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Opinioni

La vera emergenza per Giorgia Meloni è che non ci sono soldi

Le misure identitarie su rave, migranti, medici no vax sono specchietti per le allodole: la vera questione è che non ci sono soldi per affrontare il caro bollette e la recessione in arrivo. E per il nuovo governo questa è la vera emergenza.
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Tutto secondo le previsioni, tutto sommato. Il neo ministro Piantedosi che non fa sbarcare le navi cariche di migranti. I medici che non si sono vaccinati reintegrati in servizio con mille scuse. E ancora, il nuovo reato che commina pene fino ai sei anni di reclusione per chi organizza rave party.

Tutto secondo le previsioni, dicevamo, perché francamente era abbastanza illusorio attendersi che la destra non facesse la destra, dopo aver conquistato Palazzo Chigi. Piccola anticipazione: non finirà qua. Aspettiamoci altri giri di vite sulla vendita e l’uso di sostanze stupefacenti, sulle manifestazioni di piazza, perché no, pure sui diritti civili.

Perché la spasmodica ricerca di questioni identitarie e divisive con cui Giorgia Meloni e i suoi alleati cercheranno di riempire l’agenda politica e le pagine dei giornali è inversamente proporzionale alla quantità di soldi che hanno a disposizione per risolvere i problemi più urgenti sul tavolo, quelli che la stessa presidente del consiglio ha messo in fila durante il suo discorso d’insediamento: il caro bollette, l’aumento dei prezzi, la recessione in arrivo.

Facciamo due conti, e un paio di passi indietro. L’ormai ex ministro dell’economia Daniele Franco, nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, aveva previsto un deficit di bilancio pari al 3,3%. Il suo successore, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato di volerlo alzare al 3,9% o forse addirittura al 4,5%, recuperando tra i 15 e i 20 miliardi dall’emissione di nuovo debito per rifinanziare le misure del governo Draghi contro il caro bollette, che a conti fatti costano almeno 30 miliardi. Ne mancano 10, quindi, che il governo conta di recuperare dalle tasse sugli extra-profitti delle compagnie energetiche.

Siamo solo all’inizio, però. Perché ci sono da finanziare anche una serie di misure già previste dal governo Draghi, come l’adeguamento delle pensioni al costo della vita, il rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici, un intervento sul cuneo fiscale e il rifinanziamento delle missioni all’estero. Contati male, sono altri 10-15 miliardi che fanno lievitare ulteriormente il costo della manovra sino a 40-45 miliardi di euro.

Tutto il resto, tutto quel che serve per tutte le misure che la destra ha promesso in campagna elettorale – a partire dalla necessità di scongiurare il ritorno alla piena applicazione della legge Fornero sulle pensioni a partire dal 2023 – va trovato tagliando la spesa o aumentando le tasse. Ammesso e non concesso, come propone il leader leghista Matteo Salvini, che non si propenda per un ulteriore scostamento di bilancio, che significherebbe nuovo deficit e nuovo debito.

La strada è molto stretta, insomma. Perché, un allargamento del deficit oltre il confine del 4,5% produrrebbe un aumento ulteriore del rapporto tra debito pubblico e Pil, cosa che non ci possiamo permettere visto il 2023 di recessione che ci attende, l’aumento dei tassi d’interesse che farà aumentare ulteriormente il costo del debito, e – non bastasse – il ritorno in vigore delle regole europee sul controllo dei conti pubblici, e il fantasma dello spread sempre in agguato.

Dura, molto dura, a dispetto dei proclami, provare a tagliare la platea di percettori del reddito di cittadinanza, provvedimento che – vista la congiuntura economica – rischia di rivelarsi una vera e propria bomba sociale. E dura, ancora più dura, mettersi a tagliare le detrazioni e le deduzioni fiscali, o peggio ancora provare a tagliare la spesa pubblica.

Non bastasse, all’orizzonte, si staglia la bomba Pnrr, con il costo delle opere programmate che in seguito all’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, si stima possa lievitare di 40-50 miliardi sui 220 totali. Anche qui, da qualche parte, i soldi andranno trovati, e non è detto sia così facile riuscirci.

Meglio, molto meglio, che l’opinione pubblica guardi altrove.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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