I centri antiviolenza rischiano di chiudere per mancanza di fondi

Decine di centri anti-violenza sparsi in tutto il territorio italiano rischiano di chiudere per mancanza di fondi. Dal "Colasanti e Lopez" di Roma, dedicato alle due ragazze protagoniste del massacro del Circeo del 1975, che nonostante le oltre 8mila donne assistite negli ultimi 10 anni di attività rischia di chiudere per problemi legati a finanziamenti e lungaggini burocratiche relative ai nuovi bandi. Il "Colasanti e Lopez" è solo uno dei simboli dei centri antiviolenza a rischio chiusura, ma la situazione nel Paese non è affatto idilliaca: tra tagli di risorse e finanziamenti statali mai pervenuti nelle casse dei centri, molti di essi risultano in grave difficoltà finanziaria e non hanno più le risorse economiche necessarie per poter aiutare centinaia e centinaia di donne vittime di violenza.
A fronte di una situazione di crisi così pesante, sono più di 16mila le donne che risultano essere vittime di violenza, sparse in tutto il territorio nazionale. La violenza sulle donne è un fenomeno che non accenna a diminuire e che ha bisogno di risorse, sia umane che economiche, per cercare di tenerlo sotto controllo e offrire aiuto a chi necessita di essere ascoltato e preso in carico da realtà che possano occuparsi della sua storia.
Le persone che lavorano in questi centri antiviolenza a rischio collasso non hanno ormai alcuna certezza riguardo il proprio stipendio. Lavorano, prestano aiuto alle donne che incessantemente chiamano i numeri di emergenza a loro dedicati, ma non sanno se il prossimo mese riceveranno quanto spetta loro.
"La realtà è che, dei 16,5 milioni previsti per il 2012-2013 dal Piano nazionale anti violenza e dati alle Regioni, poco o nulla è arrivato a chi lavora sul territorio: molte Regioni, come la Lombardia, hanno ancora i fondi bloccati", ha spiegato Titti Carrano, presidente della rete dei 74 centri Dire, al quotidiano Repubblica. "Non sappiamo quanti soldi siano stati dati e a chi", sottolinea invece Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa che gestisce rifugi e la linea di aiuto 1522.
Sono migliaia le donne che cercano l'aiuto delle professioniste dei centri antiviolenza per cercare di venire fuori da situazioni pericolose, che spesso coinvolgono anche i figli minori delle coppie, che crescono per anni in ambienti psicologicamente deleteri. I centri antiviolenza non servono solo a fornire supporto materiale a quelle donne che trovano il coraggio di denunciare, ma forniscono soprattutto un aiuto psicologico, con specialisti che "curano" la psiche della donna, la aiutano a ritrovare l'autostima perduta, a trovare un lavoro che possa renderla indipendente e autonoma e le permetta di allontarsi dall'uomo che per settimane, mesi o anni l'ha psicologicamente e fisicamente devastata.
"Ci sono avvocati esperti di violenza di genere e psicologi per aiutare i figli che hanno assistito alle aggressioni a superare il trauma. Oltre ai tanti operatori che fanno da collegamento tra ospedali, magistratura, polizia. Servono cooperazione, fondi e progetti a lunga scadenza, non iniziative spot, come se la violenza sulle donne fosse un'emergenza momentanea", ha spiegato a Repubblica la professoressa Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia e criminologa.
Un lavoro complesso, il quale necessita di fondi affinché possa essere portato avanti e che negli ultimi tempi, soprattutto, è cresciuto, mentre le risorse destinate sono andate via via diminuendo, creando quindi una situazione di stallo economico di difficile risoluzione: "Abbiamo visto aumentare le richieste di aiuto e crollare del 70% i fondi pubblici", sostengono gli operatori di Artemisia di Firenze, che ogni anno si fanno carico di 1.500 donne maltrattate. Ma la situazione è difficile in tutta Italia: Roma, Firenze, Pisa, Palermo, Napoli, Catania. I centri chiudono, come nel caso partenopeo – dove Casa Fiorinda ha abbassato le saracinesche per mancanza di fondi, lasciando l'intera citta senza un centro antiviolenza.