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Covid 19

Il Covid-19 non colpisce tutti allo stesso modo: chi è più povero si ammala di più

Come hanno messo in evidenza il medico igienista ed epidemiologo Giuseppe Costa e del sociologo Antonio Schizzerotto, il coronavirus sta accentuando le differenze tra classi sociali, perché dal punto di vista sanitario ci sono persone più esposte ai rischi. A pesare soprattutto sono le carenze del Sistema sanitario nazionale.
A cura di Annalisa Cangemi
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La pandemia di coronavirus sta accentuando le differenze tra classi sociali, non solo perché le restrizioni stanno avendo ripercussioni economiche sui soggetti più deboli, ma perché dal punto di vista sanitario ci sono persone più esposte ai rischi. È quanto ha messo in evidenza un articolo su la Voce.info del medico igienista ed epidemiologo Giuseppe Costa e del sociologo Antonio Schizzerotto.

Il concetto da cui partono gli studiosi è che anche se l'infezione può colpire chiunque (in Italia gli anziani sono quelli più in pericolo), a parità di età, i vari gruppi sociali non sono esposti nella stessa misura all'epidemia, come avviene anche per altre malattie, e non sono ugualmente vulnerabili. Su questo incidono diversi fattori, legati soprattutto a problemi strutturali del nostro Sistema sanitario nazionale, a cui negli ultimi anni sono state destinate sempre meno risorse.

Lo smart working e il lavoro in fabbrica

Incide innanzi tutto la tipologia di lavoro svolto. Chi infatti svolge ruoli dirigenziali o ‘lavori intellettuali', spiegano Costa e Schizzerotto (se si esclude il personale sanitario), può lavorare in smart working, o in ambienti più protetti, e meno esposti a contatti con potenziali casi positivi. Mentre un operaio, soprattutto chi ha un lavoro precario all'interno di microimprese, magari senza un sindacato di riferimento, avrà indubbiamente meno tutele. Anche perché non è possibile per il momento stabilire se i dispositivi di sicurezza saranno realmente reperibili per tutti.

Diseguaglianze nei contagi

Se si considerano gli effetti del contagio ci sono molte differenze tra individui. Tra i malati ha più possibilità di morire una persona che appartiene a uno strato sociale più disagiato. Ci sono le patologie pregresse da considerare: se una persona colpita dall'infezione presentava già un quadro clinico critico, è più facile che abbia conseguenze più gravi, arrivando anche al decesso. E i dati ci dicono che le malattie croniche sono più diffuse nelle classi sociali più basse.

Qui i due studiosi citano i numeri relativi alla diffusione del diabete di tipo 2, "una delle malattie croniche fortemente predisponenti per un esito infausto del contagio", a Torino nel 2018: a sesso ed età identici, le persone con questa malattia ammontavano al 4,5 per cento dei laureati e al 13 per cento dei soggetti con la scuola dell'obbligo. E questo vale anche per la distribuzione delle altre malattie croniche più a rischio di morte per coronavirus, come la broncopneumopatia cronico ostruttiva, la cardiopatia ischemica, la vasculopatia cerebrale, lo scompenso cardiaco. Tra l'altro nell'articolo è messo in evidenza come proprio le persone economicamente più fragili siano anche quelle che, se colpite da malattie croniche, si aggravano in fretta, perché non riescono ad accedere alle cure disponibili con la stessa rapidità dei soggetti delle classi più benestanti.

Carenze strutturali del Sistema sanitario nazionale

La pandemia ha messo in luce le carenze del Sistema sanitario nazionale, fiaccato da anni di austerità. Le avvisaglie in realtà c'erano state negli ultimi anni, ma erano sempre state ignorate: per esempio durante le emergenze delle stagioni influenzali, quando nei pronto soccorso si ammassavano malati, e i posti letto nei reparti non erano sufficienti per tutti. Per questo gli studiosi parlano di "gravi limiti di resilienza del sistema agli shock di domanda, con conseguenze fortemente disuguali sulla salute degli italiani". Una situazione come questa, una pandemia per cui non abbiamo un vaccino, potrebbe non essere un evento così raro d'ora in poi. Solo negli ultimi vent'anni si è verificata un'epidemia di Sars, l’influenza suina, quella aviaria e la Mers: per tutte queste non si è verificata una crisi come quella che stiamo affrontando, perché sono state meno gravi o meno contagiose del Covid-19: per questo non abbiamo dovuto fronteggiare negli ospedali lo "shock di domanda" registrato con il coronavirus.

Per questo passata la fase emergenziale il Ssn dovrà porsi il problema dei "differenziali di rischio di malattia, di limitazioni funzionali e di sofferenza esistenti tra i vari strati sociali della popolazione", per poter abbattere disuguaglianze sociali così evidenti in vampo sanitario.

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