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Maltempo, dissesto e terremoti: a pagare per l’Italia che affonda è sempre la UE

Maggioranza e opposizione non perdono occasione per puntare il dito contro la UE, ma l’Italia è il Paese che ha beneficiato in misura maggiore del Fondo di Solidarietà (FSEU) che mette a disposizione più di 500 milioni di euro all’anno per il sostegno agli Stati Membri che “subiscono danni a seguito delle calamità naturali”.
A cura di Gloria Bagnariol
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Le alluvioni delle ultime settimane stanno mettendo in ginocchio l’Italia: da Venezia a Matera, fino al viadotto crollato sulla Torino-Savona. La protezione civile ha ricevuto la richiesta di stato di emergenza da 14 Regioni. Le stime dei danni hanno cifre vertiginose, solo per Venezia la curia parla di oltre 40 miliardi di danni al patrimonio artistico religioso. Il governo promette risposte rapide e l’opposizione guidata da Matteo Salvini fa sapere davanti alle telecamere di telegiornali e programmi tv che è necessario “fare in fretta, perché si è perso troppo tempo”. Salvini, acqua fino alla vita e sullo sfondo di una piazza San Marco allagata, precisa che la Lega “è pronta a sostenere le proposte più efficaci, perché non è una questione di colore politico”. Non perde però l’occasione per una stoccata all’Unione europea, ai giornalisti che gli chiedono se Bruxelles potrà dare una mano dice: “Non ho una grande fiducia, facciamo noi”.

Eppure, se avessimo “fatto da soli” avremmo perso negli ultimi anni quasi tre miliardi di euro arrivati direttamente da Bruxelles per il sostegno agli Stati Membri che “subiscono danni a seguito delle calamità naturali”.

Nel 2002 l’Unione europea dopo le inondazioni che avevano colpito l’Europa centrale ha creato uno strumento, il Fondo di Solidarietà (FSEU) che mette a disposizione più di 500 milioni di euro all’anno. I finanziamenti devono essere richiesti dalle nazioni colpite e vengono attivati solo se rientrano in determinati parametri, a quel punto la Commissione europea propone l’intervento – e la relativa somma – al Parlamento e al Consiglio che devono dare la loro approvazione. Da quanto il fondo è attivo sono stati fatti più di ottanta interventi che hanno dato risorse soprattutto a seguito di alluvioni (52%), ma anche per incendi (19%), tempeste (12%) e  terremoti (8%). Le richieste devono essere presentate entro tre mesi dall’evento scatenante e possono essere di due tipi: avvenimenti su base regionale o a “carattere principale”. Per i primi, i danni devono essere pari almeno all’1 per cento del Pil regionale, mentre per gli altri devono arrivare allo 0.6 per cento del Pil nazionale. Non basta però solamente l’impatto economico, bisogna per esempio dimostrare che ci sono state spese per l’assistenza alla popolazione. I criteri stringenti fanno sì che, in media, circa la metà delle risorse a disposizione del fondo rimanga inutilizzata ogni anno.

Lo strumento è lontano dall’essere perfetto, nei primi anni di sperimentazione e fino alla riforma del 2014 sono state respinte i due terzi delle domande che chiedevano aiuto su base regionale perché i danni non erano “sufficientemente ingenti”. Anche l’Italia si è vista negare sette richieste, ma nonostante questi rifiuti è il paese che ha più beneficiato del fondo da quando è attivo: nove interventi che hanno portato nelle nostre casse quasi tre miliardi di euro. La metà dei circa sei miliardi spesi in questi anni per tutti i paesi richiedenti. Senza l’intervento dell’Unione europea l’Italia avrebbe perso il finanziamento record da 1,2 miliardi per i terremoti che hanno colpito il centro Italia nel 2016/2017 o i recenti 277 milioni per le alluvioni dell’ottobre 2018. E Venezia? Dalla Protezione civile fanno sapere che si sta valutando che tipo di richiesta fare, si sta studiando se ci sono gli estremi per una domanda su base regionale o a carattere principale visto che i danni subiti dagli ultimi eventi riguardano quasi tutto il territorio nazionale.

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