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Direttori dei musei: Il merito non ha nazionalità

C’è chi l’ha definita una scelta ghibellina, chi s’è indignato a tal punto da sostenere che stiamo svendendo il nostro patrimonio artistico agli stranieri. Ma la scelta di affidare la selezione dei direttori di alcuni dei più importanti musei italiani a un bando pubblico internazionale è stata la miglior decisione possibile: il merito non ha e non può avere nazionalità.
A cura di Charlotte Matteini
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C'è chi l'ha definita una scelta ghibellina, chi s'è indignato a tal punto da sostenere che stiamo svendendo il nostro patrimonio artistico agli stranieri. Insomma, la decisione di affidare a un bando pubblico internazionale il compito di raccogliere le candidature per il posto di direttore di alcuni tra i più importanti musei italiani non è stata accolta così bene ieri. Anzi, in realtà la notizia dell'emanazione del bando risalirebbe a molti mesi fa e nessuno all'epoca fece una piega.

La polemica è scattata solo ieri, alla pubblicazione dei nomi dei futuri dirigenti della Galleria degli Uffizi, della Pinacoteca di Brera, del Museo di Capodimonte, del Parco archeologico di Paestum. Su venti cariche, sette sono risultate essere state affidate ad altrettanti professionisti stranieri. Apriti cielo, le reazioni sono state tra le più disparate. Anzi, disperate. E così,  dopo anni e anni di querelle sull'importanza del merito, di polemiche contro gli amici degli amici e i trombati della politica messi a capo delle strutture pubbliche senza le dovute competenze, il giorno che, per una volta, si è cambiato approccio selettivo e si è deciso di puntare sul merito e non più sul semplice clientelismo, in molti hanno urlato allo scandalo. Chi polemizza, però, dimentica un particolare non di poco conto: il bando in questione era pubblico ed è stato pubblicato sui principali quotidiani internazionali, tra cui "The Economist". Insomma, la procedura di selezione era aperta a chiunque ne avesse i requisiti richiesti e la selezione basata sull'analisi dei cv, dei meriti e delle competenze dei candidati.

In sostanza il ministro Franceschini ha scelto di applicare quella stessa procedura che poco tempo fa utilizzò il "The Guardian" per selezionare il nuovo direttore della testata. In Italia ci si sperticò in lodi e complimenti e in paragoni poco lusinghieri nei confronti del metodo di selezione operato a casa nostra, nel settore dell'editoria. Questo è solo un piccolo e banale esempio, ma che tradisce la strabica quanto stantia retorica campanilistica che mette al centro l'italianità come requisito necessario e sufficiente a ricoprire una carica pubblica. E perché mai, mi vien da chiedere? Quale pericolo potremmo mai correre affidando la gestione del nostro patrimonio artistico a esperti stranieri di chiara fama, valutati e scelti sulla base delle loro competenze? Nessuno. Anzi, quel che ci si dimentica di ribadire è che quello che viene visto come un affronto alla qualità della preparazione degli autoctoni, è invece una sana contaminazione culturale che non può che apportare cambiamenti positivi ai metodi di gestione finora sperimentati dal management italiano o, come l'ha definita Andrea Carandini, presidente del FAI: "Una scossa a una vecchia mentalità". I dati parlano chiaro: nonostante l'Italia detenga il maggior numero di opere artistiche presenti al mondo, il numero di biglietti "staccati" nelle nostre strutture museali è piuttosto basso. Evidentemente un problema esiste, se i nostri numeri non sono così esaltanti.

Insomma, il risultato di questa selezione, durata mesi, ha portato all'affidamento dell'incarico da direttore di alcuni tra i più importanti musei italiani a 7 professionisti stranieri, tra i migliori nel proprio campo. Un "finalmente", sarebbe l'unico commento plausibile. E invece no. Anziché gioire di una bella iniziativa che pone il merito al centro della selezione per l'assegnazione di cariche pubbliche, che potrebbe solo giovare allo stato in cui versa la gestione del patrimonio artistico italiano, in molti, politici in primis, si sono prodigati a scagliarsi contro la decisione. Così, per partito preso, senza nemmeno prendersi la briga di verificare quale sia il curriculum del professionista selezionato. Verrebbe da dire, a un certo punto, che l'Italia forse allora se li merita proprio i vari inetti e incompetenti amici degli amici piazzati dal potente burocrate di turno, se una procedura di selezione meritocratica viene così osteggiata, per di più basandosi sulla mera nazionalità del candidato vincente.

Un ultimo appunto, giusto per gradire: fino al 2013 una delle figure dirigenziali del Louvre di Parigi, era un'italiana, Chiara Ferrazzi, che attualmente ricopre il ruolo di "secrétaire général del'Académie de France".
Altrove è considerato normale assumere guardando solamente alle competenze, altrove il merito non ha nazionalità.

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