Il governo vuole bloccare l’aumento dell’età pensionabile per il 2027: cosa significa e cosa cambia

Nel cuore della prossima legge di Bilancio potrebbe entrare una scelta che, pur apparendo tecnica, potrebbe avere implicazioni profondamente politiche e sociali: la sospensione dell'aumento automatico dell'età pensionabile previsto a partire dal 2027. Secondo le più recenti proiezioni dell'Istat e della Ragioneria generale dello Stato, il meccanismo che collega i requisiti per andare in pensione all’aspettativa di vita della popolazione comporterà un innalzamento di tre mesi dell'età pensionabile. Una misura che non nasce certo oggi, ma che è frutto di un automatismo introdotto da tempo per rendere più sostenibile il sistema previdenziale nel lungo periodo, alla luce dell’invecchiamento della popolazione. Alcuni esponenti di primo piano dell'attuale governo, però, tra cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, hanno lasciato intendere che l'esecutivo intende bloccare questo adeguamento. Si tratterebbe, in sostanza, di una deroga alla regola dell'aggiornamento automatico, da inserire con un provvedimento ad hoc nella manovra d’autunno.
Una scelta che solleva preoccupazioni non solo sul piano dei conti pubblici, ma anche su quello dell'equilibrio tra le generazioni. A metterlo nero su bianco è l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), che vede negli automatismi previdenziali uno strumento essenziale per garantire la tenuta del sistema nel tempo e contenere le disparità tra lavoratori attivi e pensionati. Dietro una decisione che potrebbe sembrare ragionevole nel breve termine, evitare un ulteriore irrigidimento dei criteri di pensionamento, si nasconde in realtà un nodo cruciale per il futuro del Paese: come coniugare sostenibilità finanziaria, equità intergenerazionale e adeguatezza delle pensioni in un’Italia che invecchia e che fatica a garantire carriere lavorative stabili e sufficientemente lunghe.
Il meccanismo di adeguamento: come funziona e perché scatta nel 2027
Il sistema pensionistico italiano prevede da anni un meccanismo automatico di adeguamento dell’età pensionabile all'aspettativa di vita. Cosa vuol dire nella pratica? Che ogni due anni ‘’Istat comunica l'eventuale incremento della vita media della popolazione e, in base a questi dati, vengono aggiornati anche i requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione. Secondo le proiezioni aggiornate, nel biennio 2027-2028 dovrebbe scattare un aumento di tre mesi:
- Pensione di vecchiaia: da 67 a 67 anni e 3 mesi
- Pensione anticipata (senza vincoli di età):
- Uomini: da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 1 mese
- Donne: da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 1 mese
Questi dati sono già inclusi nelle simulazioni ufficiali sulla spesa pensionistica futura. L'adeguamento, previsto dalla legge, non richiede un intervento legislativo per entrare in vigore: scatta automaticamente, a meno che un governo non decida di sospenderlo, come sembra intenzionato a fare l'esecutivo in carica.
Il governo vuole bloccare l'aumento: le motivazioni politiche e sociali
Dietro l'intenzione di congelare l'aumento dell'età pensionabile ci sarebbe la volontà politica di evitare un ulteriore irrigidimento dei criteri di accesso alla pensione, in un contesto sociale in cui le carriere lavorative sono sempre più precarie, frammentate e diseguali. Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro e voce influente della Lega sul fronte previdenziale, ha più volte ribadito che il governo non vuole penalizzare chi ha già una lunga carriera lavorativa alle spalle. Anche il ministro Giorgetti ha lasciato intendere che la sospensione dell’automatismo sarà uno dei punti qualificanti della legge di Bilancio 2025. Non è ancora chiaro però se lo stop riguarderà solo la pensione di vecchiaia o anche la pensione anticipata, che impatta in particolare sui lavoratori con carriere più lunghe. In ogni caso, la misura avrebbe effetto dal 1° gennaio 2027 e per almeno due anni.
L'allarme dell'Upb: senza automatismi, a rischio la tenuta del sistema
A prendere una posizione netta contro il blocco è stato l'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), organo indipendente che vigila sui conti pubblici. La presidente Lilia Cavallari, durante un'audizione in Parlamento, ha avvertito che sospendere l’adeguamento automatico metterebbe in crisi l'equilibrio tra spesa previdenziale e sostenibilità fiscale: "È importante che venga mantenuto l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita dei requisiti anagrafici e contributivi minimi per l’accesso al pensionamento al fine di attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni risultino troppo basse, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali". L'indice di dipendenza dei pensionati, in sostanza, misura il rapporto tra chi è in pensione e chi lavora: se i pensionati aumentano più rapidamente rispetto agli occupati, la sostenibilità del sistema previdenziale vacilla. L’automatismo dell’età serve proprio a tenere sotto controllo questa dinamica.
Generazioni future e prestazioni adeguate
Oltre alla questione dei conti pubblici, l'Upb richiama l'attenzione su un altro punto fondamentale: l'adeguatezza delle pensioni future. Il problema riguarderebbe in particolare i giovani e i lavoratori con carriere discontinue o salari bassi, che potrebbero ritrovarsi in futuro con pensioni troppo esigue: "Le prestazioni future saranno comparabili con quelle attuali – osserva ancora l’Upb – solo se il mercato del lavoro sarà in grado di assicurare carriere lunghe, continuative e ben remunerate". In questo senso, l’aggancio dell'età pensionabile all'aspettativa di vita serve anche a diluire nel tempo il periodo di percezione della pensione e quindi a garantirne una quantità sufficiente, senza dover ricorrere in modo crescente alla fiscalità generale o all’assistenza sociale.
In un'Italia che invecchia sempre più rapidamente, insomma, rinunciare agli automatismi potrebbe essere popolare nel breve termine, ma rischia di creare fratture profonde sul piano dell'equità intergenerazionale.