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Opinioni

Le proposte di Durigon sulle pensioni sembrano solo chiacchiere e campagna elettorale

Dal Tfr usato per anticipare la pensione al rilancio di Opzione donna, le proposte della Lega restano vaghe e contraddittorie rispetto all’operato del governo Meloni, perfette per far leva su speranze e preoccupazioni in vista delle elezioni regionali.
A cura di Roberta Covelli
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Potrebbe sembrare l’ennesima promessa leghista sulle pensioni. E con ogni probabilità lo è. A margine del meeting di Rimini, Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro del governo Meloni, in un’intervista al Corriere, ha illustrato nuove misure: dall’uso del Tfr per anticipare l’uscita dal lavoro al rilancio di Opzione donna. Le sue parole però restano vaghe, prive di dettagli tecnici e contraddittorie rispetto alle scelte compiute dal governo di cui fa parte. Ed è proprio in questa vaghezza che si può intravedere il senso politico dell’operazione, più elettorale che riformatrice.

Pensione anticipata: usare il Tfr (se c’è) come rendita per la soglia minima

La proposta che ha conquistato i titoli di giornale riguarda la possibilità di usare il Tfr per raggiungere la soglia minima richiesta per l'accesso alla pensione anticipata. Al momento questa facoltà è riservata a chi rientra interamente nel sistema contributivo, abbia versato almeno 20 anni di contributi, e solo se l’assegno stimato supera la cifra minima di 1.616 euro, pari a tre volte l’assegno sociale. Nelle intenzioni di Durigon, invece, la misura verrebbe estesa anche a chi si trova nel sistema misto retributivo, dando anche la possibilità di trasformare in rendita il Tfr maturato per raggiungere la soglia minima dei 1.616 euro.

I dettagli però restano fumosi: si parla di una tassazione agevolata e poco più. Nell’analisi, il sottosegretario cita l’ammontare che l’INPS eroga ogni anno in Tfr ai nuovi pensionati, ma sorvola su un aspetto decisivo: quella liquidazione non è uguale per tutti. Chi ha cambiato più volte datore di lavoro o ha fatto ricorso ad anticipazioni potrebbe non disporre di un capitale sufficiente, e dunque restare escluso dalla misura.

C’è poi la questione di fondo. Il Tfr non è un bonus né un regalo del datore di lavoro o dello Stato: è salario differito, frutto del lavoro già svolto e accantonato, che dovrebbe garantire una disponibilità economica al momento della cessazione del rapporto. Usarlo per anticipare la pensione significherebbe, di fatto, scaricare sul lavoratore il costo di una flessibilità in uscita che il sistema previdenziale non è disposto a sostenere.

Il governo toglie, il governo dà: il ritorno di Opzione donna

Durigon cita anche Opzione donna, il canale di uscita anticipata per le lavoratrici. Lo strumento, spiega il sottosegretario, "è stato poco utilizzato. Ma penso che vada conservato e potenziato".

L’intervistato è lo stesso Durigon che già ricopriva il ruolo di sottosegretario quando il governo Meloni, appena insediato, tra promesse, smentite e annunci di revisione, ha depotenziato radicalmente Opzione donna. Quella che era pensata come una possibilità di uscita anticipata per le lavoratrici è stata ridotta a una platea molto ristretta: caregiver, donne con invalidità, licenziate o impiegate in aziende in crisi. La misura è stata così snaturata, finendo per ricalcare quasi del tutto l’Ape sociale.

Il potenziamento sbandierato ora da Durigon appare allora come un richiamo generico, una promessa tanto vaga quanto opposta all'operato del governo.

Pensioni: la parola magica della Lega

Una vaghezza simile fa pensare che il fine delle dichiarazioni di Durigon sia politico e comunicativo. Con le elezioni regionali alle porte, il tema delle pensioni diventa una trigger word: un concetto capace di suscitare una reazione emotiva immediata nelle persone, facendo leva sulla loro speranza o preoccupazione, senza che ci sia bisogno di entrare nei dettagli tecnici delle misure. La Lega può così sfruttare questa dinamica per catturare consenso elettorale, puntando sulla credulità popolare: gli elettori percepiscono un possibile vantaggio immediato, anche se le riforme annunciate restano vaghe e poco concrete.

Ma le promesse della Lega hanno già avuto un banco di prova: negli ultimi sette anni il partito di Salvini, Giorgetti e Durigon ha governato direttamente dal 2018 al 2019 con Conte, ha fatto parte della maggioranza (e ottenuto ministeri) con Draghi e oggi governa con Meloni. Sei anni su sette con responsabilità concrete sulle scelte dell’esecutivo, anche in materia pensionistica e previdenziale.

La destra di lotta e di governo tra tasse e pensioni

Se invece le parole di Durigon fossero vaghe per i giornali, ma concrete nelle proposte normative, eventuali misure di favore rischierebbero comunque di durare poco: in vetrina fino alle elezioni politiche del 2027, per poi essere smontate dalla legge di bilancio successiva.

È già successo: la prima finanziaria del governo Meloni ha depotenziato Opzione donna, la seconda ha aumentato l’IVA al 10% su beni come assorbenti, pannolini, latte in polvere.

Questa contraddizione tra parole e fatti, insomma, non è nuova: la destra di lotta e la destra di governo corrispondono per le facce, ma non per le azioni. È un loop continuo tra promesse elettorali e misure effettive: dichiarazioni roboanti per catturare consenso, provvedimenti concreti che spesso smentiscono le attese.

Così, la narrazione politica si nutre di illusioni immediatamente percepibili dagli elettori, mentre la realtà normativa le smentisce, creando un ciclo di aspettative deluse e annunci mediatici ricorrenti. Di questo schema, la retorica leghista sulle pensioni è un esempio lampante.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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