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Opinioni

Le minoranze rumorose che urlano sul web

Dalla liberalizzazione della marijuana chiesta a Barack Obama fino alla campagna del M5S per Stefano Rodotà al Quirinale: la differenza fra e campagne espresse dalla Rete e il consenso reale.
A cura di Federico Mello
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Tre anni fa Barack Obama lanciò una “intervista con YouTube”. Il format ideato dai creativi della Casa Bianca prevedeva che qualsiasi utente potesse pubblicare sul portale un video accompagnato da una apposita hashtag. Quindi, tutti gli utenti YouTube potevano votare la domanda che condividevano e, infine, le domande più votate sarebbero state rivolte al Presidente durante la fatidica intervista.

Secondo voi, quale risultò la domanda più votata? Una sulle tasse? Sulle missioni militari? Sul mercato delle armi?
Sulla riforma sanitaria? No, a svettare su tutte fu il video di un utente che chiedeva la liberalizzazione della marjuana. Preciso che chi scrive è un antiproibizionista convinto, e ritengo il tema della depenalizzazione delle droghe leggere molto importante dal punto di vista dell'economia globale. Ciò detto non penso che la questione attanagli la vita quotidiana della maggioranza dei cittadini americani. “Per ora non è all'ordine del giorno” fu infatti la risposta evasiva di Obama. E nessuno se ne lamentò.

Qualcosa di simile, a mio avviso, è successo per la candidatura di Stefano Rodotà alla presidenza della Repubblica italiana. È nata una campagna di opinione a favore del giurista e semi-egemone sui social network, fomentata da Grillo e dal movimento 5Stelle: una campagna molto più rumorosa davanti a Palazzo Montecitorio che nelle realtà. Un sondaggio Swg per Agorà condotto una settimana prima delle votazioni per il Colle, mostrava che appena il sette per cento degli italiani tifava per #ro-do-tà al Quirinale. Ma a sentire Grillo e i suoi, così come gli esagitati radunati davanti al Parlamento, la rielezione di Napolitano era un “colpo di stato” – guarda caso Grillo si era ben guardato di dire che #ro-do-tà aveva raccolto appena qualche migliaio di voti nelle elezioni interne dei 5Stelle.

Esempi del genere potremmo farne a decine. Ma non ci interessa in questa sede. Piuttosto ci preme chiederci come si spiega questa discrepanza tra gli “umori” emersi dalla Rete e il reale consenso di un'idea, di una persona, di una proposta, nel mondo sconnesso. Ovvero, riformulando lo stesso quesito: gli strumenti web creano una distorsione che ci porta a considerare popolare un opinione a discapito del reale consenso che questa esercita? La risposta naturalmente è a mio avviso positiva: non ci spiegheremmo altrimenti i risultati usciti dalle urne lo scorso febbraio: online sembrava che esistesse solo Grillo, ma sia il Pd, che il Pdl, persino la lista di Monti, hanno raccolto decine di milioni di voti tra le persone reali.

La risposta al quesito di cui sopra, allora, va cercata nello strumento stesso delle connessioni digitali: la Rete. “Il medium è il messaggio” la nota massima di Marshall McLuhan. Ovvero il mezzo tecnologico che media una comunicazione, influisce sulla forma e sul contenuto del messaggio stesso. Il ragionamento discorsivo, per esempio, è strutturale alla carta stampata; l'immagine è ciò che conta per la tv. Qual è allora la caratteristica predominante della comunicazione web? Questa la domanda da cento pistole. Una risposta si potrebbe provare ad abbozzarla. Perché la “rete” certamente permette per la prima volta dialoghi e confronti “molti a molti”: non c'è solo un emittente e un ricevente ma più emittenti e più riceventi. Ma questa stessa “Rete” andrebbe distinta in due tronconi. C'è quella che permette discussioni tra persone che si conoscono, e quella che veicola discussioni tra persone che non si conoscono. Nel primo caso niente di nuovo: succede online ciò che succede offline.

Per quanto riguarda le discussioni tra sconosciuti, invece, il discorso cambia. E sì, perché la comunicazione non verbale (tono della voce, espressioni facciali, interazioni con gli altri) sono una componente fondamentale di ogni confronto. E sulla Rete tutto ciò non c'è. Come vari studi hanno dimostrato, quindi, su Internet è molto più facile esprimere opinioni in forte dissenso, così come lasciarsi andare ad ingiurie e insulti, minacce e improperi. Questo perché, sia che si risulti anonimi, sia con nome e cognome, non si rischia né di rovinare la propria “immagine pubblica”, né di avere sanzioni corporali per quando detto. Dal vivo, insomma, nessuno si permette quello che si permette online – lo vediamo anche con Grillo e i grillini: così cattivi dietro uno schermo, così attoniti quando parlano con persone in carne e ossa.

Questa caratteristica delle “Rete” va abbinata alla realtà nella quale siamo immersi. Ovvero una realtà digitale che conta oltre metà degli italiani (e ancora più tra gli americani) connessi. Di fatto Internet si rivolge ormai ad un audience “generalista” che per sua natura deve abbassare il livello culturale di ogni messaggio e semplificare la realtà. “Negatività” e “Semplificazione” sono il “messaggio” della rete generalista.

A quali conseguenze portano queste caratteristiche? Semplice. Che votando una domanda ad Obama, a raccogliere più consensi è quella che risulta intellegibile per un pubblico vasto (bilancio, politiche internazionali? Troppo complicato: piuttosto posso fumarmi o no un bel cannone?). Questo l'effetto “semplificazione”.

Ma c'è anche l'effetto “negatività”. In Italia Casaleggio, che conosce come pochi i risvolti psicologici delle rete sociali, l'ha imposto per primo e con grande anticipo fin dal 2006. E una intera generazione di “connessi attivi” è cresciuta sperimentando come, sul web, non c'era modo più semplice di avere successo e popolarità quanto combinando semplicità+negatività. “Abbasso la casta”, cosa c'è di più semplice da capire, da urlare e da condividere su Facebook? Certo, poi qualcuno potrebbe far notare che dire “i politici sono tutti uguali”, o peggio: “destra e sinistra sono la stessa cosa” sia semplicemente falso (basta confrontare lo stesso Obama con Bush, o la legge Turco-Napolitano sull'immigrazione con la Bossi-Fini). Ma sarebbe un messaggio troppo complicato e troppo positivo per “il popolo del web”. Meglio sparlarla grossa, urlare più forte, non risparmiare nessuno.

Non sarà per sempre così, non saremo per sempre neofiti delle nuove tecnologie digitali nati appena qualche anno fa. Stiamo imparando ad usarle. Stiamo, timidamente, cominciando a costruire una cultura del mezzo. Lo abbiamo fatto con tutte le tecnologie a disposizione (con le automobili, per esempio, mezzo “neutro” che ci garantisce libertà di andare in vacanza ma al contempo ci espone al rischio incidenti) e lo faremo anche con la Rete.

E potremmo cominciare a costruire questa “cultura digitale” proprio cominciando a dire che le “minoranze rumorose” che svettano tra le hashtag non per forza rappresentano qualcosa. Rappresentano la Rete e, al massimo, il medium e il messaggio conseguenti.

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35 anni, leccese, giornalista. Sono stato blogger, poi Annozero, Il Fatto Quotidiano e Pubblico. Ho scritto «Il lato oscuro delle stelle» : http://goo.gl/nCnaI
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