Flat tax al 10% sugli aumenti contrattuali: l’ipotesi del governo per i lavoratori privati

Il governo starebbe valutando una nuova misura fiscale per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali nel settore privato: una tassazione agevolata al 10% sugli aumenti retributivi riconosciuti tra il 2026 e il 2028. L’obiettivo sarebbe duplice: incentivare la chiusura dei rinnovi e offrire un piccolo sollievo fiscale ai lavoratori, in un contesto ancora segnato dall’erosione del potere d'acquisto.
Secondo i primi calcoli, il provvedimento potrebbe coinvolgere circa 15 milioni di lavoratori dipendenti, compresi agricoli e domestici, con un beneficio medio di circa 135 euro lordi all'anno. Al momento, però, si tratta solo di un'ipotesi tecnica, non ancora formalizzata. Nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) non compare infatti alcun riferimento diretto alla misura: l'unico passaggio potenzialmente collegato menziona ‘interventi di carattere fiscale per i lavoratori dipendenti in materia di rinnovo dei contratti e premi di risultato'. Nessuna norma scritta, nessun dettaglio operativo, né coperture chiare: tutto resta insomma ancora appeso all'evoluzione della manovra e alle trattative in corso.
Come funzionerebbe lo sconto
Lo schema elaborato dal Ministero del Lavoro prevede che la tassazione agevolata del 10% si applichi agli aumenti salariali stabiliti nei contratti collettivi nazionali rinnovati tra il 1° gennaio 2026 e il 31 dicembre 2028. I contratti già rinnovati prima del 2026 resterebbero esclusi, così come i lavoratori autonomi e i dipendenti pubblici; il vantaggio fiscale consisterebbe in una flat tax temporanea sugli aumenti, che normalmente sarebbero tassati con aliquote Irpef progressive (in media attorno al 25%). L’agevolazione durerebbe solo per il periodo di incentivazione: una volta terminato, gli aumenti tornerebbero a essere tassati secondo le regole ordinarie.
Per esempio: un dipendente con reddito annuo lordo di 23-24 mila euro che riceve un aumento contrattuale del 3-4% (circa 700-900 euro lordi) pagherebbe solo il 10% su quella quota per un anno, poi l’aumento verrebbe tassato come reddito normale.
Clausola anti-ritardi: le imprese dovranno rinnovare
Tra gli elementi più interessanti dell'ipotesi figura una clausola anti-ritardo, pensata per disincentivare la tendenza, diffusa in alcuni settori, a rimandare i rinnovi. Secondo lo schema del Ministero, le imprese che non rinnovano il contratto entro 24 mesi dalla scadenza sarebbero tenute a riconoscere un aumento automatico fino al 5% annuo del monte salari. Questo aumento, però, non godrebbe della tassazione agevolata. In sostanza: chi ritarda, paga di più e senza sconti fiscali. Un meccanismo di pressione indiretta, che però potrebbe incontrare resistenze.
I numeri in campo: costi e coperture
Il Ministero del Lavoro avrebbe già tracciato una stima dei costi:
- 900 milioni nel 2026, se si rinnovano circa il 50% dei contratti;
- 1,5 miliardi nel 2027, con circa il 75-80% dei rinnovi;
- 1,8 miliardi nel 2028, quando la misura sarebbe a regime.
Totale stimato: circa 4 miliardi in tre anni. Un'ipotesi ottimistica, se si considera che oggi circa il 46% dei contratti collettivi è scaduto, molti dei quali da anni.
Le critiche della CGIL: "No a misure parziali"
Sul fronte sindacale, arrivano già forti perplessità, in particolare dalla CGIL, che considera la misura insufficiente e iniqua.
"Con 2 miliardi si potrebbero coprire 22 milioni di lavoratori", osserva Christian Ferrari, segretario confederale. "Sarebbe una beffa escludere i dipendenti pubblici, che hanno recuperato solo un terzo dell’inflazione. E bisogna includere anche i contratti già rinnovati, non solo quelli futuri. No a una misura parziale e selettiva".
Nel pubblico sconto fiscale solo sul salario accessorio
Sebbene i lavoratori del pubblico impiego siano esclusi dalla flat tax sugli aumenti contrattuali, nel Dpb è previsto un altro tipo di intervento. Il testo parla di una "misura di agevolazione fiscale sul trattamento accessorio" per i dipendenti pubblici, finalizzata anch'essa a rafforzare il legame tra produttività e retribuzione. Il trattamento accessorio comprende straordinari, indennità e premi, non l’aumento del salario base; quindi, nessuna detassazione sugli aumenti da rinnovo contrattuale, ma un possibile alleggerimento fiscale su altri elementi variabili della busta paga. Un approccio diverso, che però rischia di creare disparità tra lavoratori pubblici e privati, come segnalato anche dalle sigle sindacali.
Misura ancora incerta, nodo politico aperto
In assenza di un testo normativo preciso, la flat tax al 10% per gli aumenti contrattuali resta una proposta tecnica, ancora da definire nei dettagli e tutta da verificare sul piano delle coperture; la sua introduzione dipenderà infatti, come anticipato, dagli equilibri politici e finanziari della manovra, e dall’esito del confronto tra governo, sindacati e imprese.
Se confermata, però, sarebbe una novità fiscale selettiva, ma in grado di incidere su milioni di lavoratori del settore privato. Se lasciata cadere, resterebbe invece un segnale incompiuto, a fronte di un problema reale: salari troppo bassi rispetto all'aumento del costo della vita.