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Morti sul lavoro, Bombardieri (UIL) a Fanpage.it: “È una strage, da governo passo importante”

La sicurezza sul lavoro, ma anche il Pnrr, gli ammortizzatori sociali e la giusta discussione sul salario minimo. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, spiega in un’intervista a Fanpage.it che con il governo è stato fatto un “primo passo” durante l’incontro di lunedì scorso, ma che “dobbiamo fare tutti molto di più per evitare questa strage” di lavoratori. Con il presidente Draghi gli appuntamenti nelle prossime settimane saranno frequenti: “Per capire come saranno utilizzate le risorse del Pnrr”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Dieci morti sul lavoro in due giorni, quasi settecento nel 2021. Sono numeri che fanno paura e che invitano a riflettere sull'altra epidemia che colpisce il nostro Paese: le morti bianche. A partire da questo punto e dall'incontro con il presidente Draghi, il ministro Orlando e il ministro Brunetta di lunedì, Fanpage.it ha intervistato Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil. Tanti i temi sul tavolo – dalla sicurezza sul lavoro alla messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, dai giovani agli ammortizzatori sociali – con i sindacati che hanno ottenuto un confronto stabile con il governo.

Che Paese è quello in cui mediamente più di due persone al giorno muoiono sul posto di lavoro?

È un Paese incredibile, nel quale dobbiamo fare tutti molto di più per evitare questa strage. Abbiamo fatto un primo passo con il governo lunedì sera che ha portato a dei risultati, ma dobbiamo continuare.

Di cosa si è parlato all'incontro di lunedì con il governo?

Abbiamo parlato di sicurezza sul lavoro, che per noi era il tema più importante sul tavolo, e poi di come strutturare il confronto sui soldi che arriveranno attraverso il Pnrr. Quei soldi non sono della politica e del governo ma di tutti i cittadini, anche perché gran parte di quelle risorse dovremo restituirle. Per questo abbiamo chiesto un percorso di confronto con le parti sociali e con le autonomie regionali. Tutti devono poter contribuire a costruire un Paese diverso.

E le decisioni per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro?

Verrà costituita una banca dati, ci sarà la sospensione dell'attività per le aziende che violano la sicurezza e l'assunzione di 2.500 ispettori. Poi ci sono altre richieste su cui il governo si è riservato di decidere. Ad esempio per noi le aziende violano norme sulla sicurezza non dovrebbero partecipare a bandi in cui ci sono fondi pubblici. Intanto ci sono 40 miliardi, che l'Inail non utilizza, che dovrebbero essere destinati alla sicurezza. Poi c'è da fare un lavoro più grande sulla formazione dei lavoratori e di chi entra per la prima volta nel mondo del lavoro. Ragazzi e ragazze che arrivano sul posto di lavoro non vengono formati adeguatamente. Il governo ha deciso di investire su questo punto.

Vi hanno dato dei tempi? Quando verrà costituita questa banca dati?

Dovrebbe essere creata immediatamente. Oggi c'è un paradosso: non esiste una banca dati unica per gli incidenti sul lavoro. La normativa prevede la sospensione delle aziende che violano la sicurezza se sono recidive nei cinque anni. Se l'ispettore fa una verifica in un'azienda e scopre che le norme sulla sicurezza non sono rispettate, per arrivare alla sospensione deve tornare lo stesso ispettore nei cinque anni successivi e riscontrare una seconda violazione. Questo rende le aziende sostanzialmente libere di fare come vogliono. Poi c'è un problema che riguarda le piccole e medie imprese, che non hanno rappresentanza, e lì bisogna arrivare con i rappresentati dei lavoratori per la sicurezza.

Tornando al Pnrr, quando saranno i prossimi incontri? Il presidente Draghi vi ha assicurato una cadenza più frequente?

Non abbiamo ancora delle date, ma il presidente si è impegnato già dalla prossima settimana a fissare una serie di incontri per arrivare alla sottoscrizione di un protocollo sulle regole del confronto. Lo avevamo chiesto, era stato fatto in modo superficiale durante la prima discussione sul Piano nazionale, ma poi c'è stata la crisi di governo. Ci sarà un accordo per regolare i confronti con le parti sociali nei territori, per capire come saranno utilizzate le risorse.

Il programma si chiama Next Generation Eu, quanto c'è e quanto bisogna fare per i giovani che poi quei soldi saranno chiamati a restituirli?

Innanzitutto dobbiamo fare in modo che il Next Generation non sia un evento straordinario. Dobbiamo rivendicare la modifica del patto di stabilità, il fatto che l'Europa possa emettere bond europei, tassare le grandi aziende. Tutto questo per far sì che questo programma diventi ordinario e si ripeta ogni anno finanziato dalla Commissione europea, per dare risposte ai giovani, per investire sulla formazione e sulla loro occupazione. Per quanto riguarda queste risorse, le prime finanziate, dovranno essere utilizzate per creare una connessione tra domanda e offerta di lavoro e per migliorare l'orientamento in questo Paese. Bisogna investire sulla formazione, perché abbiamo più di 3 milioni di neet, ragazzi che non studiano e non lavorano, e bisogna impegnare le aziende a programmare le figure professionali di cui avranno bisogno in futuro.

Il 31 ottobre scade l'ultimo blocco dei licenziamenti e contestualmente c'è in ballo la riforma degli ammortizzatori sociali, a che punto siamo?

Il ministro ci ha presentato una proposta che recepisce molte delle nostre richieste, soprattutto sul fatto che la riforma abbia un sistema assicurativo e solidaristico, coprendo i lavoratori senza ammortizzatori sociali. Per far questo tutte le aziende devono pagare, e questo oggi non avviene. Bisogna creare un percorso per far pagare tutti, ma anche che il governo deve investire. Aspettiamo la prossima manovra per capire quante saranno le risorse stanziate.

È tornato il tema del salario minimo, la vostra posizione qual è?

Il salario minimo non deve mettere in discussione tutele e diritti conquistati con la contrattazione e con i contratti nazionali. La direttiva europea costruita dopo un confronto con il sindacato europeo, alla quale ho partecipato personalmente, parte da un presupposto: ci sono i Paesi dell'Ovest che hanno i contratti nazionali, mentre i Paesi dell'Est hanno un salario minimo definito per legge. Spesso questo salario minimo è il motivo per cui avvengono le delocalizzazioni. Ad esempio le aziende che dall'Italia si spostano in Polonia lo fanno perché il salario minimo di un operaio metalmeccanico è 600 euro al mese. Il contratto, a differenza del salario minimo orario, garantisce una serie di tutele che il salario minimo non dà: il mantenimento del posto di lavoro, il trattamento di fine rapporto, la copertura assicurativa, parliamo di diritti che sono costati tante lotte. L'utilizzo del salario minimo sganciato dai contratti di lavoro e dal minimo contrattuale potrebbe spingere le aziende a non applicarli più, mettere in discussione i contratti vuol dire rischiare di fare un danno soprattutto ai giovani che entrano nel mercato del lavoro.

Eppure la lista a favore è lunga: Tridico, Conte, Letta…

Su questo tema si rischia di fare demagogia, perché si dice che il salario minimo dà risposte. Attenzione, il salario minimo applicato senza nessuna logica e senza nessun criterio rischia di mettere in discussione il contratto. Nella direttiva europea si dice che bisogna allargare la contrattazione, e dove non accade bisogna rapportare il salario minimo al trattamento economico medio dei contratti europei. Su questo tema bisogna fare attenzione. Ho sentito molti politici parlarne, ma la sensazione è che non l'abbiano neanche letta quella direttiva.

Ho in mente la sua immagine con lo scontrino in mano davanti Palazzo Chigi, mentre chiede tamponi gratuiti per i lavoratori. Il 15 ottobre si parte con il green pass obbligatorio, a quella battaglia avete rinunciato?

Non ci abbiamo rinunciato, la facciamo comunque. Poi si può vincere o perdere. Noi continuiamo a farla territorio per territorio, perché chiediamo alle aziende di coprire il costo dei tamponi, così come lo chiediamo al governo. Molte aziende, tra l'altro, pagavano i tamponi ai lavoratori prima del decreto. Noi continuiamo a sostenere che finché non c'è l'obbligo vaccinale, e quindi c'è possibilità di scelta, tutto quello che riguarda la sicurezza in azienda non può essere a carico dei lavoratori. Poi sui tamponi bisognerebbe approfondire la questione costo: non si può dire che sono calmierati, il costo industriale di un tampone rapido è intorno ai 30 o 40 centesimi e noi lo paghiamo 15 euro. Il governo dovrebbe fare una scelta e contrastare le aziende che stanno speculando, servirebbe più coraggio.

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