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La definizione dell’Iss di un caso Covid: perché includere tutti i positivi, non solo i sintomatici

Lo afferma l’Istituto superiore di sanità, spiegando come viene definito un caso Covid e sottolineando l’importanza del monitoraggio. Gli esperti affermano che la definizione di caso di sorveglianza deve contenere tutti i positivi e non solo i casi di “sintomatologia più indicativa”, cioè sintomi respiratori, febbre elevata e alterazione di gusto e olfatto.
A cura di Annalisa Girardi
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La sorveglianza deve includere tutti i positivi, non solo i casi sintomatici. Lo afferma l'Istituto superiore di sanità, spiegando come viene definito un caso Covid e sottolineando l'importanza del monitoraggio. Negli ultimi giorni il dibattito politico è stato acceso dalle richieste, provenienti ad esempio da entrambi i sottosegretari al ministero della Salute, ma anche dalle Regioni, di cambiare il bollettino quotidiano sulla situazione epidemiologica nel Paese senza più tenere conto dei casi asintomatici. Numeri troppo alti, infatti, avrebbero provocato "un clima di paura ingiustificato".

Nella sua nota l'Iss ribadisce che la definizione di caso di sorveglianza deve contenere tutti i positivi e non solo i casi di "sintomatologia più indicativa", cioè sintomi respiratori, febbre elevata e alterazione di gusto e olfatto.

L’infezione da SARS-CoV-2 dà una sintomatologia variegata e in evoluzione anche per la comparsa di nuove varianti virali che interagiscono in modo spesso diverso con il nostro organismo. Questo rende molto difficile riconoscere clinicamente un’infezione sintomatica da SARS-CoV-2 in assenza di una conferma di laboratorio.

L’esperienza ha dimostrato, inoltre, che la maggior parte delle infezioni, in particolare nei soggetti vaccinati, decorre in maniera asintomatica o con sintomatologia molto sfumata. Non sorvegliare questi casi, limiterebbe la nostra capacità di identificare le varianti emergenti, le loro caratteristiche e non potremmo conoscere lo stato clinico che consegue all’infezione nelle diverse popolazioni (es. per età, stato vaccinale, comorbidità). Inoltre, non renderebbe possibile monitorare l’andamento della circolazione del virus nel tempo e, di conseguenza, i rischi di un impatto peggiorativo sulla capacità di mantenere adeguati livelli di assistenza sanitaria anche per patologie diverse da COVID-19.

L'Iss poi nega che l'Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, abbia recentemente cambiato la definizione di caso. È la stessa formulata a dicembre 2020, spiegano gli esperti. Semplicemente di recente, "in un’ottica di ritorno alla normalità dopo la fine dell’emergenza pandemica" si è suggerita "una futura transizione a un sistema di sorveglianza sindromico, simile a quello che si usa attualmente per l’influenza". In questo momento, comunque, la definizione di caso utilizzata nella sorveglianza epidemiologica non detta le diverse modalità di isolamento di isolamento, conclude l'Iss.

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