenza ILI fosse a livelli più alti, in particolare per quanto riguarda i bambini sotto i cinque anni di età.

Come detto, si tratta di dati che prendono in considerazione un’ampia gamma di virus respiratori, dunque consentono di analizzare la situazione in modo più preciso e rispondere anche alla domanda di questi giorni: “È Covid-19, influenza o un semplice raffreddore?”. Nel 22% dei casi analizzati dai medici di base si tratta di influenza, mentre le sindromi associate alla Covid-19 sono il 12,5% del totale, con le restanti che sono da attribuirsi a tutta la restante gamma di virus respiratori (Rhinovirus, Adenovirus eccetera). Del resto, come vi abbiamo spiegato qui, diventa sempre più difficile distinguere la malattia a partire dai sintomi. Le varianti del Coronavirus collegate alla famiglia Omicron (qui l'ultima survey su quelle circolanti in Italia), infatti, sembrano colpire maggiormente le vie respiratorie, con sintomi che possono essere facilmente confusi con quelli dell'influenza o di altri virus respiratori. Sintomi simili, ma solo apparentemente, dato che c'è enorme differenza tra la Covid e la "normale" influenza.

Quindi, come siamo messi?

Ci sono buone ragioni per ipotizzare che la crescita delle infezioni respiratori possa aver subito un’accelerazione ulteriore in questi ultimi giorni. La stima che fa il virologo Fabrizio Pregliasco è di circa un milione di persone malate, con la previsione di un’ulteriore crescita a ridosso di Capodanno. Non sempre influenza, non solo Covid-19, ma in un contesto cui bisogna prestare la necessaria attenzione.

Anche il numero delle vittime registrate per Covid è a livelli alti e destinato a crescere ulteriormente, dopo aver superato le 500 unità settimanali. È l’effetto combinato della fine di ogni tipo di restrizione e cautela, dell’aumento della circolazione determinato dai maggiori contatti sociali e, molto probabilmente, del venir meno di quella sorta di immunità ibrida (vaccino + infezione) che ha protetto molti di noi dal contagio o dalle forme gravi della malattia nel corso di questi mesi. Uno studio pubblicato su Lancet a gennaio dello scorso anno parlava di una protezione parziale dalle reinfezioni per almeno otto mesi, così come altri riscontri scientifici hanno dimostrato come la protezione sia destinata a calare nel tempo. Stando così le cose, è probabile che il tasso di reinfezione possa ancora salire.

C'è un ultimo elemento che potrebbe aver determinato la situazione attuale e che richiederà grande attenzione nelle prossime settimane. La campagna vaccinale d'autunno si è rivelata un flop, come hanno sottolineato diverse volte esperti ed analisti. Le ultime disposizioni, in effetti, raccomandavano una nuova dose per over 60, fragili, lungodegenti, donne in gravidanza o nel periodo di allattamento, oltre che per gli operatori sanitari, a distanza di 6 mesi dall’ultima dose di vaccino ricevuta o dall’ultima infezione e a prescindere dal numero di dosi ricevute o dalle infezioni già avute. La risposta dei cittadini è stata tiepida, per usare un eufemismo, e una vasta parte della popolazione si trova ad avere una protezione ridotta o insufficiente. Un trend che difficilmente si riuscirà a invertire.

Ricapitolando, infine: pur nella difficoltà di reperire dati precisi, abbiamo riscontri su un aumento delle persone che presentano sintomi legati a virus respiratori; non sempre si tratta di Covid-19, ma, dai dati sui ricoveri e dei medici di base, è possibile riscontrare un trend di crescita anche delle infezioni da coronavirus; la combinazione tra aumento dei contatti, allentamento dell'immunità ibrida e flop della campagna vaccinale potrebbe determinare un'ulteriore salita dei contagi nelle prossime settimane; per il momento, non ci sono allarmi per quanto concerne posti letto e terapie intensive, ma resta la necessità di proteggere anziani e fragili. O meglio, resterebbe la necessità di proteggerci tutti, perché c'è ancora tutta la differenza del mondo tra ammalarsi di Covid-19 o meno.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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