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Ispezione a bordo di Sea Watch 3. Ong: “Siamo nave da soccorso, cercano scuse per bloccarci”

Sea Watch 3 è ancora ormeggiata al porto di Catania. Oggi le autorità olandesi hanno compiuto l’ennesima ispezione a bordo, per verificare la capacità della nave di ospitare persone per lunghi periodi. L’ong: “Non siamo un hotel o un ospedale galleggiante, e tantomeno un hotspot. Il nostro dovere è quello di salvare le persone in pericolo in mare e portarle in un porto sicuro nel più breve tempo possibile”
A cura di Annalisa Cangemi
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Sea Watch 3, la nave della ong tedesca, battente bandiera olandese, che nelle scorse settimane ha prima recuperato 47 migranti e poi è rimasta per giorni in attesa del permesso di sbarcarli (fino al 31 gennaio), è ancora ormeggiata al porto di Catania, dallo scorso 1 febbraio. La nave dell'organizzazione umanitaria ha ricevuto la visita dei tecnici del ministero delle Infrastrutture olandese, saliti a bordo per un'ispezione. Le autorità olandesi vogliono verificare se effettivamente il natante abbia "la capacità di Sea-Watch 3 di ospitare, per periodi lunghi, le persone soccorse. Ma le navi di salvataggio non possono soddisfare questa richiesta – ha denunciato l'ong – È evidente che lo scopo di questa ispezione non sia quello di garantire la sicurezza delle persone salvate ma di trovare un pretesto per bloccare una delle ultime navi di soccorso civile rimasta nel Mediterraneo". 

Non è la prima volta che succede: un simile controllo è avvenuto meno di un anno fa, a luglio 2018. In quel caso l'ispezione condotta dall'Olanda dimostrò che la nave era idoena a effettuare attività di soccorso, rispondendo a tutti i requisiti della sua classe di registrazione. Per l'ong si tratta solo dell'ennesimo attacco. Ricordiamo che la nave dal 2002 ha ricevuto già 22 ispezioni, e finora non è mai stata posta sotto sequestro, né in stato di fermo amministrativo. Il pretesto in questo caso sarebbe l'incolumità dei naufraghi salvati. Ma come denunciano i volontari su Twitter, qui si sta strumentalizzando il "tema della sicurezza delle persone soccorse allo scopo di ostacolare il salvataggio delle stesse". 

In pratica le navi che compiono attività di salvataggio, che non sono navi da crociera, non potrebbero in teoria mantenere le persone a bordo oltre il tempo necessario, se non per le prime operazioni di recupero dei migranti: "La legge del mare afferma che le persone salvate devono essere portate in un porto sicuro il prima possibile ‘without any delay'", spiegano dalla Sea Watch. L'accusa era stata mossa anche dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che il 2 febbraio 2019 aveva detto: "Dagli accertamenti della Guardia costiera sono emersi dati significativi sull'inidoneità tecnico strutturale della Sea Watcha effettuare un'attività sistemica di soccorso in mare dei migranti". 

Ed è proprio per questo che la sera del 24 gennaio l'ong ha lanciato diversi appelli alle autorità italiane, affinché dessero il permesso di far scendere tutti gli ospiti che si trovavano sulla nave, in condizioni igieniche precarie. E invece è stata lasciata all'ancora a un miglio dalla costa per una settimana, per decisioni prese altrove, non certo dalla stessa organizzazione, che si è trovata a fronteggiare suo malgrado una situazione di stress estremo, fisico e mentale, dei migranti.

Condizioni analoghe di disagio, fanno notare dall'ong, erano vissute anche dai 177 migranti recuperati dal pattugliatore della Marina militare italiana, la nave Diciotti: per aver bloccato le persone a bordo il ministro degli Interni Matteo Salvini potrebbe essere indagato per il reato di ‘sequestro di persona aggravato'. Eppure la nave era equipaggiata e progettata per prestare soccorso in mare, essendo un mezzo della Guardia costiera italiana, finanziato anche da fondi europei.

"La nostra nave – ha detto Johannes Bayer, presidente di Sea-Watch – è pronta e adeguatamente attrezzata per prestare soccorso e assistenza alle persone in difficoltà, ma non siamo un hotel o un ospedale galleggiante, e tantomeno un hotspot. Il nostro dovere è quello di salvare le persone in pericolo in mare e portarle in un porto sicuro nel più breve tempo possibile".

Ma è questa solo una delle bugie costruite attorno al caso della Sea Watch, bufale che sono state amplificate e rilanciate anche dalle dichiarazioni dei politici, che, come vi abbiamo raccontato in questo video, si sono susseguite nei giorni critici in cui l'Italia, mentre negava lo sbarco, chiedeva l'intervento di altri Stati europei, per convincerli ad accogliere persone che erano state salvate al largo della Libia lo scorso 19 gennaio. L'infondatezza delle accuse e dei sospetti è stata riconosciuta dalla procura di Siracusa prima e dalla procura di Catania poi.

"Con la Open Arms bloccata dalle autorità spagnole, la Mare Jonio e la nave Sea-Eye, ribattezzata Alan Kurdi (dal nome del bimbo vittima di un naufragio nell'Egeo, ferme in cantiere, il Mediterraneo Centrale resta scevro di un dispositivo con una chiara missione di soccorso", ha detto la portavoce italiana Giorgia Linardi.

Proprio per continuare a operare nel Mediterraneo, al momento sguarnito di navi da soccorso, l'organizzazione sta continuando la sua attività di crowdfunding, attraverso un sito dedicato. Da quando ha iniziato la sua attività, nel 2015, Sea Watch ha contribuito a salvare oltre 37mila donne, uomini e bambini.

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