Gentiloni a Fanpage: “Le politiche di coesione Ue funzionano, ma andranno ripensate quando entrerà l’Ucraina”

Ogni sette anni l’Unione europea stanzia centinaia di miliardi di euro per ridurre i divari al suo interno: sono le politiche di coesione. Ma funzionano? Lo sforzo è legittimo? Lo abbiamo chiesto a Paolo Gentiloni, ex Commissario europeo ed ex presidente del Consiglio.
A cura di Annalisa Girardi
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Quelle di coesione sono tra le principali politiche europee, sicuramente tra le prime per raggio di azione e per impegno economico. Hanno un obiettivo chiaro, che è quello di colmare i divari sia tra gli Stati che all'interno degli stessi Paesi, sul territorio. Ma funzionano veramente? Stanziare ogni sette anni centinaia di miliardi di euro riesce davvero a ridurre le diseguaglianze? Per rispondere a questa domanda, così come a tante altre in merito alle politiche di coesione, ci siamo rivolti a Paolo Gentiloni, ex Commissario europeo nonché ex presidente del Consiglio italiano.

Questo è un contenuto realizzato grazie al Bando Europeo DG REGIO- AWARE PROJECT che ha l'obiettivo di promuovere la consapevolezza sulle Politiche di coesione applicate dalla Commissione Europea.

Gentiloni ci ha detto: "Quella che chiamiamo ufficialmente la politica di convergenza, cioè che cerca di evitare che dentro l'Unione Europea ci siano delle differenze eccessive – pericolose dal punto di vista sociale, ma anche politico – io direi che in una prospettiva di decenni ha funzionato", ha detto, portando l'esempio del 2004. Quell'anno infatti l'Unione si è allargata, dieci nuovi Paesi (provenienti per lo più dall'ex blocco sovietico) sono entrati a farne parte, e hanno avuto dei macro risultati straordinari.

Chiaramente, ha sottolineato Gentiloni, questo non deve farci pensare che le politiche di coesione siano una bacchetta magica. E il dato sul Pil, quello a cui si guarda principalmente per misurare il benessere, in realtà non ci dice tutto. Sappiamo che i divari ci sono, anche all'interno dei Paesi più sviluppati: "Noi italiani ne siamo anche purtroppo dei testimoni. Noi riceviamo fondi per le politiche di coesione nelle regioni meno sviluppate nell'ordine dei 5-6 miliardi all'anno. Che non è una cifra insignificante per il bilancio italiano". Molto spesso però questi investimenti non vengono accompagnati da riforme efficaci oppure, ancor più banalmente, si faticano a spendere i soldi.

Delle modifiche, allora, servirebbero. Proprio alle modalità di distribuzione dei fondi e alla loro gestione. Secondo Gentiloni arriverà un momento in cui questo diventerà indispensabile, cioè quando l'Ucraina entrerà nella Ue. "Se guardiamo verso il futuro non solo si può, ma si deve cambiare. Quale sarà probabilmente la miccia che costringerà l'Unione europea a rinnovare le politiche di coesione? Il possibile ingresso dell'Ucraina. Perché ci troveremo davanti a un Paese che è il più grande in Europa, ma che è anche relativamente il più povero. Allora, se entra un paese così grande con oltre 40 milioni di abitanti e con dei livelli di reddito medio così bassi, e se non cambi nulla, la gran parte dei fondi europei di coesione finiscono in Ucraina. Come si può cambiare tutto questo? Bisogna andare verso un approccio "performance based" cioè basato non sulla allocazione di fondi ai Paesi che poi decidono quali progetti fare e i soldi vengono rendicontati alla fine, ma andare su progetti che vengono concordati, tra Unione Europea e i singoli Paesi, e l'erogazione di quattrini che avviene di volta in volta man mano che gli obiettivi vengono raggiunti. In una parola è il meccanismo di NextGenerationEU, del PNRR". 

Con Gentiloni abbiamo affrontato anche un altro tema fondamentale quando si parla di coesione, cioè quello dell'occupazione. Se secondo l'ex Commissario non ci possiamo lamentare per quanto riguarda i tassi di disoccupazione, le cose stanno un po' diversamente per il numero di occupati. "Un dato che riguarda direttamente l'Italia è che noi abbiamo un livello di disoccupazione grosso modo nella media europea, però abbiamo tuttora dei livelli di occupazione imbarazzanti. In termini proprio di quanta gente lavora, siamo quelli messi peggio in Europa, insieme alla Romania. Troppa poca gente lavora e soprattutto troppe poche donne lavorano, con dei divari rispetto alla media europea che sono altissimi".

Infine, abbiamo approfittato della doppia prospettiva di Gentiloni, quella da ex premier e da ex commissario, per chiedergli di valutare gli attuali rapporti tra Italia ed Unione europea: "Anche con l'attuale governo si è dimostrato il fatto che per un Paese come l'Italia l'ancoraggio all'Ue è difficile da mollare. In molti si aspettavano dall'attuale governo un'attitudine più critica, più polemica, ma alla fine penso che si sia inserito nel mainstream europeo, pur con dei voti diversi sulla Commissione e sul Consiglio. Ma non mi sembra che si sia messo sulle barricate contro l'Unione Europea. Quello che a me in ogni modo preoccupa è il diffondersi, non solo in Italia ma in diversi Paesi europei, di un atteggiamento che non è più quello di chi vorrebbe uscire dall'Unione Europea. La lezione degli inglesi farà scuola per molto tempo. No, non c'è più tanto questa idea, ma c'è l'idea di cambiare l'Ue dall'interno, indebolendo tutto ciò che è europeo a favore di tutto ciò che deve tornare a essere nazionale. E un'Unione Europea così indebolita non solo non raggiunge il sogno dei federalisti, di Ventotene, ma un'Unione Europea  in cui Schengen comincia a fare acqua da tutte le parti, in cui l'Erasmus viene definanziato, in cui si mette in discussione l'euro non sarebbe più un'Unione Europea. Per questo dico bisogna fare esattamente l'opposto e cioè, con tutto il rispetto per il ruolo dei singoli Paesi, rafforzare tutto ciò che porta a un'Unione Europea più forte. Altrimenti nel mondo di oggi conteremo sempre meno".

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