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Il governo assegna alle Ong porti sempre più lontani: così si ostacola il soccorso in mare

Alla Ocean Viking e alla Geo Barents è stato assegnato il porto di Ancona, a diversi giorni di navigazione dal Mediterraneo centrale. Così lungo quella rotta non rimane più nessuno a fare ricerca e soccorso, e i migranti già a bordo sono esposti a rischi inutili e prolungati. Ne abbiamo parlato con la Ong os Méditerranée.
A cura di Annalisa Girardi
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Michael Bunel / SOS MEDITERRANEE
Michael Bunel / SOS MEDITERRANEE

Dopo Ravenna e Livorno, alle navi umanitarie che soccorrono i migranti nel Mediterraneo questa volta è stato assegnato il porto di Ancona. La Ocean Viking e la Geo Barents, dopo aver salvato decine di persone nel Mediterraneo centrale, dovranno navigare per diversi giorni prima di raggiungerlo. Giorni in cui viene viene inutilmente prolungato il viaggio di persone che, oltre ad aver rischiato un naufragio, hanno spesso sofferto abusi e violenze in Libia.

La Ocean Viking, dopo essersi vista assegnare un porto a oltre 1.500 chilometri di distanza dal luogo dove aveva effettuato il soccorso, ha chiesto alle autorità marittime di poter sbarcare in un luogo più vicino. Ma la risposta è stata negativa. Questo nonostante la normativa internazionale metta nero su bianco in diversi trattati e convenzioni del mare come chi effettua un soccorso sia tenuto a portarlo a termine quanto più rapidamente possibile per non esporre i naufraghi a prolungati rischi e sofferenze.

Portare i naufraghi nel porto più vicino, cosa dice il diritto del mare

C'è la Convenzione di Amburgo del 1979 che afferma l'obbligo di portare i naufraghi nel primo porto sicuro disponibile. O la Convenzione Solas, del 1974, secondo cui ogni nave deve assistere chi è in pericolo in mare e metterlo in sicurezza quanto più rapidamente possibile. O ancora la Convenzione dell'Onu sul diritto del mare, del 1982, che stabilisce la necessità di far sbarcare le persone soccorse nel porto sicuro più vicino.

Non è solo un problema di rispetto della normativa internazionale e della legge del mare. La nuova pratica del governo di Giorgia Meloni comporta una serie di gravi rischi sia per le persone che sono già state soccorse, sia per quelle che si trovano ad attraversare il Mediterraneo centrale, una delle rotte più pericolose al mondo, mentre le navi umanitarie sono impegnare a raggiungere i porti della sponda più a Nord.

Non rimane più nessuno a salvare i migranti nel Mediterraneo centrale

"Il problema è triplice. Il primo, il più evidente e grave, è che mandare le navi di soccorso civile a un porto lontano comparta che il Mediterraneo centrale sia svuotato, mettendo a rischio la vita di chi inevitabilmente purtroppo si trova ad attraversarlo", spiega a Fanpage.it Francesco Creazzo, addetto stampa di Sos Méditerranée, Ong di riferimento della nave Ocean Viking.

Costringere le navi umanitarie a navigare per giorni lontano dal Mediterraneo centrale significa esporre a maggiori rischi i migranti che salpano dalle coste libiche. E che lo fanno, i dati lo dimostrano, indipendentemente dal fatto che le navi Ong siano in mare o meno. Senza più nessuno che faccia attività di search and rescue davanti alla Libia e in acque internazionali, il rischio di naufragi non può che aumentare.

Chi viene soccorso in mare ha bisogno di cure mediche immediate

"In secondo luogo, per chi è già stato soccorso affrontare un altro viaggio di cinque giorni, totalmente non necessario, è una sofferenza in più. Si potrebbe sbarcare a Catania, a Reggio Calabria, a Crotone", aggiunge Creazzo. Oltre ad essere una sofferenza ulteriore, allungare il viaggio espone i migranti a rischi sanitari non indifferenti: "Tutte le persone a bordo hanno bisogno di attenzione medica, anche chi potrebbe sembrare non soffrire di problemi sanitari evidenti – spiega Creazzo – Noi quotidianamente vediamo persone con cicatrici, segni delle torture che hanno subito nei lager libici, ferite di arma da fuoco, fratture curate male o non curate affatto. Ci sono persone in condizioni che non sono immediatamente diagnosticabili, persone che hanno riportato lesioni interne per le percosse subite. Ma chi può saperlo? Noi abbiamo un'equipe a bordo, ma non siamo un ospedale e non possiamo diagnosticare tutto. Tenere queste persone cinque giorni senza motivo su una nave è una cosa grave e pericolosa".

A tutto questo si aggiunge un altro rischio per i naufraghi a bordo. Dalla nave Alessandro Porro, soccorritore della Ocean Viking, spiega come le condizioni meteo siano in netto peggioramento. E se già lungo le coste pugliesi le onde toccano i due metri, nei prossimi giorni la nave entrerà in una zona di bassa pressione con forti venti, fino a 40 nodi.

Il prezzo del carburante è triplicato, quanto costa salvare vite in mare

E infine, c'è la questione economica. Navigare per miglia e miglia significa consumare molto carburante. Che è di per sé molto costoso, ma è diventato carissimo con la crisi energetica. "Per andare ad Ancona ci vogliono 40 tonnellate di carburante e per un'organizzazione sostenuta da piccoli donatori è un costo molto grosso. Specialmente da quest'anno: quando è scoppiata la guerra i costi del carburante sono triplicati. Se la spesa per il bunker (carburante delle navi, ndr) prima ci costava ad esempio 500 mila euro, ora è di 1 milione, 1,2 milioni", spiega l'addetto stampa di Sos Méditerranée.

E ancora: "I nostri donatori, nella stragrande maggioranza di casi sono famiglie, risparmiatori, studenti. Ci sono anche fondazioni, certo, ma i nostri sostenitori sono per la maggior parte piccoli donatori". Infine, alla domanda se secondo la Ong si tratti di un tentativo, da parte del governo, di contrastare le attività di soccorso in mare strozzando economicamente le organizzazioni, Creazzo risponde: "Sembra l'obiettivo dichiarato, ma non sta a noi fare queste valutazioni. Noi possiamo parlare però delle conseguenze e la conseguenza più grave è che il Mediterraneo viene svuotato da chi fa i soccorsi e le persone che lo attraversano rischiano di morire".

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