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Elly Schlein a Fanpage.it: “Cingolani sbaglia su transizione verde, è la parte più debole del Pnrr”

La vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elly Schlein, per presentare il suo ultimo libro “La nostra parte”, spiega a Fanpage.it che c’è bisogno di un nuovo campo progressista, ecologista e femminista a partire dal modello Bologna.
A cura di Giacomo Andreoli
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«Costruiamo un campo progressista, ecologista e femminista a partire dal modello Bologna, non un campo largo. E sul clima siamo più coraggiosi: quello che fa l'attuale governo non basta». Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna ed ex europarlamentare europea, delinea così il profilo di una nuova sinistra ai microfoni di Fanpage.it. E lo fa a partire dal suo ultimo libro, "La nostra parte. Per la giustizia sociale e ambientale, insieme", una sorta di manifesto di un nuovo ecosocialismo da costruire in Italia e nel mondo, in cui non si risparmiano alcune critiche al Pnrr.

Nel libro dice che giustizia sociale e ambientale sono oramai inscindibili, perché?

Chi sta già pagando più caro il prezzo dei cambiamenti climatici è la fascia più povera e senza garanzie, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ma lo vediamo anche in Italia: pensiamo a Taranto e al caro energia, che colpisce in maniera più forte i fragili in cui l'incidenza della bolletta sul reddito è decisamente più alta. Le disuguaglianze sociali si tengono insieme con i problemi climatici e l'esigenza doppia di combattere entrambi si sta facendo largo nella società. In particolare nelle mobilitazioni delle giovani generazioni. Alla politica manca la visione di tenere assieme ciò che è già assieme nelle piazze.

In queste pagine parla anche di Covid. C'è chi ha detto che dalla pandemia "si esce a sinistra", ma in Italia e in tutto l'Occidente pare esserci una grande voglia di centro liberale. 

Il pericolo che si esca dalla pandemia senza evolversi davvero c'è. Nel libro cito un cartello che hanno fatto vedere in Cile durante le manifestazioni del 2020 in cui si dice che "non dobbiamo tornare alla normalità, perché è parte del problema". In un momento di crisi sistemica non bisogna avere la tentazione di tornare al neoliberismo, anche se in una veste apparentemente rinnovata. Non bisogna tornare al modello di sviluppo precedente, ma cambiarlo dalle radici. Siamo arrivati a una situazione di difficoltà come questa dal punto di vista del lavoro e della tenuta sociale non solo per il Covid, ma anche per le politiche messe in campo negli ultimi decenni sia da governi di centrodestra che di centrosinistra. L'egemonia neoliberista è proprio il motivo per cui ora, dopo il Covid, la povertà è così dilagante. Abbiamo pensato che le disuguaglianze fossero il prezzo di breve periodo per garantire la crescita, che poi si sarebbe redistribuita da sola, ma questo non è mai successo. Anzi, la ricchezza si è sempre più concentrata. C'è da dire però che il Next Generation Ue è stato un grande passo avanti dell'Europa arrivato proprio con la pandemia.

Vorrebbe un nuovo schieramento di sinistra in Italia. Come si costruisce a solo un anno dalle elezioni del 2023?

Nel libro non indico una strada unica, ma una direzione da intraprendere immediatamente. Le forze politiche e sociali che non sono di destra devono incontrarsi, vedere su cosa sono d'accordo e tradurre il tutto in proposte molto concrete. Sempre, però, a partire dall'inscindibilità tra questioni ambientali e sociali e guardando ad alleanze internazionali. C'è bisogno di un campo ecologista, progressista e femminista che oggi non c'è o quanto meno non ha chiarito quale sia il suo progetto per battere le destre.

È il campo largo di Enrico Letta?

Io non parlo di campo largo, ma di campo ecologista, femminista e progressista. Guardo comunque ad esperienze politiche come quella prima delle elezioni di Bologna nel 2021. Lì ha funzionato bene il metodo: si possono mettere d'accordo sensibilità e forze politiche diverse a condizione che ci si ritrovi attorno a una visione coerente su quello che si vuole fare assieme. Tutto ha funzionato anche grazie a un fattore generazionale: dalla nostra Emily Clancy a Max Bugani del M5s, passando per Isabella Conti di Italia Viva e il sindaco Lepore del PD, tutte persone più giovani del solito si sono incontrate su alcune cose concrete da fare. Prima di tutto: transizione ecologica, contrasto alle disuguaglianze e lavoro meno precario.

Lei è in campo per essere la leader o una delle leader di questa nuova formazione?

Darò il mio contributo assieme a tanti e tante che la pensano così in varie forze politiche e sociali.

Da cosa dovrebbe partire la nuova sinistra?

Dal lavoro. Mettiamoci insieme per discutere di un nuovo statuto delle occupazioni digitali, per definire i diritti dei lavoratori, ad esempio della gig economy. Bisogna poi ripensare in generale le politiche del lavoro: il Jobs Act è stato molto dannoso e c'è stata una precarizzazione fortissima soprattutto per giovani e donne. Non va quindi demonizzato un ragionamento su qualcosa che si ispiri anche all'oramai vecchio art.18. Ma servono anche: una legge sul salario minimo, per garantire paghe dignitose a tutti ed evitare lo sfruttamento; una maggiore stabilizzazione dei contratti (a partire da ritocchi su Co.co.co. e stage); il rafforzamento dei controlli sulla sicurezza. E poi nel campo della produzione rinnovabile: partiamo dalle esperienze di autoconsumo e autoproduzione di energia pulita di alcuni comuni italiani, dove si risparmia in bolletta e si riducono drasticamente le emissioni dannose.

Sull'ecologia c'è chi dice che sia l'Unione europea che il governo Draghi non stiano mettendo davvero in discussione il modello di sviluppo vigente.

La parte della Transizione ecologica è sicuramente la più debole all'interno del Pnrr. Non condivido nemmeno i toni del ministro Cingolani, che parla di "bagno di sangue" per il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Certo che la transizione non si fa in un giorno, ma bisogna mettere in campo politiche coerenti con gli obiettivi e non le stiamo vedendo. Ma le dirò di più: non stiamo vedendo nemmeno risorse adeguate. Non c'è un piano industriale sulle rinnovabili e si parla di altre soluzioni che non vanno bene, come il nucleare. Se poi si discute sulla fusione nucleare sono d'accordo sul fatto che ricerca vada finanziata, ma prima del 2040 o 2050 non avremo risultati industriali in quel senso, quindi serve altro. Però, anche qui, devo ricordare i dati di fatto positivi: nella scorsa legislatura europea eravamo in pochi a segnalare la necessità di un Green Deal europeo e non ci ascoltava nessuno. Oggi qualcosa c'è. Non è perfetto, ma c'è.

Perché in questi anni la proposta politica del centrosinistra è apparsa meno concreta di quella del centrodestra, che continua ad essere maggioranza relativa nei sondaggi?

Il libro che ho scritto è frutto di uno sforzo di concretizzare una visione. In effetti c'è bisogno di passare dalle parole ai fatti, dall'analisi alle proposte concrete. Però bisogna imparare a non rifuggire la complessità con le semplificazioni che aiutano le destre. Dire "Prima gli italiani" è più facile, ma quello è un vecchio schema: additare un capro espiatorio, il diverso, per buttargli sopra i tutti i problemi. Bisogna rispondere con un disegno coraggioso che non riduca la realtà a bianco e nero, perché così non si risolve nulla. Quando vedo nazionalisti vari in giro per l'Europa che difendono tassazioni bassissime per le multinazionali, vorrei che andassero a spiegare ai lavoratori italiani che la sovranità nazionale vuol dire quella cosa lì.

A proposito di questo: la tassa minima sulle multinazionali al 15% è piaciuta?

Poteva essere più alta, come peraltro pare avesse proposto persino il presidente americano Biden. Si tratta di un passo avanti, ma va migliorato. Servirebbe una direttiva europea che dice che le tasse si pagano lì dove si fanno i profitti, non favorire un governo di un Paese che sta fregando i suoi vicini. Noi poi al Parlamento europeo abbiamo approvato uno schema normativo che chiede alle multinazionali che operano in Europa di dire quanti profitti fanno e quante tasse pagano in ogni Paese. In molti chiedevamo che lo dovessero dire per tutti i Paesi del mondo, per contrastare l'evasione e l'elusione, ma la proposta non è passata. L'evasione nei Paesi più fragili è uguale ai fondi che dedichiamo per il loro sviluppo: con una mano si è rubato, con l'altra si è ridato.

Nel libro si parla anche della questione di genere e del femminismo. Utilizza anche lo schwa, per evitare il maschile se ci si rivolge a gruppi misti di persone. Oggi c'è una sensibilità maggiore in tema, ma c'è chi dice sia di facciata o "buonista".

Ho scritto un capitolo che si chiama "superare il patriarcato". Bisogna uscire dal bon ton di dire: le donne hanno pari diritti, ma andare alla radice del problema, promuovendo un cambiamento culturale e antropologico in uomini e donne, che non crei aspettative tossiche nei primi e subalternità nelle seconde. Il patriarcato è una struttura di potere che innerva società e politica. Si tratta di una sfida per ottenere anche benefici economici: lo dice anche l'Ocse, che non è che si senta a disagio nel sistema neoliberista, assieme alla Banca d'Italia. Se arrivassimo al 70% di occupazione femminile faremmo 7 punti aggiuntivi di Pil.

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