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Gribaudo a Fanpage: “Con nomine ministri Pd ha perso credibilità, donne rifiutino ruolo di ‘vice'”

La deputata del Partito Democratico Chiara Gribaudo ha spiegato perché non intende accettare un posto da sottosegretario nel nuovo esecutivo Draghi: “L’idea risarcitoria, dopo quello che è successo, è sbagliata: non è con qualche posto da sottosegretario che si risolve il problema. È una questione di coerenza politica. Nessuna di noi dovrebbe accettare una nomina fino a quando non ci sarà piena consapevolezza nel partito”.
A cura di Annalisa Cangemi
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La deputata del Partito Democratico Chiara Gribaudo, alla sua seconda legislatura, è considerata una delle favorite per un incarico da sottosegretario. Ma alle indiscrezioni ha risposto così: "Non accetterò incarichi finché il Partito democratico non convocherà una direzione nazionale per discutere di parità, del merito delle politiche e del metodo di scelta della squadra di governo". La questione nel partito è diventata infatti urgente dopo che si è appreso che la quota dem nel nuovo esecutivo è rappresentata esclusivamente da tre uomini: Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini, senza alcun rispetto per la parità di genere.

Alla fine una convocazione della direzione è arrivata per giovedì, ma è stata tardiva: la partita delle nuove nomine potrebbe infatti essere chiusa già domani o dopodomani. Ora le donne del Pd chiedono ci sia spazio per discutere del loro ruolo: "Ne va della credibilità del mio partito e della comunità politica, per questo dispiace vedere come è stata gestita tutta la vicenda", dice la deputata, intervistata da Fanpage.it. Ma "l'idea risarcitoria, dopo quello che è successo, è sbagliata: non è con qualche posto da sottosegretario che si risolve il problema. È una questione di coerenza politica. Secondo me nessuna di noi dovrebbe accettare una nomina fino a quando non ci sarà piena consapevolezza nel partito".

La Direzione del Pd è convocata per giovedì. In questo caso il timing è tutto, molte donne dem avevano chiesto che la direzione venisse convocata prima della chiusura della discussione sulle nomine.

C'è sicuramente un problema di tempistica. Quello che è successo è una ferita non solo per le donne ma per il Partito democratico. Fuori dalle correnti del partito c'è un mondo di donne che ci guarda con attenzione. Abbiamo chiesto che si affronti seriamente questo punto, la questione non può essere elusa. A chiedere la direzione del Pd un chiarimento urgente sul tema della parità di genere, con la precisazione che si discutesse però prima della definizione degli altri assetti, è stato un gruppo di noi – prima firmataria Titti Di Salvo. In un secondo momento la Conferenza delle donne democratiche ha assunto un odg accogliendo la nostra richiesta, con l'impegno generico di convocare la direzione.

Lei è indicata tra i possibili sottosegretari, si fa il suo nome per il Lavoro. Ma ha detto chiaramente che non accetterà incarichi, prima che si affronti seriamente nel partito la questione della parità di genere, e si faccia luce sul metodo di scelta della squadra di governo. Perché? 

Quando ho visto il mio nome riportato dai giornali ho spiegato che la direzione avrebbe dovuto tenersi prima. Intanto perché si cominciavano a vedere i primi segnali di incoerenza. Dopo la nomina dei ministri il segretario diceva addirittura che tutti i sottosegretari indicati dovessero essere donne. Poi si è cominciato a parlare di 50 e 50, successivamente di rispetto delle quote. Proprio per evitare questo tipo di uscite, molto confuse, sarebbe stato opportuno poter affrontare subito la discussione sulla parità di genere. Ma le nomine secondo me a questo punto arriveranno sicuramente prima, e ci troveremo a fare la Direzione quando i sottosegretari saranno già stati nominati. La scelta della data mi lascia perplessa, e non solo a me nel partito. Non so se qualcuno pensa di poter ancora compensare il danno provocato con la scelta dei ministri, ma l'errore sta nel metodo. C'è un problema profondo che è diventato insopportabile. Noi andiamo bene se dobbiamo fare le ‘vice', le ‘sottosegretarie', mentre qualcun altro si occupa di gestire i posti di comando. Questa cultura da seconda fila non può più andare bene. Se vogliamo scardinarla bisogna agire soprattutto dopo questa ferita. E lo dico perché ne va della credibilità del mio partito e della comunità politica, per questo dispiace vedere come è stata gestita tutta la vicenda.

Il segretario Zingaretti ha definito l'assenza di ministre un "errore" e si è impegnato personalmente affinché questo vulnus possa essere compensato con la nomina di sottosegretarie. Ma questa promessa non suona come il perpetuarsi di un peccato originale? Insomma, in fondo sta dicendo che devono sempre essere gli uomini a fare spazio alle colleghe…

L'idea risarcitoria, dopo quello che è successo, è sbagliata, non è con qualche posto da sottosegretario che si risolve il problema. È una questione di coerenza politica. Secondo me nessuna di noi dovrebbe accettare una nomina fino a quando non ci sarà piena consapevolezza nel partito.

Cosa si è inceppato nel Pd? È lo specchio in scala ridotta di quello che avviene in Italia?

In realtà nel nostro Paese ci sono stati forti segnali di apertura. Per esempio nel mondo dell'Università Antonella Polimeni è diventata la prima rettrice della Sapienza di Roma. C'è un generale cambio di passo. Da un lato il Pd predica bene, poi razzola male. Non è possibile che si riattivi il percorso della Conferenza delle donne, che si faccia il Women New Deal e poi, dopo questi documenti, si verifichi quello che è successo con l'indicazione dei ministri per il governo Draghi. Vorrei ricordare che prima della nomina c'è stata una direzione in cui il segretario Zingaretti e la portavoce della Conferenza delle donne Cecilia D'Elia hanno detto che bisognava porre attenzione al rispetto della parità di genere. Poi però i nomi sulla lista rispecchiavano solo il criterio delle logiche di corrente. Mi stupisce però che, pur rispettando questo principio che a me non piace, all'interno delle stesse componenti non ci fossero donne da esprimere. Lo trovo curioso. Però questa è stata solo l'ultima goccia.

Cosa intende?

Mi riferisco al dibattito sul Recovery fund fino ad ora. Rendere la parità di genere una questione trasversale senza avere un'idea precisa dei saldi e delle risorse da impiegare, per esempio sugli asili nido, sull'occupazione, con una progettualità seria, non mi sembra un grande risultato. Ora dopo la crisi di governo probabilmente avremo ancora del tempo per lavorarci. Per il momento c'è solo una genericità, non c'è ancora la valutazione ex ante rispetto ai progetti, e agli impatti delle risorse da utilizzare.

Adesso il premier Draghi dice che il 60% delle quote dei partiti devono essere donne. È un'operazione di pinkwashing? Serve solo a chi realmente occupa posti di potere per pulirsi la coscienza?

Il problema sono i ruoli chiave, quando si andrà a riformulare la legge elettorale bisogna fare attenzione affinché ci sia rispetto delle quote, non tanto nelle candidature a perdere. La responsabilità non è però di Draghi, il Pd ha indicato tre nomi, così come hanno fatto le altre forze politiche.

Le è piaciuto l'intervento di Draghi in Parlamento? Ha detto che il governo si impegnerà a riequilibrare il gap salariale, permettendo alle donne di superare la scelta tra famiglia e lavoro, con un adeguato sistema di welfare.

Ha toccato i temi giusti. Sono prima firmataria nonché relatrice del provvedimento sulla parità salariale: il testo base è stato votato all’unanimità il 4 novembre scorso in commissione Lavoro, poi si è fermato. Mi auguro che ci sia di nuovo spazio per il lavoro parlamentare, con una presenza del governo concreta, per fare in modo che proposte come questa vadano avanti e arrivino in porto. Nel mio intervento in Aula rivolgendomi ai partiti e alla nostra comunità politica, ho chiesto rispetto, intendendo per le donne, e ho ricordato i temi dell'occupazione, degli asili nido, dei congedi parentali obbligatori a quattro mesi. O riusciamo in questa pandemia a ricordarci che le categorie dei giovani e delle donne sono quelle che hanno patito di più, facendo per loro interventi più forti, o non se ne esce. E su questo Draghi mi è molto piaciuto. Marisa Rodano, nella sua intervista di qualche giorno fa, ci ricordava bene come anche a sinistra ci sia questa immagine stereotipata delle donne, sul fatto che si devono occupare di famiglia, scuola, pari opportunità, ma non di temi come il lavoro. È un tema culturale profondo, e il Pd non è immune, deve fare una forte autoanalisi su questo.

Cosa dice la sua proposta di legge?

Il provvedimento richiede che vi sia una trasparenza e un accesso ai dati per capire quali aziende praticano la parità salariale, e mettono in atto delle politiche di gender equality, con sanzioni precise e un meccanismo premiale per le imprese che rispettano la parità. Se si vuole pensare a incentivare l'occupazione femminile in questo momento di emergenza lo si deve fare in modo corretto, non in modo strumentale, o per esempio con la solita inefficace politica dei bonus. Poi c'è un altro elemento, che abbiamo aggiunto: la legge Golfo-Mosca, che stabilisce le quote per la presenza delle donne nei cda, valeva per le società private, poi è stata estesa per le società quotate in borsa, ma non vale per le società partecipate pubbliche. Noi chiediamo che venga allargata anche a queste ultime.

Secondo lei il rispetto delle quote rosa è "farisaico"?

Io sono convinta della buona fede assoluta del presidente del Consiglio. La verità è che siamo in minoranza nei ruoli di responsabilità economica e politica, ma quella minoranza se esiste e riesce a resistere è anche grazie a quelle poche norme sulle quote rosa nel nostro ordinamento. Aiutano ad allentare una cultura che continua a rimanere sostanzialmente patriarcale. Ci devono essere perché servono a scardinare un sistema. Una volta scardinato anch'io credo nelle pari opportunità. Ma se le donne non hanno al momento la stessa base di partenza dei colleghi uomini è molto complicato farsi largo, e quella base di partenza non c'è. Lo si vede nello studio, nel lavoro e anche, come abbiamo visto, nella politica.

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