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Opinioni

La difficile strategia di Meloni al G7, tra gli europei e il fattore Trump

Giorgia Meloni è arrivata al G7 tenendo bene a mente una strategia non troppo semplice: da un lato fare squadra con gli europei – per evitare di sdoganare il piano di Trump, che vorrebbe Putin come mediatore tra Israele e Iran – e dall’altro mantenersi sempre nelle grazie del presidente statunitense per presentargli il suo piano su Gaza.
A cura di Annalisa Girardi
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Il G7 in Canada è un vertice che fin dall'inizio si è mostrato molto difficile. In primis per il grande tema di cui si sono trovati, improvvisamente a discutere i leader mondiali, cioè la guerra tra Israele e Iran. Un conflitto che per anni si è cercato di evitare che sfociasse nello scontro armato frontale e che ora destabilizza ancor di più una regione martoriata. Il tema al centro di questo vertice avrebbe dovuto riguardare i dazi di Trump, ma la preoccupante escalation ha costretto a rivedere l'agenda. A proposito di Trump, è lui l'altro grande elemento di difficoltà. Il presidente statunitense si è subito messo in contrapposizione con gli altri capi di Stato e di governo proponendo di riabilitare Vladimir Putin affidando a lui il compito di mediare tra i due nemici in Medio Oriente. E poi si è messo di traverso nella dichiarazione congiunta, rifiutandosi di ridimensionare, anche solo a parole, l'appoggio a Tel Aviv.

Su Repubblica, Tommaso Ciriaco racconta bene l'atmosfera dei primi minuti del summit:

Qualche minuto prima del G7, in un angolo del Pomeroy Kananaskis Mountain Lodge, Donald Trump si ferma per qualche minuto con Emmanuel Macron, Keir Starmer e Giorgia Meloni. Gli europei ci mettono un attimo a capire quello che già sentono di aver intuito: Israele non si fermerà, non subito. Non lo farà perché il presidente americano sostiene l'azzeramento del regime. Si tratta di uno scenario che i big continentali non possono – e neanche davvero vogliono – fermare. E dunque lo accettano, di fatto. Cercheranno di non parlare troppo di de-escalation, limitandosi al più blando concetto di negoziato.

Almeno da questo punto di vista una quadra sarebbe stata trovata visto che, dopo dei primi annunci in cui diceva che non aveva alcuna intenzione di firmare documenti congiunti, alla fine anche Trump ha firmato una dichiarazione finale. Lo ha fatto, appunto, al netto di alcune modifiche. E alla fine ne è uscito un testo in cui si ribadisce il sostegno al diritto di difesa di Israele, affermando allo stesso tempo che l'Iran non potrà mai avere un'arma nucleare.

L'articolo di Ciriaco prosegue, sempre parlando dei leader europei di fronte alla strategia di Trump:

Proveranno almeno a sollecitare una eventuale transizione ordinata a Teheran. Vogliono evitare il caos politico e la guerriglia etnica, un vuoto di potere che infiammi la regione e sfoghi i suoi effetti sul Vecchio Continente. Ma soprattutto, lavoreranno per disturbare un'opzione geopolitica che sentono approssimarsi: un patto tra il tycoon e Putin. Che includa non solo il Medio Oriente, ma anche Kiev. Sulla pelle degli ucraini. Scaricando l'Europa.

Il rischio, in altre parole, è che Trump cerchi di scambiare un "nuovo corso" a Teheran, con la sottomissione di Kiev alle condizioni di Cremlino, in pratica. Una sorta di resa, quindi.

Anche Ilario Lombardo, in un articolo pubblicato su La Stampa, racconta i retroscena del G7.

Gli europei cercano di restare compatti. Si riuniscono più volte. La prima, la sera di domenica, nel bar del Lodge Kananaskis che ospita i leader, mentre il tycoon è in volo e sta raggiungendo il summit tra le montagne rocciose dell'Alberta. Meloni si confronta con Macron, Merz, Starmer e poi con il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, che si aggiunge al gruppo. L'indomani, ieri mattina, si ritrovano i leader dell'Ue senza il primo ministro britannico, ma assieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (…) Gli argomenti più caldi si affrontano al margine dei lavori, dedicati ad altro. Il capo della Casa Bianca non si sfila solo dalla proposta di un documento finale (che poi in realtà firmerà a precise condizioni, ndr) Trump va oltre: fino al tentativo di riabilitare Vladimir Putin. Dice che è stato un errore escluderlo dall'allora G8 – una vecchia teoria che sosteneva anche durante il suo primo mandato) e testa convinto che possa giocare un ruolo nella crisi in Medio Oriente. L'unico, secondo gli USA, a poter offrire garanzie alla Repubblica islamica, e anche di salvacondotto per Khamenei. Il sospetto che comincia a circolare tra i funzionari diplomatici è che Trump stia ragionando davvero secondo una logica precisa: il sostegno di Putin in Iran in cambio di un epilogo in Ucraina più favorevole alla Russia. È lo scenario che segnerebbe la sconfitta della linea europea.

I leader europei hanno reagito in modo diverso. Macron ha bocciato apertamente questa opzione, sottolineando come Putin non abbia rispettato il diritto internazionale in Ucraina, per cui non è credibile ora chiedergli di esserne garante in Medio Oriente, per mediare a una soluzione. Starmer invece ha preferito passare dalle parole ai fatti, annunciando nuove sanzioni del Regno Unito alla Russia. "Meloni invece non si espone – si legge sempre nel pezzo di Lombardo su La Stampa – Preferisce restare fedele alla propria strategia: rimanere agganciata ai partner dell'Unione senza però alienarsi Trump e rischiare lo scontro con lui. Sembrano sfumature, ma in realtà è un disegno preciso".

Meloni ha anche una strategia precisa per quanto riguarda Gaza, di cui ha parlato agli altri leader proprio nel G7. Ne scrive Adriana Logroscino, sul Corriere della Sera, precisando che nella complessa situazione di trattare con Trump su Israele e Iran, la presidente del Consiglio ha deciso di provare a fare l'equilibrista:

Giorgia Meloni sposta il focus su un'altra emergenza: promuovere una iniziativa comune per il cessate il fuoco a Gaza perché «questo è il momento». La convinzione della premier è che a medio termine «l'allentamento della pressione sulla Striscia sia possibile». E la sua idea, filtra, starebbe riscontrando aperture da parte dei partner europei. (…) Tutti gli sguardi sono puntata su Trump che con la sua "riabilitazione" di Putin – l'altro giorno possibile mediatore tra Tel Aviv e Teheran, ieri da riammettere tra i grandi – costringe gli europei a considerare, quantomeno, strategie e timeng. Meloni mantiene prudenza: Trump, è il ragionamento, non si commenta a caldo perché spesso le sue parole si sgonfiano, le posizioni si ammorbidiscono. Ma su Putin ieri hanno espresso opinioni non sfavorevoli due suoi ministri: per Guido Crosetto, «qualunque attore può essere mediatore», e per Matteo Salvini «se Trump lo propone, qualcosa vorrà dire e poi significherebbe la fine della guerra in Ucraina».

Non è d'accordo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che in un'intervista con il Corriere della Sera, di Paola Di Caro, ha detto: "Non credo che la Russia possa avere ruoli di mediazione, in questo caso. Sarebbe importante che Putin si sedesse al tavolo del negoziato per mettere fine agli attacchi all'Ucraina".

Ileana Sciarra, sul Messaggero, approfondisce la posizione di Meloni:

Propone agli altri di lanciare un segnale da Kananaskis, un'iniziativa comune affinché si levi la voce del G7 per il cessate il fuoco (su Gaza, ndr). Incassa il disco verde degli europei, assieme al riconoscimento per quanto fatto dall'Italia sul campo, compresa l'iniziativa per curare a Milano il piccolo Adam, il bambino che sotto le bombe ha perso il papà e tutti i suoi fratelli. (…) «Giorgia, convaincs-le toi meme», scherza Macron con la premier.

Se ci sia riuscita, non lo sappiamo. Sappiamo che c'è stato un bilaterale a sorpresa, una breve conversazione su una panchina a margine dei lavori, in cui si sono discusse molte cose. Gaza e la situazione in Medio Oriente comprese. Ma per capire se ci sarà o meno questa iniziativa comune per la Striscia, bisognerà aspettare. E probabilmente, bisognerà prima trovare una quadra per il conflitto tra Israele e Iran.

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