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Opinioni

Neanche stavolta Giorgia Meloni ha preso davvero posizione sul massacro a Gaza e sul piano Netanyahu

Cosa ha detto Meloni su Gaza durante il premier time e perché fa così fatica a condannare il piano di Netanyahu. Ne parliamo nella nuova puntata dell’Evening Review, la newletter pensata per chi sostiene Fanpage.it.
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Continuiamo a lavorare per la fine permanente delle ostilità. Siamo attenti e appoggiamo il lavoro che i Paesi arabi stanno portando avanti. Credo che i Paesi arabi siano la chiave di volta nella soluzione permanente del conflitto. C'è un piano di ricostruzione, che questi Paesi hanno portato avanti a Gaza, dal mio punto di vista credibile, anche per tracciare un quadro regionale di pace e sicurezza: quadro che, chiaramente, lo ribadisco, a nostro avviso deve includere anche la prospettiva dei due Stati”.

Queste che avete appena letto sono le uniche parole pronunciate dalla nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in merito agli sviluppi della crisi palestinese. Mentre a Gaza non ci sono praticamente più scorte di cibo, le infrastrutture energetiche sono al collasso, continuano i raid dell’esercito israeliano e il primo ministro Nethanyau annuncia un piano per l’occupazione a lungo termine di ampie zone della Striscia, la leader di uno dei principali Paesi dell’Unione Europea, membro del G8, non riesce ad andare oltre frasi di circostanza, parlando di prospettive a lunghissimo periodo e che non hanno alcuna concretezza, data la situazione attuale. Peraltro, lo fa rispondendo, per così dire, a una “domanda” durante il premier time al Senato della Repubblica, dopo aver taciuto per giorni, in attesa probabilmente di conoscere la posizione del presidente americano Donald Trump, cui ancora una volta sembriamo aver appaltato la nostra linea in politica estera.

Una non posizione, quella italiana, che di fatto si traduce implicitamente in una sorta di connivenza con le scelte del governo israeliano. Che mai come questa volta sembrano essere drammaticamente e lucidamente ciniche. Lo spiega Bianca Senatore su Domani:

Secondo i piani diffusi dai media israeliani, l’obiettivo dell’IDF è creare altre zone sterili, come quella di Rafah, sia per poter formare una sorta di cuscinetto tra Gaza e il confine israeliano, sia per separare i civili dai miliziani. Anche gli aiuti umanitari, nel momento in cui saranno autorizzati a entrare, saranno gestiti da personale straniero e verranno distribuiti esclusivamente all’interno della cosiddetta area sterile, oltre che nel corridoio di Morag, cioè nella zona sotto controllo israeliano. Solo chi sarà già stato vagliato, dunque, potrà ricevere cibo, acqua e beni di prima necessità — e non gli altri. ‘Questo piano è folle e inumano’, dice Yamen Abu Suleiman, direttore della protezione civile di Khan Yunis. ‘Primo, la popolazione viene letteralmente deportata in un’altra zona. Secondo, quali saranno i criteri per poter passare ai controlli militari? E chi non li passerà, magari perché ha parenti che hanno appoggiato Hamas, cosa farà? Sarà condannato?’”

Ancora una volta, insomma, come dice Rula Jebreal su La Stampa, siamo di fronte a una potenziale violazione del diritto internazionale e all'eliminazione di qualunque scrupolo morale, con la certezza dell'impunità:

“La determinazione di Israele a demolire il diritto internazionale non minaccia soltanto Gaza: rischia di travolgere anche i fondamenti di giustizia e di libertà su cui dovrebbe reggersi l’Occidente democratico. L’impunità diffusa è direttamente proporzionale alle atrocità che stanno accadendo, ed è funzionale alla loro continuazione a Gaza. Israele è sotto processo davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per genocidio. Ma che di genocidio si tratti è già, sulla base di inchieste accurate, la conclusione della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite e delle più importanti organizzazioni umanitarie internazionali.”

Questioni su cui sarebbe lecito attendersi delle risposte più precise e serie da parte del nostro governo. Capire cosa intenda fare concretamente l'Italia, come parte attiva dell'Unione Europea e della comunità internazionale, non è una vaga richiesta che sfiora il velleitarismo, ma un diritto dei cittadini italiani. In tal senso, probabilmente, le opposizioni avrebbero dovuto fare di più e meglio durante il dibattito odierno al Senato, invece di limitarsi a chiedere che il governo riferisca in Aula. C'era già in Aula, ecco.

A Meloni è andata bene, insomma, contrariamente a quanto si ipotizzava nei giorni precedenti. Un po' per la timidezza delle opposizioni nell'affrontare la questione Gaza, un po' per il modello stesso del premier time, che protegge da sorprese dell'ultimo momento. Che per la presidente del Consiglio poteva essere un passaggio parlamentare non scontato, era la tesi rilanciata da diversi giornali. Che avevano dato alcune informazioni di contesto, utili a capire quanto il tentativo di Meloni di mantenersi in equilibrio, magari rifugiandosi nelle sue ormai proverbiali supercazzole fintamente cerchiobottiste, fosse perdente in partenza.

Spiegava Francesco Bechis sul Messaggero: “Sullo sfondo, il vero elefante nella stanza: la guerra a Gaza e il piano shock annunciato da Netanyahu di occuparla a tempo indeterminato. Un piano d’invasione condannato da buona parte delle cancellerie occidentali, su cui la premier ancora non si è esposta pubblicamente. Era tentata di farlo qualche giorno fa, poi ha prevalso la prudenza, aspettando Trump, che raccontano essere sempre più irritato con Bibi. [ … ] Non è facile restare in equilibrio. Non intende condannare tout court il premier israeliano, ma vuole ribadire – questo sì – che la popolazione civile palestinese non può più pagare un prezzo così alto. Soprattutto perché il rischio concreto – è il ragionamento condiviso con i consiglieri nelle ultime ore – è di allontanare la gente di Gaza da Hamas, proprio ora che il gruppo terroristico inizia a vedere il terreno sparirgli sotto i piedi”.

Certo, non è la prima volta che siamo ridotti ad attendere la posizione di Trump prima di sentirci dire qualunque cosa, ma che la questione stavolta fosse ancora più complicata lo spiegava anche Il Foglio: "L’argomento è di quelli che scottano. Fino a ieri non c’era una posizione ufficiale del governo. O meglio, agli atti ci sono da registrare le parole di Antonio Tajani, in qualità di Ministro degli Esteri, per rilanciare il piano umanitario Food for Gaza, senza passare per Hamas. Da Palazzo Chigi nessun commento. Se non cautela e imbarazzo. La linea è quella di aspettare le mosse di Donald Trump. Fratelli d’Italia si è esposta solo con Giacomo Calovini, per ribadire l’importanza di attuare il piano di pace proposto dai Paesi arabi, di ricostruire Gaza senza disperare la popolazione”.

Il riferimento al piano dei paesi arabi c'è stato, nel corso dell'intervento al Senato, ma per il resto, poco o nulla, anzi proprio nulla. Mentre gli alleati scalpitavano e cercavano il loro posto sotto i riflettori, fosse anche sconfessando la loro linea precedente. Anzi, un alleato, come spiegava Giacomo Salvini sul Fatto: “Ad ogni modo, la Premier deve stare molto attenta a evitare fughe in avanti nella sua maggioranza. Tant’è che – ha spiegato ai suoi fedelissimi – la posizione del Governo è la sua e quella del Ministro Tajani. Il resto viene derubricato a blablabla di sottofondo. Meloni si riferisce al suo vicepremier Matteo Salvini, che spesso si è espresso con posizioni troppo vicine a quelle del premier israeliano, tanto da averlo invitato in Italia nonostante il mandato di cattura internazionale. Eppure, stavolta, anche la Lega prende – per la prima volta – le distanze dalle posizioni di Netanyahu: ‘Noi siamo con Israele e i suoi valori’ – premette a Il Fatto il vicedelegato Andrea Crippa – ‘Però, in questo caso, siamo contro l’invasione di un territorio e lo sterminio di un popolo. Vogliamo la pace”.

Per strano che possa sembrare, è ben più di quanto sia riuscita a dire Giorgia Meloni in due ore di dibattito. Andiamo bene, insomma.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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