Elezioni in Romania, cos’è il paradosso dell’effetto Trump in Europa: lo spiega l’ambasciatore Stefanini

Il risultato delle elezioni presidenziali in Romania, che si sono ripetute domenica dopo il clamoroso annullamento da parte della Corte Costituzionale della tornata elettorale d'autunno, a causa delle interferenze russe, preoccupa non poco le istituzioni europee.
Ha vinto infatti il primo turno, con oltre il 40% delle preferenze (3.862761 voti), George Simion, 38enne leader del secondo partito rumeno, l'Alleanza per l'Unione dei Romeni (AUR) di estrema destra, che incarna una nuova destra populista, ispirata esplicitamente al modello americano MAGA di Trump, apertamente ostile all'Unione Europea, considerata una zavorra per la sovranità nazionale.
L'aspirante presidente, anti-Nato e anti-Ue, ha dichiarato fedeltà al controverso ex candidato presidenziale Calin Georgescu, escluso dal primo turno e sotto indagine per sospetti legami con Mosca. Ora Simion dovrà vedersela al secondo turno, al ballottaggio del 18 maggio, con il sindaco di Bucarest, l'europeista Nicusor Dan (20,99% e 1.979.767 voti), favorevole invece all'adesione alla Nato e agli aiuti all'Ucraina.
Simion, in caso di vittoria, ha promesso di nominare primo ministro proprio Georgescu. Al terzo posto nella competizione elettorale è arrivato il candidato della coalizione di governo, Crin Antonescu (20%). Secondo i sondaggi rumeni, Simion è favorito nella battaglia elettorale contro Dan al ballottaggio.
Il leader dell'ultradestra è accusato da Kiev di "attività anti-ucraine" e vorrebbe ridurre gli aiuti militari al Paese invaso dalla Russia. Una sua eventuale vittoria rappresenterebbe un cambio di passo per la Romania, che passerebbe da una linea filo-occidentale a posizioni euroscettiche e illiberali. Ne abbiamo parlato con l'ambasciatore Stefano Stefanini, consigliere scientifico dell'Ispi, già rappresentante d'Italia presso la Nato ed ex consigliere diplomatico del presidente Napolitano.
Simion ha avuto una vittoria netta con oltre il 40% delle preferenze, staccando di quasi 20 punti il filo-europeista sindaco di Bucarest Nicușor Dan (il 20,7%). Secondo lei è possibile ribaltare questo risultato al ballottaggio?
Sì, aritmeticamente è un risultato sperabile. Basti pensare che la somma dei voti presi da Dan e Antonescu, secondo e terzo posto, supera il 40%. Questa dinamica si è ripetuta più volte, per esempio in occasione delle elezioni francesi: Marine Le Pen è stata battuta al secondo turno da Macron. Il punto è che il panorama politico interno romeno è molto fazioso, caratterizzato da un certo settarismo negli schieramenti, per cui sarà difficile che gli altri candidati facciano causa comune, e soprattutto sarà difficile che lo facciano i loro bacini elettorali, per fermare Simion.
Nicusor Dan, nel commentare i risultati del primo turno, ha sottolineato che il ballottaggio non sarà solo una competizione tra due uomini, ma sarà uno scontro tra due idee opposte di Romania: una moderna, aperta, occidentale; l'altra chiusa, reazionaria, nostalgica. È così? Siamo davanti a un bivio?
Dan, essendo indietro di 20 punti, deve necessariamente metterla in questi termini, parlando di due visioni del futuro della Romania completamente diverse, piuttosto che raccontare il ballottaggio come una sfida tra due personalità. Perché su quest'ultimo campo parte svantaggiato. Se Dan riesce a ribaltare l'approccio, mostrando che la competizione aperta è fra due idee della Romania, ha più probabilità di farcela, e di far confluire anche i voti degli altri candidati dalla sua parte.
Il successo di Simion, leader del partito Alleanza per l’Unione dei Romeni, secondo lei dimostra ancora una volta l’ascesa della nuova destra in Europa orientale?
Mi sembra un segnale di ascesa in tutta Europa, non solo in quella orientale, di quello che chiamerei ‘un arcipelago' putinista, nazionalista, di estrema destra. Guardiamo alle elezioni inglesi, che hanno visto il successo del partito di Farage, Reform Uk, sui due partiti tradizionali, laburisti e conservatori. Quello che colpisce è che questo stia avvenendo quasi esclusivamente in Europa. In altre due elezioni di due Paesi occidentali, Canada e Australia, è successo l'opposto: i candidati conservatori, non di estrema destra, hanno pagato la vicinanza a Trump, e sono stati sconfitti. È il paradosso dell'effetto Trump sulle elezioni: in Europa il presidente americano dà una mano a forze politiche che gli sono vicine. Ricordo che Simion va in giro con i cappellini MAGA. Mentre in altre parti dell'Occidente, avviene l'opposto: Trump è stato ‘il bacio della morte' per i conservatori in Canada, ma è stato anche uno dei motivi per cui gli australiani hanno eletto un ministro laburista, Anthony Albanese, che comunque non ha preso particolari posizioni anti-Trump e che non ha certo un contenzioso con gli Stati Uniti paragonabile a quello del Canada.
Come si spiega questo paradosso?
Penso sia da imputare a una maggiore vulnerabilità dell'Europa a varie pulsioni nazional populiste. E poi il fattore immigrazione sicuramente influisce. Questo tema sicuramente non è sconosciuto ai canadesi e agli australiani, ma non ha quel carattere pressante che ha in Unione europea. Basta pronunciare la parola ‘immigrazione', e immediatamente si ha una percezione drammatica del problema.
Lei ha detto che questo voto in Romania preoccupa per la tenuta dell'Europa. Simion è anti-Ue, anti-Nato e anti-Kiev. Quale di questi aspetti le fa più paura?
Nell'immediato mi preoccupa il Simion anti-Ucraina, anche per motivi puramente geografici, perché la Romania è un Paese strategico sul Mar Nero, è un Paese chiave per la deterrenza della Nato, confinando con l'Ucraina, con la Moldova, verso cui addirittura Simion avanza delle rivendicazioni territoriali. Per quando riguarda gli altri due aspetti comunque la Romania è uno dei 32 Paesi della Nato e uno dei 27 Paesi dell'Ue, quindi ci sono dei limiti rispetto alla libertà di azione di Simion. Ma pensando all'Unione europea, la Romania potrebbe scivolare in un blocco allineato su un certo euro-scetticismo che comprende già Ungheria e Slovacchia, in cui potrebbe confluire l'anno prossimo anche la Repubblica Ceca. D'altra parte si tratta di Paesi che hanno bisogno dell'Ue, perché ne ricevono un grosso supporto economico, e per questo Bruxelles nei loro confronti ha delle leve. Infatti Simion, pur essendo un sovranista, considera l'Ue un sistema da cambiare, ma non dice che la Romania dovrebbe uscirne.
Simion può creare delle difficoltà alla Nato?
Certo, la Nato opera sempre sul principio del consenso: basta un solo Paese a bloccare qualsiasi decisione. Questo alla fine non avviene, perché è vero che nell'Alleanza tutti i Paesi sono uguali, ma c'è un Paese che è molto più uguale degli altri, e sono gli Stati Uniti. Quanto questo equilibrio possa essere sconvolto dall'amministrazione Trump è da vedere, aspettiamo di capire cosa succederà al vertice Nato di giugno. Trump potrebbe incoraggiare la Romania a prendere posizioni eccentriche, ad esempio sul sostegno all'Ucraina, e questo creerebbe un problema all'Alleanza. Su Kiev abbiamo registrato in questi ultimi giorni diversi cambi di direzione e aggiustamenti da parte di Trump. In questa fase di stallo delle trattative, il Cremlino ha praticamente invitato Trump a un summit con Putin, e ha detto per bocca del portavoce di Peskov che lo ritiene ‘necessario'. Un incontro ufficiale non è stato ancora fissato, ma chissà cosa ne potrebbe uscire. Un incontro Trump-Putin prima del vertice Nato per noi europei sarebbe un segnale disastroso, perché significherebbe che i primi contatti di Trump fuori porta non sarebbero con l'Ue: verrebbero prima Arabia Saudita e Russia, e solo in un secondo momento toccherebbe all'Europa.
Questa tornata elettorale è stata segnata da una forte affluenza, al 53,2%, in crescita rispetto alle elezioni annullate dalla Corte Costituzionale in autunno, a cosa è dovuto secondo lei questo forte interesse?
La Romania è una democrazia parlamentare, e chi governa, il primo ministro, viene deciso dalla maggioranza in Parlamento. Le elezioni presidenziali dunque sono meno importanti rispetto a quelle francesi e americane. Ma il fatto che l'affluenza alle urne sia aumentata, confrontando la tornata elettorale di novembre 2024 e quella del 4 maggio, è da attribuire a una reazione della gente all'intervento della magistratura. Del resto il candidato populista e filo-russo Georgescu, la cui vittoria è stata annullata, e che è stato poi escluso da queste elezioni, a novembre aveva vinto con il 23%, con 2.120.401 voti. Se la strada per chiunque si opponesse a questo tipo di candidati era in salita a novembre, adesso è doppiamente in salita, visto che Simion ha preso al primo turno quasi il doppio di Georgescu.
Da dove deriva secondo lei questo forte consenso di Simion? Cosa c'è dietro l'affermazione dell'ultradestra?
Ci sono dei sentimenti generali in Europa, che stanno dietro al 20% preso da Afd in Germania, al successo del partito di Marine Le Pen alle elezioni parlamentari dell'anno scorso: un senso di stanchezza e disaffezione nei confronti dei partiti tradizionali. Non è un caso se Dan, sindaco di Bucarest, che correrà al ballottaggio, aveva una piattaforma che puntava sull'anti-corruzione. Questo sentimento di sfiducia verso i partiti che negli anni hanno guidato la Romania, ha orientato anche il voto della diaspora romena, che per la maggior parte ha votato per Simion. C'è un generale desiderio di cambiamento, che il candidato dell'ultradestra, giovane, brillante, con un certo carisma e un tocco di genialità, ha interpretato molto bene.