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Covid 19

Covid, la strategia di Draghi: ombrellini da cocktail per fermare la tempesta Omicron

Mascherine all’aperto e modifica alla durata del green pass sono le uniche certezze della risposta italiana a Omicron: poco, troppo poco, considerando l’inevitabile risalita di casi, ospedalizzazioni e decessi.
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La prima conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi come Presidente del Consiglio non ha deluso le aspettative: poche risposte specifiche, ringraziamenti alle forze politiche che lo sostengono ora e che lo sosterranno a febbraio (forse) per il Quirinale, affettuosi scambi di complimenti con i giornalisti, soliti momenti surreali. Nulla di inusuale, intendiamoci. Il problema è che stavolta c’era un convitato di pietra, di cui si è parlato poco e male, al punto che converrebbe cominciare a preoccuparsi sul serio. Le anticipazioni che il Presidente del Consiglio ha dato sulla cabina di regia su Omicron convocata per domani, infatti, restituiscono l’idea di un governo incerto, confuso, affatto determinato a prendere decisioni efficaci su quella che Oms descrive come “una tempesta” che si sta abbattendo anche sul nostro Paese.

C’è un problema di fondo nella gestione della pandemia, che la nuova variante ha reso ancor più evidente. I vaccini sono un’arma fondamentale, un incredibile risultato della tecnica capace di salvare decine di migliaia di vite, ma da soli non bastano a chiudere la partita con la Covid-19. Lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo e Omicron, con la sua capacità di eludere parzialmente la copertura per quanto riguarda contagio e severità dei sintomi, sta mostrando tutta la fragilità di una risposta che non sia in grado di andare oltre il “vacciniamoci tutti”. Peraltro, anche questo è noto da tempo, l’efficacia dei vaccini cala col tempo, il booster è necessario e i primi dati sulla nuova variante suggeriscono che vada fatto il prima possibile (soprattutto per chi ha ricevuto Astrazeneca o ha fatto la seconda dose oltre 6 mesi fa). Il fatto che il tempo di raddoppio stimato sia intorno ai 2-3 giorni, rende necessario agire in fretta, con tempi che non sono compatibili con quelli di una campagna vaccinale, soprattutto se non proprio efficacissima come quella italiana delle ultime settimane. Omicron viaggia a una velocità incredibile, che produca sintomi meno gravi di Delta non è affatto scontato. E, in ogni caso, dobbiamo ricordare che una variante molto più contagiosa è paradossalmente più pericolosa di una più letale (qui qualche spiegazione).

Detto in modo brutale: se non limitiamo prima di subito la trasmissione del virus rischiamo che il nostro sistema sanitario venga travolto. Dire che siamo in ritardo è un eufemismo: i primi allarmi su Omicron sono di oltre un mese fa, i primi riscontri scientifici di una certa rilevanza risalgono a inizio dicembre, quasi tutti gli stati europei hanno già reagito con misure restrittive; noi siamo ancora al "sondaggio" dell'ISS sulla prevalenza di Omicron su Delta e la maggioranza è riuscita nel capolavoro di convocare una cabina di regia il 23 dicembre, quando sarà pressoché impossibile intervenire sulle festività natalizie. Draghi ha spiegato che il governo sta ancora discutendo sulle misure da prendere, lasciando intendere che gli unici punti su cui sembra esserci accordo è sull’utilizzo delle mascherine anche all’aperto, sulla necessità di rivedere la durata del green pass e sulla possibilità di utilizzare i tamponi (Costa ci dice gratuitamente) per coloro i quali sono in attesa della terza dose. Si tratta di mezze misure, di interventi che non possono incidere in modo significativo sulla circolazione del virus e che per giunta arrivano con estremo ritardo.

È comprensibile che il governo non sia nelle condizioni migliori per prendere decisioni drastiche e impopolari, dopo mesi di comunicazione orientata al “ritorno alla normalità” grazie a vaccini e green pass. Errori di gestione e comunicazione, ma anche un contesto che sia è evoluto in modo solo in parte prevedibile, rendono complesso far digerire ai cittadini misure radicali, soprattutto dopo mesi di enormi sacrifici. Allo stesso modo, è inaccettabile sentir parlare il Presidente del Consiglio di approccio “incline a prevedere il peggio e ad agire d'anticipo” se poi non si è capaci di implementare neanche interventi con minor costo complessivo, che rappresenterebbero almeno un tentativo serio di contenere Omicron.

Qualcuno ha provato a chiedere a Draghi se il governo fosse pronto a imporre l'obbligo di mascherine almeno Ffp2 in luoghi particolarmente a rischio (ambienti chiusi a esposizione prolungata, locali pubblici, mezzi di trasporto), la risposta è stata un generico "stiamo valutando" e a un rimando all'obbligo di mascherine all'aperto (sulla cui efficacia ci sono enormi perplessità). Discorso simile su un'eventuale modifica della strategia di testing e tracciamento, che al momento non contempla l'utilizzo obbligatorio del tampone molecolare e vede la stragrande maggioranza delle Asl incapace di identificare e isolare per tempo i focolai. Stendiamo un velo pietoso sulla forza del nostro sistema sanitario di sequenziare e ottenere dati sul virus (sarebbe davvero mortificante ogni paragone sul lavoro delle autorità britanniche o tedesche, ad esempio).

Draghi ha poi glissato sulla possibile reintroduzione dello smart working almeno per i dipendenti della pubblica amministrazione, su cui chiaramente non c'è accordo nella maggioranza, anche perché si tratterebbe di sconfessare le scelte del ministro Brunetta, orientate da tempo al ritorno in presenza e alla rigida regolamentazione del lavoro a distanza. Soprattutto, il governo non ha alcuna intenzione di intervenire sulle scuole, che in queste ultime settimane sono una specie di fabbrica dei contagi. Il ministro Bianchi ha già bocciato la possibilità di prolungare le vacanze di Natale, ipotesi che pure avrebbe dato un minimo di respiro, rallentando la circolazione del virus tra una fascia ancora poco coperta dalla protezione vaccinale. Siamo al punto in cui dopo aver buttato quasi due anni senza essere riusciti a migliorare le condizioni di sicurezza nelle classi (spazi, aerazione e via discorrendo) la didattica a distanza fa più paura di centinaia di classi in quarantena, della long Covid e dei dati preoccupanti che arrivano da UK quanto a ospedalizzazioni dei bambini.

Per inciso, il Presidente del Consiglio si è prodotto in un passaggio piuttosto singolare nel corso della conferenza stampa, quando ha spiegato che le decisioni prese e da prendere sono sempre state determinate dai dati e non dalla politica. Anche volendo tralasciare i limiti di un approccio del genere (tocca sempre alla politica prendere decisioni che riguardano la vita dei cittadini, certo con il supporto dei dati e delle evidenze scientifiche, con un'assunzione di responsabilità che contempli altri fattori e valutazioni), siamo di fronte a una dichiarazione smentita dai fatti e dalla stessa lentezza con cui il governo si sta muovendo. Proprio i dati imporrebbero azioni rapide e decise. Noi ci ritroveremo con dei palliativi, tante polemiche e con molta confusione sotto il cielo.

Siamo ancora a sperare nella buona sorte, che per qualche ragione il contagio si arresti da solo, che le cene e le feste natalizie non facciano salire la curva in modo drammatico, o che il virus sia diventato più buono. Ecco, questo tweet del giornalista Kupferschmidt è tristemente perfetto: al punto in cui siamo, stiamo giocando alla roulette.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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