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Facebook e CasaPound: perché è patetico delegare l’antifascismo a Mark Zuckerberg

I giudici che danno ragione a Casa Pound e che condannano Facebook che ne aveva chiuso le pagine dimostrano una cosa sola: che delegare ai social network la funzione di sentinelle dell’antifascismo è inutile, oltre che velleitario. E che non esiste un algoritmo che ci aiuti a rinsaldare le basi della nostra democrazia. Tocca fare da soli.
A cura di Redazione
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È successo. L'esclusione di Casapound da Facebook «è in contrasto con il pluralismo» perché «elimina o fortemente comprime la possibilità» per il movimento di «esprimere i propri messaggi». Oltre a ordinare la riattivazione delle pagine e profili social del movimento e dei suoi amministratori, il giudice Stefania Garrisi del Tribunale civile di Roma ha stabilito che Facebook dovrà pagare 800 euro per ogni giorno di violazione di “libertà”. Stando così le cose, considerato che la pagina è stata oscurata lo scorso 8 settembre, Casapound si ritroverebbe 76.000 euro freschi freschi, magari da reinvestire in Facebook. Si possono fare un sacco di sponsorizzazioni con 76.000 euro. Anche le spese legali (15.000 euro) sostenute da Casapound saranno risarcite da Facebook. Non male questo Natale 2019 per i ragazzi di Casapound. 

Vittoria! Si era gridato alla vittoria della democrazia il 9 settembre, qualcuno pensava addirittura di avere cancellato il fascismo in Italia semplicemente togliendolo da Facebook, invece quello è tornato. Torna sempre, come il cane Lassie. Ovviamente questo è un fatto strettamente giuridico, di diritti “allargati”, parola inusuale per i fascisti, che però, tramite questa sentenza, tenteranno con più forza una propria legittimazione morale in tempo 3,2,1. Il caso giuridico, previo “giudizio cognitivo”, può avere altri sviluppi, per ora tanto basta per ribadire una cosa: patetico.

Patetico avere delegato a una società sovrastatale e privata come Facebook le responsabilità morali e sociali di uno Stato. Patetico che il primo sfratto a Casapound sia arrivato da Facebook e non dallo Stato, nella sua pagina social e non nella sua sede in Via Napoleone III 8 a Roma. Patetico sentire oggi parlare di democrazia tra chi inneggia a un ventennio che tutto fu meno che democratico, patetico sentire esultare per la «vittoria di tutto un mondo politico non allineato» come ha fatto il leader di Casapound Gianluca Iannone.

La politica ha lasciato a CasaPound pieno diritto di parola, rappresentanza, presenza televisiva, occupazione abusiva di stabili e noi pensavamo di lasciare a Facebook il compito di risolvere il lassismo andato in scena per anni, per l’ultima volta: patetico.

È vero, Facebook, Instagram e Twitter somigliano sempre più a organizzazioni che competono con gli Stati e a cui questi non a caso guardano con interesse, invidia. Ogni tanto li vedi, questi Stati, cimentarsi in maldestri tentativi di emulazione, ma alla fine i piani rimangono separati, ognuno si lavi i panni sporchi a casa sua, Facebook alle prese con l’hate speech, l’Italia con il fascismo con il ‘neo’, quello senza bombe, strisciante, omeopatico, di ritorno, apparentemente nemmeno fascista. Del resto affidare la democrazia a una società privata è semplicemente follia e chi non si fa domande sul perché ciò avviene, sia quando Facebook oscura la pagina di Casapound sia quando traffica i nostri dati, o è sciocco o in malafede. In ogni caso è invitato a leggere l’articolo 21 della costituzione italiana, che non si trova su Facebook, ma è alla base della nostra democrazia.

Quindi, che una multinazionale dal potere enorme che in genere consideriamo il male assoluto – salvo poi dedicarle molte ore al giorno – abbia “fatto il suo”, benissimo. Anche se tecnicamente, più che fare il suo, ha “fatto il nostro”: l’attività di moderazione di Facebook è affidata a società esterne e avviene grazie alle segnalazioni degli utenti. Contrariamente a quanto si dice, il ruolo dei fantomatici algoritmi non è così decisivo, almeno non nelle eliminazioni. A decidere di eliminare un contenuto o a bloccare una pagina è sempre un analista, un essere umano, che di solito ha tra gli otto e i dieci secondi per decidere. Quanti secondi avrà impiegato l’analista di Facebook per decidere di oscurare Casapound? Chissà. La domanda però è un’altra: di quanti (altri) anni ha bisogno l’Italia per decidere che è ora di ricostruire una cultura politica che non appiattisca le differenze ma sia un vero territorio democratico, dove però chi appoggia posizioni come il separatismo bianco, semplicemente, non ha possibilità di esistere?

Articolo a cura di Stela Xhunga

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