Perché il governo Meloni è stato condannato a pagare un miliardo di euro a Tim

Dopo ventisette anni, sembra essere arrivato a conclusione lo scontro tra Tim e lo Stato italiano. E si è chiuso con una condanna per il governo: dovrà versare quasi un miliardo di euro alla compagnia di telecomunicazioni. L'ultima parola è quella della Corte di Cassazione che, stando a quanto ha fatto sapere la stessa Tim, avrebbe confermato l'obbligo di pagare. Il motivo risale al 1998, quando lo Stato chiese all'allora Telecom di versare l'equivalente di circa 500 milioni di euro per un canone che, secondo l'azienda, non era dovuto. Negli anni successivi i ricorsi portarono a una battaglia legale lunghissima.
La sentenza della Cassazione "rigetta il ricorso presentato dalla presidenza del Consiglio dei ministri" lo scorso anno, ha comunicato Tim prima che la decisione fosse resa pubblica dalla Corte. Così, "conferma in via definitiva la decisione della Corte d'Appello di Roma dell'aprile 2024". Il canone versato nel 1998 fu pari a circa 530 milioni di euro, ma tenendo conto degli interessi e della rivalutazione si arriva circa 995 milioni.
Tutto iniziò nel 1997, quando il governo Prodi approvò nella legge finanziaria la liberalizzazione delle telecomunicazioni, che sarebbe partita l'anno successivo. Era un passaggio necessario per l'integrazione, che avrebbe messo fine al monopolio di Telecom. Questo significava anche che l'azienda non avrebbe più dovuto pagare il canone di concessione. Ma la legge stabilì comunque un altro contributo da versare, calcolato sul fatturato.
L'anno successivo, così, Telecom fu appunto chiamata a pagare l'equivalente di circa 530 milioni di euro, di cui 386 milioni relativi a Telecom Italia e 143 milioni relativi a Telecom Italia Mobile (Tim). Il primo ricorso arrivò nel 2000, al Tar del Lazio, che rinviò la decisione alla Corte di Giustizia europea: questa, nel 2008, avrebbe dato ragione a Tim dicendo che il canone era "non dovuto".
Nel frattempo, nel 2003 l'azienda presentò un nuovo ricorso chiedendo che i soldi venissero restituiti. Nel 2008 il Tar decise, questa volta, di dare ragione allo Stato e negare il rimborso. Si andò in appello al Consiglio di Stato, che confermò la decisione a novembre 2009. E, da qui, alla Corte d'Appello di Roma.
Qui l'iter è stato travagliato, e reso anche più complesso da questioni tecniche che hanno rallentato i procedimenti. Fatto sta che il 3 aprile 2024 la Corte ha condannato la presidenza del Consiglio a rimborsare i soldi: 995 milioni di euro. E subito il governo ha fatto un nuovo ricorso, l'ultimo, in Cassazione.
Palazzo Chigi ha chiesto anche di sospendere il pagamento, almeno fino a quando la Corte di Cassazione non si fosse espressa. Una richiesta che la Corte d'Appello ha negato, a marzo di quest'anno. Tra i motivi, il fatto che il governo aveva ignorato una proposta di ‘mediazione' di Tim, con l'offerta di uno sconto da 150 milioni sul totale e la divisione del pagamento a rate.
Ora, così, non ci sono più altre vie legali da percorrere. Il governo dovrà versare 995.250.242.87 euro a Tim. E, per ogni anno di ritardo (a partire dal 3 aprile 2024, quindi un anno e mezzo è già passato), si aggiungeranno circa 25 milioni di euro di interessi.