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Opinioni

Perché non ci sarà mai una memoria condivisa di Silvio Berlusconi

Amato, odiato, vilipeso o beatificato: la morte di Silvio Berlusconi e il dibattito infinito sulla sua figura. Del perché non sarà mai possibile costruire una memoria condivisa della sua vita, parole e azioni.
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Scrivere di Silvio Berlusconi è sempre stato abbastanza semplice, diciamoci la verità. Di fronte a un uomo così divisivo, in effetti, hai a disposizione diverse possibilità, tutte con codici noti e prassi collaudate. Puoi adottare un registro critico, avendo a disposizione un formidabile armamentario retorico e, nel caso specifico, una mole impressionante di episodi e fatti da utilizzare per dimostrare il tuo punto. Puoi muoverti nelle zone d’ombra, insistere sulle sfumature e adottare un approccio conciliante e garantista. O semplicemente puoi salire sul carro della fandom, utilizzandone il linguaggio e lo spazio vitale.

All’interno di questa dinamica ci si muove almeno da trent’anni, dall’ingresso del Cavaliere sulla scena politica. Per citare Curzio Maltese: “Dal 1994 l’Italia è divisa in due: chi vive felicemente dentro questa bolla di sapone, si sente protetto e si identifica con il carattere, i presunti vizi e le virtù del Capo; chi invece ostinatamente non si rassegna al fatto che metà paese si sia lasciato irretire, portare fuori strada dal Cavaliere il quale da anni domina la scena politico-mediatica nazionale facendosi per forza di cose notare anche all’estero”. Ci sono pochi dubbi, in effetti, sul fatto che Berlusconi sia stato uno dei leader più divisivi della storia recente e che abbia contribuito in modo determinante alla trasformazione e alla modernizzazione della politica italiana e non solo.

È stato un personaggio che ha inciso in profondità sull’intera struttura della Repubblica, che ha scritto pagine importanti della nostra storia recente e ha ridefinito codici di comportamento e prassi politiche. Anche per questo, ho sempre guardato con grande perplessità ai tentativi degli ultimi anni di rimuovere dalla memoria collettiva gli aspetti controversi e delicati dell’esperienza pubblica di Silvio Berlusconi. Tentativi spesso accompagnati da un'interpretazione della storia (in ambito politico, giudiziario e via discorrendo), che hanno prodotto effetti grotteschi e finanche confondenti per l’opinione pubblica. In fin dei conti, resto convinto del fatto che privare della complessità e della profondità di giudizio la figura del leader di Forza Italia, del presidente del Milan e poi del Monza, del primo tycoon italiano, del creatore di un nuovo linguaggio per la politica e di mille altre cose, sia fargli un torto enorme.

Eppure, la sua morte è destinata a essere un catalizzatore di quel processo già avviato negli ultimi anni: il tentativo di costruire una memoria condivisa di Silvio Berlusconi, di trovare una chiave interpretativa delle sue opere e azioni che mettesse d'accordo tutti gli italiani, edulcorandone contraddizioni e problematiche per ricavarne un'immagine da bonario padre della patria e statista visionario. È un'operazione ardita, che parte da presupposti sbagliati per arrivare a risultati deludenti. La memoria è, quasi per definizione, personale o comunque parziale. Ognuno di noi ha una sua "idea di Berlusconi", che risente di un'enorme quantità di fattori. Questo perché milioni di italiani hanno letteralmente vissuto con Berlusconi per decenni, ne hanno introiettato modi e comportamenti, si sono abituati alla sua presenza costante e continua. Resta finanche difficile immaginare cosa sarebbe stata l'Italia senza Berlusconi.

Per tantissimi di noi, il Cavaliere è stato il primo e più diretto modo di fare esperienza della politica. Ha messo in moto energie enormi: per tanti è stato l'uomo che ha guidato il riscatto di una parte, per altri colui che ha incarnato il peggio della politica. Difficile finanche incasellarlo in una corrente di pensiero: si è sempre definito liberale e moderato, ma le sue politiche hanno seguito traiettorie ondivaghe, con scelte spesso in contraddizione con il suo progetto utopistico della "rivoluzione liberale".

Ma le memorie collettive non sono una mera sommatoria di quelle individuali. Come scrive lo storico De Luca, "la memoria pubblica è un patto in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato; su questi eventi si costruisce l’albero genealogico di una nazione". Eccolo, il problema. Silvio Berlusconi occupa un posto centrale nell’autobiografia della Nazione, non solo perché ne ha incarnato i tratti essenziali, portando all’estremo la rappresentazione dell’Italia e degli italiani. B. ha contribuito a cambiare nel profondo il Paese, a trasformare le dinamiche relazionali fra cittadini e politica, a incrinare la fiducia nelle istituzioni e al contempo provocarne uno stravolgimento profondo (si pensi solo all’enorme tema della giustizia). L’avventura berlusconiana, però, non può essere letta come un lineare susseguirsi di eventi determinati dalla volontà di un geniale/furbo/compromesso imprenditore/politico/imbonitore. È stato un periodo complesso e confuso, con fasi diverse che meriterebbero considerazioni diverse.

Perché se la memoria è personale, restano i fatti. La storia, cioè, non si cancella con un colpo di spugna, resta al di là di ogni volontà di pacificazione. Non c'è da meravigliarsi né da indignarsi se le memorie di Silvio Berlusconi non somiglino alla nostra. Se, ad esempio, fuori dai nostri confini si racconti con meraviglia e stupore una vita costellata di scandali, inchieste, cadute e rinascite. O se in tantissimi mostrano di non capire lo sforzo concettuale e interpretativo dei suoi avversari di un tempo nel riabilitare compiutamente una figura così controversa. Le critiche, la rabbia, la contestazione profonda del modello berlusconiano sono parte essenziale della storia del Cavaliere. Così come lo sono le sue azioni, le scelte, gli errori e le storture. Sono fatti, che certo vanno contestualizzati e spiegati, ma non possono essere omessi dal racconto collettivo. Non aveva funzionato nelle settimane in cui B credette davvero di poter diventare presidente della Repubblica, non può funzionare adesso, nel tempo del cordoglio e del lutto.

L’uomo politico più divisivo della storia recente del Paese, quello che ha cambiato le regole del gioco e ha ridefinito l’idea stessa dello scontro fra partiti e movimenti, non può essere ridotto a un simpatico signor Bonaventura che ha sempre avuto a cuore solo gli interessi degli italiani. L’imprenditore che ha contribuito in modo decisivo alla destrutturazione culturale del Paese, macinando così miliardi e consensi, non è altro dal fenomenale uomo di cultura, capace di tenere discorsi a braccio lunghi ore. Il leader politico responsabile dello sdoganamento dei post fascisti e dei populisti, fino a portarli al governo, è lo stesso che poi per anni si sarebbe caricato il ruolo di argine democratico e moderato alla destra, anche in Europa. L’uomo che ha fatto del sessismo e del machismo una linea espressiva e comunicativa non può essere raccontato come una specie di liberale illuminato e progressista in tema di diritti civili. Il manager coinvolto in decine di procedimenti giudiziari, prescritto, assolto e condannato, non può essere dipinto come un perseguitato politico. Aspetti che non possono essere rimossi dalla memoria pubblica, con il rischio di finire omogeneizzati in una pappa indistinta, da cui emerge una visione caricaturale della stessa figura di Berlusconi. E dell'Italia che lui ha vissuto, guidato, cambiato.

Come se ne esce, allora? Accettare una ricostruzione a tinte dolci, rifugiarsi nei non detti, nelle sfumature, o ancora sperticarsi in contro-narrazioni al limite della provocazione? Storicizzare, storicizzare sempre, direbbe qualcuno che il Cavaliere non ha mai apprezzato fino in fondo. Avendo chiaro che la storicizzazione non è solo un risultato, ma anche un processo, che consta nella capacità di giungere a un'analisi "intersoggettiva e multifocale" del passato e dei suoi protagonisti. E che distingue i fatti dalle narrazioni, anche per come hanno influito e modificato le percezioni individuali. Proprio per dargli il loro posto nella storia. E solo dopo, nella nostra memoria.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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