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L’Italia è il Paese che spende meno per la sanità nel G7

Il nuovo rapporto della Fondazione Gimbe evidenzia i problemi che il Servizio sanitario nazionale si porta dietro da prima del Covid-19, ma che la pandemia ha aggravato. Tra i Paesi del G7, l’Italia è ultima per spesa pro-capite nella sanità. In Europa, 15 Paesi fanno meglio.
A cura di Luca Pons
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"Non esiste un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio sanitario nazionale", ma certamente "manca un esplicito programma politico per il suo salvataggio". Il quinto rapporto della Fondazione Gimbe sul Ssn mette in evidenza le carenze nella gestione politica della sanità. "Il rischio concreto" se non si colgono le occasioni giuste, secondo il presidente della fondazione, Nino Cartabellotta, è di "perdere, lentamente ma inesorabilmente, un modello di servizio sanitario pubblico, equo e universalistico".

Il Covid-19 ha aggravato problemi che c'erano già

Ci sono questioni nate ben prima della pandemia da Covid-19: si parla di "definanziamento pubblico di circa 37 miliardi di euro nel decennio 2010-2019", del Dpcm sui nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) che "aveva ampliato prestazioni e servizi a carico del Ssn senza la necessaria copertura finanziaria", ma anche di situazioni più ampie, come la "non sempre leale collaborazione Stato-Regioni".

In questo scenario, sostiene Gimbe, la pandemia ha fatto emergere soprattutto l'indebolimento del personale sanitario e la fragilità dell'assistenza territoriale. Poi, "nel pieno dell'emergenza, tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare e rilanciare il Ssn", dice ancora Cartabellotta, ma "progressivamente la sanità è stata nuovamente messa all'angolo".

Negli anni tra il 2020 e il 2022 c'è stato un "netto rilancio del finanziamento pubblico", che però è stato "eroso" dall'emergenza sanitaria, la quale oggi continua a presentare conseguenze – allungamento delle liste d'attesa per interventi chirurgici, di ambulatorio e screening, ma anche impatto del long-Covid e salute mentale – mentre l'aumento dei finanziamenti si è fermato.

Soprattutto, l'impatto del Covid-19 si misura sul personale sanitario: "Pensionamenti anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori chiave del Ssn, in particolare i Pronto soccorso, e deserti i numerosi concorsi", scrive il rapporto Gimbe. Gli investimenti fatti per nuovi specialisti e medici di famiglia non daranno frutto prima di 3 e 5 anni, rispettivamente, quindi "il nodo del personale sanitario è entrato nella sua fase più critica, che richiede soluzioni straordinarie in tempi brevi", sostiene Cartabellotta.

Quali devono essere le priorità per il nuovo governo Meloni

Ci si trova oggi a una svolta, secondo Gimbe: da una parte la transizione digitale, dall'altra i fondi del Pnrr (pur con tutte le sue difficoltà di implementazione) consentono di dare un cambio di passo importante al Ssn. Per questo, il rapporto delinea alcune priorità politiche per il prossimo governo.

La prima riguarda proprio il finanziamento pubblico della sanità. Dal 2020 al 2022 c'è stato un aumento di 11,2 miliardi di euro nei fondi, di cui 5,3 miliardi assegnati tramite decreti Covid.

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Il netto rilancio del finanziamento pubblico "è stato imposto dall'emergenza pandemica e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il Ssn", ricorda Cartabellotta. La mancata intenzione viene confermata anche nella Nadef 2022, che nel triennio 2023-2025 prevede di ridurre la spesa sanitaria media, con "un rapporto spesa sanitaria/PIL che nel 2025 precipita al 6,1%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia".

Nel 2021, l'Italia è stata nella media dei Paesi dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in termini di percentuale di Pil spesa per la sanità pubblica: il dato italiano è del 9,5%, la media Ocse è 9,6%. La spesa pubblica pro-capite, però, è stata decisamente inferiore: 3.052 dollari a testa rispetto ai 3.388 dollari della media dei Paesi Ocse. In Europa, l'Italia è al 16° posto per spesa pubblica sanitaria pro-capite.

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C'è ancora un confronto, che evidenzia ancora di più i limiti italiani e che Cartabellotta definisce "francamente impietoso": quello con gli altri Paesi del G7, ovvero Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti. Tra questi, l'Italia è "fanalino di coda dal 2008, con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili".

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Gli altri due elementi politici da affrontare per il nuovo governo, secondo Gimbe, sono i Livelli essenziali di assistenza – che vanno aggiornati e monitorati – e le richieste di regionalismo differenziato da parte di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

Per quanto riguarda i Lea, "non si è mai concretizzato il loro aggiornamento continuo" per restare il linea con le conoscenza scientifiche, e in più le nuove prestazioni non si possono richiedere su tutto il territorio perché non ci sono le risorse economiche necessarie. In generale, "le diseguaglianze generali, in termini di esigibilità di prestazioni e servizi a carico del Servizio sanitario nazionale" dipendono soprattutto dall'impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei Livelli essenziali di assistenza, commenta Cartabellotta. Un impianto che "richiede richiede una profonda revisione di responsabilità, metodi e strumenti".

Per quel che riguarda invece le Regioni e le maggiori autonomie richieste, il rapporto Gimbe trova che alcune di queste richieste "rappresenterebbero uno strumento per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario da estendere in tutto il Paese", mentre altre "rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale" e alcune vengono addirittura definite "eversive". Il nuovo governo dovrà maneggiare il regionalismo differenziato in sanità "con cura", dice Nino Cartabellotta, perché potrebbe ampliare il divario tra Nord e Sud.

Il piano della Fondazione Gimbe per innovare il Ssn

In conclusione, il rapporto della Fondazione Gimbe propone un vero e proprio piano, con riforme "e innovazioni di rottura per il rilancio definitivo" del Ssn, definito un "pilastro fondante della nostra democrazia".

Il piano, in 14 punti, riassume alcune delle criticità riscontrate dal rapporto: dal finanziamento pubblico al rapporto Stato-Regioni, dai Lea alle carenze del personale sanitario. Si chiede di "mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali", così come di avere un approccio "One health", che consideri la salute dell'uomo, degli animali e degli ecosistemi come integrate.

Gimbe chiede di ridurre sprechi e inefficienze, di organizzare e integrare meglio i servizi sanitari e socio-sanitari, ma anche di "discplinare l'integrazione pubblico-privato" nella sanità e di arginare la privatizzazione della sanità integrativa, cioè quel pilastro del sistema sanitario italiano che "integra", appunto, il Ssn con prestazioni private.

Infine, Gimbe pone all'attenzione del governo temi come ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie – che vanno rimodulati secondo "principi di equità sociale" – le potenzialità della transizione digitale per migliorare accessibilità ed efficienza del Ssn, e anche il potenziamento dell'informazione istituzionale per promuovere stili di vita sani e favorire decisioni informate sulla salute. L'ultimo punto citato è l'investimento sulla ricerca sanitaria: si chiede di "destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari un importo pari ad almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale standard".

Le opportunità per rilanciare il Ssn sono molte, conclude Cartabellotta: "fine della stagione dei tagli alla sanità, Pnrr, transizione digitale, approccio One health", permettono un rilancio per garantire il diritto costituzionale alla salute. "Un diritto fondamentale che, silenziosamente, si sta trasformando in un privilegio per pochi, lasciando indietro le persone più fragili e
svantaggiate. Perché se la Costituzione tutela la salute di tutti, la sanità deve essere per tutti".

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