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Perché con il nuovo regolamento UE il governo Meloni può sbloccare i centri in Albania

Il nuovo regolamento Ue sull’asilo, che potenzia le procedure di frontiera e apre ai return hubs nei Paesi terzi, rischia di legittimare il modello dei centri in Albania voluto dal governo Meloni. Il rapporto della Fondazione Migrantes avverte però che questa esternalizzazione indebolisce diritti, controlli e garanzie fondamentali.
A cura di Francesca Moriero
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L'ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sul diritto d'asilo riporta al centro un tema ormai decisivo nella politica europea: l'esternalizzazione del controllo migratorio. Negli ultimi anni l'Unione ha progressivamente spostato una parte delle sue procedure di frontiera fuori dai propri confini, delegando a Paesi terzi le fasi più sensibili dell’accoglienza, del trattenimento e del rimpatrio dei migranti. Dentro questo processo, il progetto italiano dei centri in Albania — voluto dal governo Meloni e rimasto finora bloccato da ricorsi e rilievi di legittimità — diventa, secondo Migrantes, il caso più efficace per capire dove sta andando l’Europa e quali rischi corre.

Cosa prevede il piano migranti Italia-Albania del governo Meloni

L'intesa firmata da Roma e Tirana prevede la gestione in territorio albanese di una parte delle procedure di frontiera per i migranti intercettati nel Mediterraneo e trasferiti direttamente oltre Adriatico. Le due strutture costruite in Albania, oggi pronte ma ancora inattive, dovrebbero "ospitare" persone provenienti da Paesi considerati "sicuri"; qui verrebbero trattenute per i controlli, l'identificazione e l'esame accelerato delle domande d'asilo.

L'obiettivo dichiarato dal governo italiano è duplice: velocizzare le procedure per chi non ha diritto alla protezione e aumentare il numero dei rimpatri. Ma fino a oggi il progetto non è mai partito davvero. I tribunali italiani ed europei hanno infatti sollevato dubbi sulla compatibilità dell'accordo con il diritto dell'Unione: non è chiaro se i diritti fondamentali dei richiedenti asilo sarebbero effettivamente garantiti, in quale misura l'Italia continuerebbe a essere responsabile delle decisioni prese nei centri, e quali strumenti di tutela sarebbero disponibili per chi contesta un respingimento o un trattenimento illegittimo.

Il nuovo quadro europeo: la riforma dell'asilo riapre la strada

Il recente accordo politico raggiunto dai ministri dell'Interno dell'Ue potrebbe però riaprire la strada all'attivazione dei centri. La riforma approvata a Bruxelles introduce infatti alcune novità che incidono in modo diretto sul modello Albania:

  1. Per la prima volta viene istituita una lista comune di Paesi considerati sicuri (che spesso sicuri non sono, come la Tunisia, l'Egitto o il Bangladesh), che consente di applicare procedure accelerate a cittadini provenienti da Stati considerati privi di conflitti o persecuzioni diffuse (tra cui Bangladesh, Egitto e Tunisia);
  2. vengono potenziate le procedure di frontiera, che diventano più rapide, più estese e più orientate a rifiuti immediati delle domande;
  3. viene formalmente aperta la possibilità di creare return hubs fuori dall'Europa, ovvero centri in Paesi terzi dove trattenere chi è destinato al rimpatrio;
  4. si rafforza poi l'intero sistema del trattenimento, con tempi più rigidi e nuovi standard minimi.

Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, queste misure rendono "pienamente attivabili" le strutture albanesi. In altre parole, la nuova normativa europea finirebbe per legittimare ciò che finora non aveva trovato un solido appoggio giuridico.

Un modello opaco e giuridicamente fragile

La valutazione di Migrantes è molto più severa. Il dossier sostiene che l'esternalizzazione delle procedure non sia soltanto inefficace sul piano operativo, ma pericolosa sul piano democratico. Il rapporto identifica quattro problemi principali.

1. Mancanza di controllo pubblico.

I centri situati fuori dall'Ue sono difficilmente accessibili a giornalisti, Ong e osservatori indipendenti. Ciò significa che ciò che accade al loro interno resta in larga parte invisibile, sottratto alla vigilanza democratica e al controllo giudiziario.

2. Una zona grigia di responsabilità legale.

Quando una procedura viene svolta in territorio terzo, non è chiaro se prevalga il diritto europeo, quello del Paese ospitante o quello stabilito dai protocolli bilaterali. In caso di violazioni, trattenimenti arbitrari, procedure scorrette, mancato accesso a un difensore, individuare la giurisdizione competente diventa quasi impossibile.

3. Indebolimento strutturale delle garanzie.

Allontanare le procedure dal territorio europeo significa, di fatto, allontanare le persone dai meccanismi di tutela previsti dalla stessa Ue. I richiedenti asilo rischiano cioè di essere trattati come casi amministrativi da gestire in fretta, più che come individui titolari di diritti.

4. Una logica più politica che efficace.

Migrantes osserva poi che l'efficacia dei rimpatri non è affatto dimostrata. Ciò che sembra funzionare, piuttosto, è se mai l'effetto politico: mostrare fermezza, trasmettere un'idea di controllo e rassicurare l'opinione pubblica interna, anche se i risultati concreti sono scarsi.

Per questo il rapporto definisce il modello Albania un vero e proprio "laboratorio": un esperimento condotto su persone estremamente vulnerabili, che potrebbe diventare il modello strutturale delle future politiche europee.

Un punto politico: l'Europa rischia di normalizzare l'eccezione

L'analisi di Migrantes va oltre il caso specifico. Il punto cruciale riguarda la capacità dell'Unione europea di restare fedele ai propri principi fondanti mentre costruisce parte delle sue politiche fuori dai propri confini.Gli interrogativi aperti sono tre: è realistico garantire standard di tutela europei in Paesi che non fanno parte dell'Unione? Chi vigila realmente su ciò che accade nei centri extraterritoriali? Un'Europa che colloca altrove i momenti più delicati del diritto d’asilo può ancora dirsi coerente con se stessa? Secondo Migrantes, la risposta a queste domande definirà il futuro del diritto d'asilo europeo e, più in generale, la credibilità politica dell'Ue.

Un bivio per l'Ue

La conclusione del dossier è netta: l'esternalizzazione non è solo una scelta tecnica. Ma un passaggio politico che ridefinisce il rapporto tra diritti fondamentali e gestione dei confini. Il modello Albania, insieme agli accordi con Libia, Tunisia e altri Paesi terzi, diventa un "banco di prova" della tenuta democratica dell'Unione Europea.

Il punto, infatti, non è solo stabilire se questi centri funzioneranno o meno, ma capire se l'Europa sia disposta ad accettare che una parte del proprio sistema d'asilo venga trasferita al di fuori del suo territorio. E quali effetti ciò produrrà sulla trasparenza, sulla legalità e sulla credibilità stessa dei principi che l'Unione dichiara di voler difendere.

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