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La versione di Zaia: “Basta prendersela con i giovani, il mondo del lavoro è cambiato ed è giusto così”

“Il mondo del lavoro è cambiato. Il Covid è stato come un nuovo big bang per l’umanità, che ha cambiato l’approccio rispetto alla vita, al tempo libero, al lavoro, alle professioni. Ma il mondo non si ferma, ci sono semplicemente degli adeguamenti a una storia che sta cambiando. E i giovani, in questo, indicano la via”: lo ha detto Luca Zaia, governatore del Veneto, in un’intervista con Fanpage.it.
A cura di Annalisa Girardi
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Abbiamo intervistato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, per parlare di mondo del lavoro, di ambiente, delle sfide della digitalizzazione e dell'accoglienza. Secondo il governatore leghista sono in atto vari cambiamenti epocali, dall'approccio alla vita professionale all'attenzione per il contrasto al cambiamento climatico. E dice chiaramente: "A indicarci la via sono i giovani".

L'approccio al mondo del lavoro nel tempo è cambiato fortemente, cosa ne pensa di quello delle nuove generazioni, di cui si discute molto?

Per prima cosa la finirei con questa narrazione di sput***are sempre ragazzi: i nostri nonni rompevano le scatole ai nostri genitori, i nostri genitori a noi, e noi ora rischiamo di parlare male dei nostri figli o di quello che diventeranno. La verità è che i ragazzi indicano la via e il mondo del lavoro è cambiato. Tutto sta cambiando e cambierà ancora. Non ci dobbiamo meravigliare delle istanze dei ragazzi. Cominciamo invece a parlare dei tanti ragazzi che investono moltissimo nella formazione, che vanno all'estero, che provano a incrementare sempre più le loro conoscenze, che sono open mind. Perché di quesi non si parla mai?

Comunque è innegabile che oggi ci sia un'attenzione forte a quello che è il tempo libero, al dedicare qualcosa a qualcun altro. Mio padre mi diceva sempre che se un medico tiene aperto l'ambulatorio 24 ore al giorno è un pessimo medico, perché invece deve avere – oltre alle sue otto ore per lavorare – anche le otto ore per riposarsi e le otto ore per divertirsi, studiare e fare ciò che vuole. Io penso che i giovani oggi abbiano un'altra visione. Si tratta di mettere insieme questa visione con quelle che sono poi le richieste del mercato. Vedo che già molte aziende multinazionali propongono ad esempio di ridurre il numero delle giornate di lavoro,  sono sempre degli adeguamenti a un mondo che cambia…

Cosa ne pensa quindi di questa sperimentazione sulla settimana lavorativa corta?

Molti griderebbero allo scandalo. Io dico che che stiamo entrando in un'era glaciale nuova, questo ce lo ha ha insegnato quel "cigno nero" che è stato il Covid. Nassim Nicholas Taleb diceva che il "cigno nero" è quell'evento imprevedibile: il Covid è stato uno dei cigni neri di questi ultimi anni assieme alle guerre, in Ucraina e poi in Medio Oriente. Penso che sia stato un nuovo big bang per l'umanità, che ha cambiato l'approccio rispetto alla vita, al tempo libero, al lavoro, alle professioni. Ma il mondo non si ferma, ci sono semplicemente degli adeguamenti a una storia che sta cambiando.

I giovani che entrano nel mondo del lavoro denunciano spesso anche tanto precariato. Cosa ne pensa del dibattito politico sul salario minimo?

Non penso che il salario minimo sia la soluzione al problema del precariato. Dopodiché, la battaglia al precariato va fatta ovviamente. Oggi un precario non può avere un progetto di vita perché ha difficoltà ad accedere al credito, se non ha i genitori che firmano non può avere ad esempio un mutuo. Io l'ho scritto nel mio ultimo libro, "I pessimisti non fanno fortuna": perché non proviamo a candidarci a essere il Paese dei giovani? E cominciare a dire, ad esempio, che lo Stato potrebbe garantire per determinate persone – che hanno caratteristiche di età, reddito e formazione – affinché le rate dell'affitto si trasformino in una rata di mutuo. In tal modo si garantirebbe un progetto di vita a questi giovani.

Ma ci sono anche tante altre cose. C'è il nomadismo digitale, c'è lo smart working: sono nuovi modi di lavorare, dobbiamo mettere in fila tutte queste cose e ovviamente avere come punto focale la lotta al precariato.

Le nuove generazioni oggi scendono in piazza contro il cambiamento climatico. Lei da ragazzo per cosa manifestava?

A parte le proteste perché non c'era mai gasolio per riscaldare la scuola – quella era una costante negli anni Ottanta – l'attenzione all'ambiente c'è sempre stata. Bisogna considerare però che noi eravamo nel mondo analogico, non avevamo un'informazione real time. I ragazzi di oggi sono eccezionali, cioè hanno un sentimento ambientalista, di rispetto al tema dell'ambiente, che è unico. Dopodiché devono stare attenti di non farsi politicizzare o di non fare una scelta politica assieme a quella ambientale. Noi dobbiamo riconsegnare questo pianeta in maniera dignitosa a chi verrà dopo di noi e lo dobbiamo fare immaginando che sia una no fly zone rispetto alla politica. Perché poi con la politica partono i conflitti.

Alcune questioni però sono politiche, penso ad esempio al passaggio all'elettrico e allo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035…

Il passaggio sarà inevitabile. Dopodiché, più che di dibattito politico io penso che vengano poste delle questioni sulle macchine elettriche. Me le pongo anche io da cittadino. È vero che le auto elettriche non emettono gas inquinanti, ma vorrei capire quanto inquina l'auto prima di arrivarmi in garage. Cioè quanto è costata, dal punto di vista di rispetto dell'ambiente, la produzione di quelle batterie? Quanto inquinano le batterie esauste? Dove andranno a finire? Sono questioni che di dobbiamo porre, dobbiamo considerare il tema della virtuosità dell'economia circolare.

Io al momento non ho una macchina elettrica. Ho una macchina vecchia e probabilmente quando la cambierò ne prenderò una ibrida. Sono anche convinto che dovremmo investire molto di più sull'idrogeno nell'automotive. Sarebbe il massimo, considerando che emetteremmo vapore acqueo e quindi l'inquinamento sarebbe a zero. Ma anche in questo caso, qualcuno ci spiegherà se produrre un auto a idrogeno inquina e se conviene davvero.

Lei ha fatto politica a livello nazionale e locale: qual è la cosa che le viene chiesta più spesso dai cittadini?

I cittadini chiedono attenzione. Non sono degli sprovveduti, ti guardano e ti giudicano. Bisogna anche saper dire tanti no. Penso che nel mio caso questo sia stato apprezzato. Ci deve essere la percezione che tu non stia facendo una recita, ma stia veramente lavorando. Dopodiché, chi lavora sbaglia. Noi non siamo infallibili, ma cerco di fare il mio lavoro con il cuore. E poi è importante saper rappresentare tutti i cittadini, anche chi non la pensa come te. Nel 2020 sono stato eletto con il 77%: sento una grande responsabilità, ma ancora di più nel rappresentare quel 23% che non mi ha scelto.

Infine, sul piano del governo di costruire un Cpr per ogni Regione, avete ricevuto istruzioni? Come stanno le cose?

Per ora non abbiamo ricevuto alcuna notizia, non siamo stati contattati. Il Cpr fa parte della macchina dell'ospitalità e dell'immigrazione. Sono strutture che vengono realizzate dal governo e sembra che vogliano farle in ogni Regione, noi in Veneto non ce l'abbiamo. Si parla di una detenzione amministrativa – che non può superare i 18 mesi – per il rimpatrio di quelle persone che non hanno nessun titolo per stare qui. Allora, innanzitutto non dobbiamo far credere che il Cpr serva per fermare i flussi perché non c'entra niente. Noi quest'anno avremo un bilancio, purtroppo, di 200mila persone che saranno sbarcate a Lampedusa.

Sappiamo che l'8% di quei 200 mila avrà titolo per essere riconosciuto come rifugiato, che quindi è scappato dalla morte dalla fame. Parliamo di 16mila persone. Qualcuno dice che, considerando diversi status di riconoscimento (di protezione internazionale, ndr), si potrebbe arrivare a un 30%: quindi 60mila persone. Questo significa che circa 140mila persone dovranno tornarsene a casa, non avranno titolo per restare qui. Noi, a questi livelli, non riusciamo a rimpatriare: mediamente l'Italia ne rimpatria tra i 3mila e i 4mila all'anno, ma 160mila è un numero pauroso.

È scandalosa la posizione dell'Europa, che se ne frega del suo confine e percepisce Lampedusa come confine italiano. L'Europa ha sempre meno una dimensione politica e sempre più una da burocrate. Io ormai la vedo come l'Ufficio complicazione degli affari semplici.

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