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La favola del CNEL, l’organo che tutti vogliono abolire e che invece resiste (a 9 milioni l’anno)

Se c’è una cosa su cui praticamente tutte le forze politiche sono (o almeno sono state) d’accordo è sull’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Quelli del CNEL, invece, non hanno alcuna intenzione di mollare e, anzi, rilanciano il loro ruolo, tra proposte di legge, comitati interni e nuove voci in bilancio.
A cura di Redazione
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di Stefano Iannaccone e Carmine Gazzanni

Da destra a sinistra, passando addirittura per il gruppo Misto. In Parlamento tutti vogliono, sulla carta, abolire il Cnel, ora presieduto dall’ex ministro Tiziano Treu. Ma l’organo di rilievo costituzionale, previsto dall’articolo 99 della Carta, continua a resistere alle intenzioni dei partiti. Una macchina che, stando al bilancio di previsione per il 2020, costerà oltre 9 milioni. E che, sfruttando le prerogative della stessa Costituzione, presenta proposte di legge per rafforzare il proprio ruolo. E pensare che Riccardo Fraccaro, il 4 maggio 2019 (all’epoca era ministro dei Rapporti con il Parlamento dell’esecutivo gialloverde) affermava: “Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro si è rivelato un ente inadeguato agli scopi per cui era stato concepito”. Tanto che il contratto di governo con la Lega aveva espressamente incluso l’abolizione del Cnel, con la benedizione di Matteo Salvini. Una posizione, condivisa da Matteo, Renzi, che in quel caso non ha risparmiato frecciate. “In Senato è arrivata la richiesta di discutere la legge costituzionale proposta dai Cinque Stelle per l’abolizione del Cnel. Sì, proprio del Cnel. I Cinque Stelle sono così: prima ti insultano, poi ti copiano (male!)”, attaccò l’attuale leader di Italia viva, allora solo senatore del Pd. Una replica avvelenata per un motivo preciso: l’ex presidente del Consiglio è stato il primo alfiere dell’abolizione del Cnel. La riforma della Costituzione, firmata da Maria Elena Boschi (e bocciata dal referendum il 4 dicembre 2016), prevedeva la cancellazione del Consiglio. Peraltro, durante la campagna referendaria Luigi Di Maio espresse approvazione solo per quel passaggio delle riforma, definendolo “uno zuccherino” in una “valanga di letame”. Pure un fervente avversario dei renziani, Massimo D’Alema, è stato favorevole alla soppressione dell’ente: addirittura l’aveva prevista, più di venti anni fa, nella proposta delle Bicamerale.

È trascorso molto tempo, però, e tutto è rimasto fermo. E dire che solo dal dicembre 2016, dopo appunto il “no” al referendum, ci sono state otto proposte di legge depositate tra Camera e Senato, fino alla chiusura della scorsa legislatura. Tutte con lo stesso progetto: chiudere il Cnel. Dalla Lega, con Filippo Busin, ai bersaniani di Articolo 1, con Felice Casson, passando per Forza Italia, con l’allora senatore Nitto Palma, e per il Partito democratico, con Giuseppe Guerini, una raffica di testi ha invaso i cassetti del Parlamento. Dove sono rimasti a giacere. E in questa legislatura anche Manfred Schullian della Südtiroler Volkspartei, e presidente del gruppo Misto a Montecitorio, ha depositato una proposta per l’intervento sull’articolo 99 della Costituzione e contro il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, rilanciando una sua vecchia battaglia. Così come ha fatto il senatore leghista, Roberto Calderoli, quando era ancora in piedi l'alleanza con il Movimento 5 Stelle.

Al di là delle intenzioni il Cnel resiste. Con tutto quello che ne consegue in termini economici. Nonostante, infatti, i fasti di un tempo siano ormai lontani e non replicabili, stando al bilancio di previsione 2020, l’organo conta di spendere quest’anno 8,8 milioni di euro. A tanto ammontano le cosiddette “spese correnti” (quelle vive, per intenderci). Se poi si sommano anche le spese in conto capitale e le partite di giro, ecco che il bilancio di previsione, nella parte relativa alle uscite, arriva a 9,4 milioni di euro.

Nel dettaglio, per pagare l’intera governance si prevede di spendere 626mila euro. Se è vero infatti che i membri del Consiglio non percepiscono stipendio, è altrettanto vero che sono stati messi in conto 100mila euro per coprire le “spese per la partecipazione di Presidente, Vice Pres. e Consiglieri ai lavori del Consiglio”, cui si aggiungono tra le altre cose ulteriori 295mila euro per pagare – ovviamente – i dipendenti al servizio del presidente Treu. Il grosso della spesa – 5,4 milioni di euro – sarà invece sarà invece assorbito dalla macchina amministrativa: il personale diretto dal segretario generale del Consiglio, Paolo Peluffo (ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo Monti), ad esempio, costerà quest’anno 2,8 milioni di euro. Ci sono, poi, i servizi e le forniture: dall’acquisto di carta e cancelleria (50mila euro) alle spese per le relazioni istituzionali (120mila euro). Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, peraltro, il Cnel ha tutta l’intenzione di investire sul rinnovamento e la digitalizzazione. Così si prevede di spendere 460mila euro per la manutenzione ordinaria di hardware e software, 75mila euro per il noleggio di apparecchiature informatiche, 280mila euro per l’acquisto di altri software, 150mila per altri hardware. Non mancano, poi, altre spese canoniche: dai servizi di artigianato (40mila euro) che si aggiungono alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili (165mila euro) e agli arredi per ufficio (30mila euro), fino ad arrivare all’acquisto “di beni di consumo strumentali al funzionamento degli uffici e alle esigenze istituzionali e di decoro” per cui il Cnel conta di spendere altri 50mila euro.

Tuttavia, bisogna attendere fine anno per capire se il bilancio di previsione corrisponderà alle spese effettivamente sostenute dal Consiglio. Quel che sembra, infatti, è che il Cnel stia cercando di risparmiare: dal conto consuntivo 2019 emerge un avanzo di amministrazione pari a oltre 7,2 milioni di euro (erano state previste inizialmente spese per 8,3 milioni di euro, poi aumentate con una nota di variazione al bilancio addirittura a 13 milioni).

Nel frattempo spicca l’attivismo verso il Parlamento, visto che l’organo ha il potere di presentare di proposte di legge: sono ben 26 (13 alla Camera e 13 al Senato) i testi depositati su iniziative del Cnel. Un’enormità rispetto alle 10 della XVII legislatura (2013-2018), alle 6 della XVI (2008-2013) e alle 4 della XV (2006-2008). L’ultima iniziativa risale al 5 marzo quando il Cnel ha presentato due disegni per modificare la “disciplina del codice civile in materia di contratto di spedizione”. C’è, poi, un’altra proposta di legge del Cnel piuttosto singolare: “Istituzione del Comitato nazionale per la produttività presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”. In pratica l’idea, lanciata dal Cnel, è istituire un comitato interno allo stesso Cnel. La ragione di tale incursione dell’ente deriva dal fatto che, come specificato nella relazione tecnica, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato una raccomandazione (dunque non vincolante) con la quale “richiedeva ai singoli Stati membri di costituire al proprio interno, entro il 20 marzo 2018, un comitato nazionale per la produttività con l’obiettivo di analizzare e valutare la produttività e la competitività del sistema produttivo nazionale”. La raccomandazione risale al 2016 e, nonostante sia “scaduta” nel 2018, il Cnel l’ha ripescata, a tre anni di distanza. Rigirandola a proprio favore.

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