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Il presidente degli avvocati italiani a Fanpage.it: “Carceri luoghi di tortura, il piano del governo è insufficiente”

Come ogni estate, torna alla ribalta il tema del sovraffollamento penitenziario. Il governo ha recentemente approvato un piano carceri, che contiene varie misure, tra cui quella per creare 15mila nuovi posti negli istituti. Fanpage.it ne ha parlato con Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, l’organo di rappresentanza degli avvocati, che da tempo si occupa della materia.
A cura di Marco Billeci
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Puntualmente come ogni estate, torna alla ribalta il tema del sovraffollamento nelle carceri. Quella che viene definita "un'emergenza" è in realtà un problema irrisolto, che si trascina da anni. Fanpage.it ne ha parlato con Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense (Cnf), l'organismo istituzionale di rappresentanza degli avvocati italiani.

Presidente Greco, il Cnf da tempo ha acceso un faro sulla questione delle condizioni di vita in carcere. Recentemente, tra l'atro, una delegazione da lei guidata è stata anche in visita al penitenziario femminile di Rebibbia. Quale situazione avete riscontrato e in generale quali testimonianze vi arrivano sullo stato attuale degli istituti nel nostro Paese?

Noi come Consiglio Nazionale Forense abbiamo approvato delle linee guida, trasmesse ai nostri referenti nelle 126 Commissioni carcere, costituite all'interno dei 140 Consigli dell'Ordine sul territorio. Abbiamo invitato i nostri colleghi a attivare un monitoraggio, partendo dalle strutture sanitarie interne alle carceri e sull'accesso alle cure, perché questo è un dato che viene spesso preso poco in considerazione. Poi abbiamo chiesto di raccogliere elementi sulle modalità con cui nelle varie strutture vengono consentiti i colloqui tra i detenuti, i loro familiari e i loro avvocati. Noi siamo profondamente convinti che chi ha violato la legge debba scontare una pena, ma l'espiazione non può essere un momento di tortura. Per questo stiamo cercando di capire se c'è nelle carceri italiane un livello almeno minimo di  vivibilità.

E questo livello minimo esiste?

No, oggi chi sta carcere raggiunge uno stato di aberrazione, perde identità di se stesso. Io da tanti anni mi occupo di questo problema: sono convinto che l'avvocato non debba esaurire il suo compito al momento della lettura della sentenza, ma abbia  il dovere di verificare se il principio costituzionale della funzione riabilitativa della pena possa realizzarsi. La prima volta che sono entrato in un carcere fu all'Ucciardone di Palermo, tanti anni fa. Trovai l'inferno, con celle riempite da dieci dodici maschi adulti e un solo bagno aperto, senza un minimo di riservatezza. Mi colpì l'incontro con un detenuto anziano, a cui chiesi da quanto tempo era in carcere e quando sarebbe uscito. Lui mi rispose in dialetto siciliano "Nun mi ricordu" e "Nun lu sacciu". Quest'uomo aveva perso completamente la dimensione del tempo. Il carcere non può essere un luogo di tortura delle persone, oggi invece la prigionia significa questo. Un Paese civile non può permetterselo.

Il governo ha recentemente varato un piano, per realizzare, nell'arco dei prossimi cinque anni, 15mila posti in carcere, tra quelli di nuova costruzione e quelli da recuperare. Servirà a risolvere il problema?

Il nostro giudizio sul piano è parzialmente positivo, ma si tratta di misure insufficienti. La risposta a questo problema gigantesco non può essere quella di costruire nuove carceri, perché nell'arco di quattro o cinque anni  si riempirebbero anche questi nuovi edifici. Le risorse vanno destinate prima di tutto per un intervento immediato, volto a rendere meno invivibili le strutture esistenti, con lavori di ristrutturazione. E poi pensiamo a costruirne altre, ma con il fine di chiudere quelle che oggi si trovano in una condizione di completo decadimento. Le faccio un esempio: noi abbiamo regalato dei ventilatori in tutte le carceri italiane. In realtà avremmo voluto comprare dei climatizzatori portatili, ma ci è stato rifiutato, perché ci è stato detto che il sistema di rete elettrica non avrebbe retto il voltaggio.

Nel piano del governo ci sono anche misure per facilitare il percorso di chi ha diritto alla liberazione anticipata e altre per permettere a un certo numero di detenuti affetti da dipendenze, di scontare la pena in centri di recupero. Sono iniziative sufficienti?

Condivido alcune delle misure che il ministro Nordio ha approvato, per esempio sul tema delle dipendenze. Sappiamo purtroppo che la tossicodipendenza diventa spesso un circolo vizioso, per cui il tossicodipendente spaccia, per procurarsi i soldi per comprare la droga. Dare una possibilità di recupero costituisce allora anche un modo per far uscire queste persone dal circuito criminale. Per questo abbiamo chiesto ai nostri referenti delle Commissioni carcere di verificare quanto sono i posti disponibili nelle strutture riabilitative e  in quali parti dell'Italia si trovano, così da cercare offrire a tutti  quest'opzione. Il piano del ministro Nordio prevede la possibilità di affidare a questi centri di recupero solo coloro che hanno una pena inferiore a otto anni da scontare. Io credo che si potrebbe anche allargare il ventaglio, per consentire a più detenuti di usufruire di questo di questo strumento.

Cosa manca invece nell'intervento del governo e che secondo voi dovrebbe essere valutato?

Un altro tema che è quello dell'ampliamento delle ipotesi in cui  si può usufruire della semilibertà,  andando di giorno a  lavorare e rientrando in carcere la notte, mantenendo chiaramente la valutazione caso per caso. E poi c'è la questione dell'aggiornamento del regolamento penitenziario, che norma la vita negli istituti. Il regolamento attuale è antico è modellato su una idea di espiazione della pena che guarda al passato e non tiene conto dei cambiamenti della realtà.

Ci faccia capire cosa significa questo nella pratica?

Per esempio si parla della possibilità per i detenuti di muoversi all'interno del carcere, deii rapporti con il mondo esterno,  dell'accesso agli strumenti di informatica, ovviamente con tutti i controlli  necessari.  Se vogliamo offrire una possibilità di riabilitazione alle persone incarcerate, tutto questo va riconsiderato. Oggi invece chi sta in carcere è chiuso lì punto e basta.

Il governo Meloni si è caratterizzato dall'inizio del suo mandato per la costante creazione di nuovi reati, introduzione di circostanze aggravanti, inasprimenti di pena. Quest'impostazione non rischia tra l'altro di peggiorare ulteriormente il sovraffollamento nelle prigioni italiane?

Se la società cambia, emergono nuove fattispecie di reato – quelle legati alla cybersicurezza per esempio – e il legislatore sente la necessità di regolarle, noi non possiamo dire: non facciamolo, perché altrimenti ci sono più detenuti. Il punto è che non tutti i condannati devono andare in carcere. Se la pericolosità sociale di certi crimini è meno rilevante rispetto ad altri, non si deve  pensare che la sanzione debba essere necessariamente l'incarcerazione. Ad esempio io non capisco perché non si può immaginare un Daspo come sistema di espiazione della pena, prevedendo dei divieti diversificati, per chi ha commesso un reato e si trova in in condizione di  avere un regime di semilibertà. Poi c'è tutta la questione dei detenuti in attesa di giudizio e di quelli senza una sentenza definitiva, per cui si potrebbero immaginare delle misure alternative, come la messa alla prova. Non è possibile che l'unica soluzione per tutti sia: mettiamolo dentro e buttiamo via la chiave.

Presidente, per il mondo della giustizia si apre una stagione delicatissima che culminerà nel 2026 con il referendum sulla riforma Nordio. Voi avete promosso il testo, ma come sa una larga parte della magistratura lo considera pericoloso, inutile a risolvere i problemi aperti e punitivo verso i giudici

Io mi sono sforzato di liberare la mia mente da qualsiasi preconcetto, per provare a comprendere le preoccupazioni che arrivano dalla magistratura, ma non ci sono riuscito. Il principio dell'autonomia della magistratura da qualsiasi altro potere non viene scalfito. Anzi, nelle le prime due righe della relazione introduttiva della riforma, c'è scritto esplicitamente che il l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non possono essere toccate. Se ci fosse questo rischio noi avvocati scenderemmo in piazza, perché sarebbe un atto gravissimo che andrebbe a incidere sulla libertà di tutti i cittadini. Anche la nostra funzione di avvocati verrebbe compromessa se il giudice non fosse libero, ma sottoposto ai voleri di questo o quell'esecutivo. Ma questo rischio non c'è.

Da più parti si ipotizza che la separazione delle carriere possa essere il primo passo per poi mettere i pm sotto il potere politico

Il Pm dovrà sempre e  comunque seguire la legge. Non vedo il  pericolo che ci siano dei pubblici ministeri che diventano degli sceriffi tipo ai tempi del far west che camminano con la pistola nella fondina, perché anche con questa riforma dovranno applicare la legge come la applicano oggi, quindi credo che anche questa sia una una una preoccupazione che non trova fondamento.

Lo scontro  tra politica e magistratura è sempre più aspro, lo abbiamo visto anche negli ultimi giorni sulle vicende dei centri in Albania e di Almasri, ma i casi sono innumerevoli. Andare a una battaglia campale come quella del referendum in queste condizioni non rischia di creare dei danni insanabili all'interno del sistema giustizia, qualsiasi sia il risultato?

Il centro del problema è proprio lo scontro violentissimo a cui si assiste da anni tra politica e magistratura. Questo perché la magistratura ha più volte invaso i campi della politica, ad esempio cercando di delegittimare i provvedimenti del governo e del parlamento, con le dichiarazioni a mezzo stampa. Così come la politica ha debordato dal suo ruolo, attaccando i magistrati per le sentenze.  Le sentenze si impugnano quando sono da impugnare, si commentano se meritano un commento, ma non si possono attaccare. Questo ha creato questo clima infuocato. La soluzione non può essere che il ritorno al principio della separazione dei poteri, in cui ciascuno non può invadere il campo dell'altro.

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