L’Onu approva la risoluzione per cessate il fuoco a Gaza e chiede l’apertura immediata degli aiuti umanitari

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è espressa con una schiacciante maggioranza per chiedere lo stop immediato e permanente dell’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza. La risoluzione è stata adottata con 149 voti favorevoli, 12 contrari e 19 astensioni, durante una sessione d'emergenza convocata per affrontare quella che la maggior parte degli osservatori internazionali considera una catastrofe umanitaria senza precedenti. Il testo chiede non solo il cessate il fuoco immediato, ma anche la liberazione di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e un accesso umanitario pieno e senza ostacoli per i convogli destinati ai due milioni di palestinesi affamati e intrappolati nella Striscia, dove le condizioni di vita sono ormai collassate. La risoluzione è stata promossa dalla Spagna, in collaborazione con la rappresentanza palestinese all'Onu, e ha raccolto un consenso trasversale che riflette la crescente insofferenza della comunità internazionale verso un conflitto che ha travalicato ogni soglia di legalità, proporzionalità e umanità.
Il peso politico della Spagna e il riconoscimento dello Stato palestinese
A promuovere l'iniziativa, sul piano formale e politico, è stata la Spagna del premier Pedro Sánchez, che lo scorso 7 maggio aveva già annunciato al Congresso l'intenzione di avanzare all'Onu una proposta concreta per porre fine alla guerra. La data non è casuale: coincide infatti con l'anniversario della decisione di Madrid di riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina. In quel discorso, Sánchez aveva già delineato i capisaldi della strategia spagnola: centralità del diritto internazionale, protezione dei civili, rispetto delle convenzioni di Ginevra e rilancio della soluzione dei due Stati. La risoluzione votata ieri raccoglie pienamente questo orientamento, ponendo l'accento sulla necessità urgente di tutelare la popolazione civile e sull'obbligo per tutte le parti coinvolte, Israele compreso, di garantire la sicurezza del personale umanitario e medico in zona di conflitto.
L’uso della fame come arma di guerra: la condanna della comunità internazionale
Uno dei passaggi più duri della risoluzione riguarda la condanna esplicita dell'utilizzo della fame come mezzo bellico. Il testo non si limita a evocare il dramma umanitario, ma accusa in modo diretto l'impiego sistematico della privazione di beni essenziali per piegare la popolazione palestinese. Questa denuncia, basata su mesi di osservazioni, dati forniti dalle agenzie delle Nazioni Unite, testimonianze delle ONG e rapporti delle organizzazioni per i diritti umani, è stata accolta con favore da molti Stati, mentre ha provocato la furiosa reazione del rappresentante israeliano, Danny Danon, che ha parlato di "calunnia antisemita" e ha negato ogni accusa. Danon ha insistito sul fatto che Israele starebbe garantendo il passaggio degli aiuti, ma questa affermazione appare in forte contraddizione con le continue denunce degli organismi internazionali, secondo cui i camion umanitari vengono regolarmente bloccati, bombardati o ridotti a una goccia rispetto ai bisogni effettivi. Le scene quotidiane di madri che lottano per un sacchetto di farina e bambini denutriti curati su letti improvvisati nei tunnel raccontano una realtà che sfida qualunque giustificazione.
Una crisi umanitaria fuori controllo
Mentre a New York si votava, a Gaza si continuava a morire. Gli ultimi raid hanno colpito il campo profughi di Nuseirat e le zone già devastate di Rafah e Khan Younis. Intere famiglie sono ancora sepolte sotto le macerie, l'acqua potabile è un miraggio da mesi, gli ospedali sono allo stremo e quello che resta delle scuole è trasformato ora in dormitori di fortuna per decine di migliaia di sfollati. Secondo i dati aggiornati del Ministero della Sanità di Gaza, i morti hanno superato quota 50mila, con una percentuale altissima di bambini, donne e anziani. Ma il bilancio potrebbe essere molto più alto, dato che molti corpi non vengono recuperati né identificati. In questo contesto, la risoluzione Onu assume un valore politico enorme: non vincolante sul piano legale, poiché l'Assemblea Generale non ha il potere di imporre decisioni come il Consiglio di Sicurezza, ma fortemente simbolico e isolante per Israele, che si trova sempre più solo sulla scena diplomatica. Dei 193 membri, solo 12 hanno votato contro. Tra questi, con ogni probabilità, Stati Uniti, Israele, alcune isole del Pacifico e pochi altri alleati minori, mentre 19 si sono astenuti.
Il messaggio della diplomazia spagnola: "Tutti dobbiamo agire"
Il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, ha salutato il voto con un messaggio netto, pubblicato sui social. "L'Assemblea Generale ha appena approvato la risoluzione presentata da Spagna e Palestina. Chiediamo un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi e il rispetto del diritto umanitario internazionale", ha scritto. In un secondo intervento, Albares ha sottolineato altri passaggi centrali del testo: la difesa dell'Unrwa, agenzia sotto attacco da mesi, e il richiamo alla soluzione dei due Stati come unico sbocco politico possibile: "Tutti dobbiamo agire contro questa intollerabile catastrofe umana". Non si tratta di un conflitto tra eserciti, ma di una sistematica strategia di annientamento, che molti osservatori e giuristi, da Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, a Richard Falk, professore di diritto internazionale all'Università di Princeton e Presidente del Consiglio di fondazione dell'Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, da Amnesty International alla stessa Unrwa, hanno definito senza esitazioni con un termine preciso: pulizia etnica.