Il governo invita gli italiani a non andare a votare per i referendum dell’8 e 9 giugno

Il governo invita esplicitamente a disertare le urne l'8 e il 9 giugno. A dirlo è stato Antonio Tajani, leader di Forza Italia, rispondendo a margine di un convegno a una domanda sulle indicazioni del partito riguardo ai cinque referendum su lavoro e cittadinanza in programma: "Non so cosa dice FdI, noi siamo per un astensionismo politico, non condividiamo la proposta referendaria", ha affermato. E incalzato sul significato dell’indicazione, ha confermato: "Assolutamente sì". Il vicepremier ha poi rivendicato con forza la legittimità della scelta di non recarsi alle urne: "Non c'è nessun obbligo di andare a votare: illiberale è chi vuole obbligare la gente a farlo", ha dichiarato. Tajani ha insistito sul "valore politico" dell'astensione, distinguendola dall'indifferenza: "Non andare a votare è una scelta politica, non di disinteresse nei confronti degli argomenti", aggiungendo che se un cittadino "considera che il referendum non sia giusto, è giusto che non si raggiunga il quorum".
Fratoianni: "Meloni e Tajani invitano all'astensione per paura dei diritti"
Una presa di posizione, quella del governo, che ha scatenato reazioni durissime dalle opposizioni, a partire dal leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che accusa Meloni e Tajani di temere il confronto sui diritti sociali e civili. Il leader di Sinistra Italiana, ha infatti attaccato frontalmente l'invito all’astensione lanciato da Tajani e il silenzio della premier Meloni: "Non hanno il coraggio di dire apertamente che vogliono che si continuino a sfruttare o ad essere precarie a vita le persone sul lavoro", ha detto, rivolgendosi direttamente all'elettorato moderato: "Appello agli elettori centrodestra, non ascoltateli. Andate a votare". Per Fratoianni, l'astensionismo promosso dal governo non è solo una scelta tattica, ma un vero e proprio attentato al senso della democrazia: "Considero la principale malattia della democrazia nel nostro Paese l'astensionismo, la disaffezione dallo strumento del voto". Fratoianni ha accusato poi Meloni e Tajani di anteporre "un cinico giochetto tattico" alla responsabilità istituzionale di favorire la partecipazione: la destra, ha detto, non solo evita il confronto sui contenuti, ma "vuole che si continui con le forme più inaccettabili di precariato" e "a negare i più elementari diritti di cittadinanza". Da qui l'appello finale: "Andate a votare l'8 e 9 giugno per difendere l'interesse collettivo e i vostri diritti".
Magi: "Strategia di Meloni è quella di silenziare referendum e puntare su astensionismo"
"Secondo un’indiscrezione, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scelto la sua posizione sui referendum dell’8 e 9 giugno: l’astensione", ha commentato poi Riccardo Magi, con un post su X (ex Twitter). "La premier che in campagna elettorale voleva “dare voce” agli italiani con il premierato, ora si spaventa davanti alla consultazione popolare per eccellenza: il referendum. La strategia è chiara: silenziare i referendum e puntare sull’astensionismo. Una prova di paura del confronto e disprezzo per la partecipazione democratica. Noi rilanciamo: invitiamo la premier a un confronto pubblico sul Referendum Cittadinanza".
Le parole di Tajani arrivano mentre crescono le denunce da parte delle opposizioni, che da giorni accusano governo e maggioranza di ostacolare il voto. Il senatore Peppe De Cristofaro (Alleanza Verdi e Sinistra) ha infatti già parlato apertamente di "boicottaggio" da parte della destra: "Non faranno come Craxi che invitò ad andare al mare, ma stanno usando tutti i trucchi possibili per impedire agli italiani di informarsi per poi votare". Particolare allarme aveva suscitato una circolare inviata da alcune Prefetture alle scuole e ad altre pubbliche amministrazioni, in cui si vietava ogni forma di comunicazione in vista del voto; de Cristofaro ha così depositato un'interrogazione parlamentare per chiedere conto di questo divieto al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. Anche Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, il 3 maggio scorso, ha espresso preoccupazione per l'assenza quasi totale di informazione pubblica: "Tv, giornali e organi di informazione non ne stanno parlando a sufficienza, e il governo non si esprime". Un silenzio, ha aggiunto, che potrebbe compromettere proprio il raggiungimento di quel quorum, necessario per rendere validi i referendum.
Di fronte alle accuse, il Ministero dell'Interno ha precisato che il divieto imposto alle pubbliche amministrazioni di fare comunicazione sarebbe previsto dalla legge 28/2000, che prevede che "dalla data di convocazione dei comizi referendari e fino alla chiusura delle operazioni di voto, è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione". Secondo fonti del Viminale, la circolare n. 21/2025 del 1° aprile sarebbe un documento standard, emanato a ogni tornata elettorale per garantire "parità di accesso ai mezzi di informazione" e contenere "l'opzione per gli elettori all'estero di votare in Italia". Non sarebbe quindi una strategia nuova, ma una semplice "applicazione letterale delle disposizioni vigenti".
La sfida dunque, si gioca ora sull'informazione e sulla mobilitazione: tra il rischio del quorum mancato e il diritto dei cittadini a essere coinvolti, l'8 e il 9 giugno diventano un banco di prova per la tenuta democratica del Paese.