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Il Sud ha perso 500mila abitanti in dieci anni: perché la soluzione non è l’autonomia differenziata

Secondo un rapporto Istat, in dieci anni più di 1,1 milioni di persone hanno lasciato il Sud, e solo 600mila sono rientrate. Il Mezzogiorno perde residenti, spesso giovani e laureati. Francesca Licari, ricercatrice che ha curato il report, ha spiegato il fenomeno in un’intervista a Fanpage.it.
A cura di Luca Pons
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Dal 2012 al 2021, le Regioni del Sud hanno perso circa 525mila residenti a favore del Centro-Nord. Più di un milione di persone (1 milione e 138mila) ha lasciato il Mezzogiorno, e solo 613mila sono rientrati. Chi se n'è andato era per la maggior parte giovane, e in molti casi laureato.

La Regione da cui sono partite più persone è la Campania (il 30% del totale), poi Sicilia (23%) e Puglia (18%). In Calabria, se ne sono andati otto residenti su mille. L'ultimo rapporto Istat sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione residente in Italia dà un quadro preciso dell'abbandono del Sud. Francesca Licari, ricercatrice Istat che ha curato il rapporto, ha spiegato a Fanpage.it qual è la situazione.

 Il dato che vediamo – cioè che nel Sud Italia se n'è andato mezzo milione di persone in più di quelle che sono arrivate, in dieci anni – è eccezionale?

Questo è importante chiarirlo: no. Il saldo è negativo da sempre. Ho davanti a me una serie storica che parte dal 1997, ma anche andando molto più indietro nel tempo è così: una perdita di popolazione del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord c'è sempre stata. È da quando l'Italia è nata che si parla di questione meridionale.

Cos'è che spinge le migrazioni?

Il Nord dal punto di vista del lavoro ha un'attrazione che le Regioni del Sud non possono eguagliare, perché le condizioni economiche non sono favorevoli. E così, in dieci anni si arriva a perdere 525mila residenti, che sono appena la metà delle persone che se ne sono andate nel complesso, cioè un milione e 138mila. Poi la perdita viene in parte compensata da un flusso di rientro.

Chi sono le persone che vanno, o ritornano, al Sud?

Ci può essere l'emigrato che ritorna alle proprie zone di origine, e questo lo presumiamo soprattutto quando l'età è sopra i 65 anni…ma in generale il fenomeno è molto ‘camuffato' e difficile da decifrare, chi rientra è spesso in età da lavoro, quindi non c'è un profilo netto di chi ritorna al Sud. Quello che è certo, invece, è chi si sposta dal Sud al Centro-Nord.

Cioè?

Sono soprattutto giovani, e spesso laureati. Nel decennio 2012-2021, i giovani nella fascia d'età 25-34 anni laureati che hanno lasciato il Mezzogiorno per andare in un'altra parte d'Italia sono stati circa 129mila. Praticamente una persona su quattro, di quelle 525mila che il Sud ha perso, era giovane e con un titolo di studio importante.

Anche le altre Regioni perdono laureati che vanno verso l'estero, no?

In tutte le Regioni italiane il saldo con l'estero è negativo, per quel che riguarda i 25-34enni laureati. Ci sono più persone che partono di quante ne rientrano. Ma è qui i fenomeni si sovrappongono, perché anche dal Sud partono dei giovani laureati per andare all'estero.

Nel complesso, quindi, cosa succede?

Nel Mezzogiorno, c'è chi – sempre tra i giovani laureati – parte e va al Centro-Nord, invece di andare all'estero. E questo compensa i cali per le Regioni settentrionali. Così il Sud perde sempre, mentre il Centro-Nord recupera. Al contrario, la quantità di giovani laureati che si sposta da Nord a Sud è bassissima.

C'è la possibilità che nei prossimi anni  lo spopolamento del Meridione diminuisca?

Sono dinamiche storiche, non si esauriranno finché resta il divario sociale ed economico tra Nord e Sud.

Dare più autonomia alle Regioni, ad esempio con il progetto di autonomia differenziata su cui sta lavorando il governo Meloni, può aiutare a migliorare la situazione?

Tutte le politiche di quel tipo hanno un effetto limitato dal punto di vista demografico. Le Regioni più svantaggiate rimangono sempre più indietro rispetto a quelle più sviluppate. Comunque queste sono valutazioni che vanno oltre le rilevazioni del nostro rapporto. È quasi impossibile valutare l'impatto di una politica prima che questa sia implementata. Considerando che si tratta di fenomeni strutturali, sarebbe opportuno effettuare interventi mirati.

Ad esempio quali?

Considerando che a spingere le migrazioni sono soprattutto i fattori economici e sociali, credo che si debba investire sul territorio. Comunque, sulla base degli studi pregressi, è difficile che un solo intervento di policy possa nel breve termine invertire una tendenza di fondo così radicata, e risolvere l'emorragia di persone che lasciano una parte del Paese per andare in un'altra.

Su cosa si dovrebbe puntare?

Cercare di riqualificare le aree depresse, che sono moltissime e spesso concentrate nel Mezzogiorno. Se ne parla da anni, ma il trend è rimasto negativo. Incrementare la natalità e ringiovanire la popolazione, favorire politiche lavorative che permettano il ripopolamento delle aree depresse rendendo attrattivi questi territori. Il Sud è attrattivo dal punto di vista turistico, ma il turismo non può essere la soluzione per l’intero Mezzogiorno.

Serve investire tanto sui territori di origine. Impedire ai giovani di prendere la decisione di abbandonare il luogo in cui sono nati e hanno studiato, per andare a spendere questo capitale umano altrove. Questo dipende da politiche regionali quanto da politiche nazionali.

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