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Opinioni

Fatevene una ragione: sui nostri corpi e sull’aborto decidiamo noi

“Vietare l’aborto anche in caso di stupro” è la frase che ieri è stata pronunciata non in una sede provita (e sarebbe grave lo stesso), ma in un’aula di Montecitorio. Parole inaccettabili e violente che non possono essere tollerate.
A cura di Natascia Grbic
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Continuano a dire che non toccheranno la legge 194. Nel frattempo presentano a cadenza regolare ddl provita, proposte per la ‘tutela della vita nascente', e ospitano convegni in cui l'aborto viene definito un omicidio. L'ennesimo attacco all'autodeterminazione delle donne stavolta ha sopra di sé la firma di un deputato della Lega, Simone Billi. Il suo partito si è smarcato, lui ci ha provato in modo – ci si permetta di dirlo – poco convincente. "È una cavolata, non so come è venuta fuori, cosa c'entro io… È colpa di Repubblica", ha dichiarato all'Adnkronos, come un bambino imbarazzato colto con le mani nella marmellata. Ma con l'imbarazzo ci si fa poco e resta un dato di fatto: per l'ennesima volta in una sede istituzionale sono state pronunciate parole inaccettabili e violente contro il diritto delle donne a decidere del proprio corpo.

Questo diritto non piace a molti. Viviamo in un paese che affonda le sue radici nel patriarcato, in cui rappresentanti delle istituzioni si sentono sereni a dire "un uomo normale guarda il bel culo di una donna e forse ci prova anche. Poi, se ci riesce, se la tromba anche". Quindi non stupisce la frase "l'aborto anche nei casi più tragici, nei dilemmi morali più strazianti, come quelli di stupro, non è mai giusto". Questo non vuol dire che non debba fare rabbia.

Al centro studi Machiavelli e ai relatori del convegno, Maria Alessandra Varone e Marco Malaguti, servirebbe forse ricordare cosa accadeva quando l'aborto non era legale. Come descrive bene la neurologa Alessandra Piontelli nel suo libro ‘Il culto del feto', pur di liberarsi della gravidanza le donne bevevano la candeggina, il chinino, sostanze nocive, infilavano nella vagina (spesso bruciandone le pareti) permanganato di potassio, oppure vi introducevano oggetti acuminati come stampelle o ferri per lavorare a maglia. Altre si lanciavano dalle scale o da altezze considerevoli. Chi aveva la disponibilità economica si rivolgeva a sanitari che praticavano aborti di nascosto con mezzi di fortuna, con conseguenze spesso gravi, tra cui la perdita dell'utero (se non la morte). Alla luce di questo, la domanda che i due relatori rivolgono provocatoriamente nel loro opuscolo, "come è stato possibile che la pratica abortiva, per secoli considerata scandalosa, oggi sia non solo legale, ma morale?", assume tutt'altro significato.

L'aborto si è sempre praticato, anche quando non era legale. Anzi. Da quando esiste la legge 194, il numero delle interruzioni di gravidanza si è sensibilmente ridotto. Dal 1983 le Ivg sono scese del 71%, tanto che l'Istituto superiore di sanità ha definito la 194 "uno tra i più brillanti interventi di prevenzione di salute pubblica realizzati in Italia".

Parlare dei feti come dei ‘bambini', definire l'aborto un ‘omicidio', è un esercizio di retorica caro alla destra antiabortista, ossessionata dal controllo sui corpi delle donne (e non solo). Viviamo un periodo storico in cui le resistenze individuali e collettive alle forme oppressive del patriarcato stanno portando a una sua recrudescenza violenta. Ospitare, in una sede istituzionale, un convegno in cui si parla di vietare l'aborto anche in caso di stupro è un atto di una violenza inaudita. E non serve a nulla chiedere le dimissioni di un singolo deputato: è necessario, come indicato dal transfemminismo intersezionale, un cambio di rotta.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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