Napolitano convoca Monti: A che punto sono le riforme costituzionali?
Si è parlato di rilancio dell’Italia nella riunione di ieri mattina al Quirinale tra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano e il premier Mario Monti con alcuni membri del Governo (il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà e il ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi). Gli strumenti per la ripresa sono le riforme: non solo quelle sull'economia e il lavoro, ma anche sulla politica. E alla luce di quanto avviene nel nostro Paese -dalla crollo di consensi dei partiti manifestatasi anche in occasione delle ultime elezioni, allo stato d'agitazione coi recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto Equitalia e Ansaldo– i vertici stanno pensando di dare la sterzata decisiva alla messa a punto degli interventi che dovrebbero traghettare l'Italia fuori dall'acquitrino della crisi.
Tema del giorno è stata la "fase due" del governo, in maniera molto ampia. Napolitano ha spinto all'azione: ha voluto conoscere lo scadenzario dei lavori a Montecitorio, anche perché il termine dell'esecutivo tecnico, il 2013, è prossimo. Ha fatto presente che sulla legge elettorale, in particolare, manca ancora un accordo tra le forze che appoggiano il Governo e si rischia un fallimento. C’è poi la questione della riduzione del numero dei parlamentari sulla quale i punti di vista sembrano coincidere da un punto di vista teorico, ma le proposte vanno comunque messe in pratica. E ancora il finanziamento ai partiti, sul quale il Capo dello Stato è già intervenuto con la nomina di Giuliano Amato, un politico di lunga data per tentare la mediazione tra il governo e i partiti stessi su un argomento tutt'altro che semplice.
Ma i punti delicati sono vari e il tempo è poco. Ad esempio, c'è pure la questione del taglio delle province, che già appariva nel «salva-Italia» di dicembre. Bisogna procedere con una delega al governo o con un disegno di legge? Certo l'intenzione è quella di ridurre le province dalle attuali 110 ad almeno 80, abolendo quelle con meno di 350mila/400mila abitanti. Insomma, c'è molto lavoro da fare e i (buoni) risultati sono attesi dall'Italia intera, ma anche dall'Europa: la credibilità del Paese passa indiscutibilmente per tutte queste riforme.